Il processo contro questo nobile, amico
di Giovanna d’Arco, rivelò che negli anni decine di bambini erano
stati sequestrati e portati nei suoi castelli, dove venivano
torturati e uccisi.
Gilles Montmorency-Laval, barone di
Rais (o Retz), nacque nel settembre del 1404 nel castello di
Champtocé, una delle proprietà della sua potente e ricca famiglia,
che dominava estesi territori nel sud della Bretagna. A undici anni
di età vide morire suo padre sventrato dalle zanne di un cinghiale
che lo aveva attaccato mentre era a caccia in un bosco.

Gilles de Rais con
indosso l'armatura. Ritratto idealizzato. 1834. Grande Trianon,
Versailles
L’immagine del genitore moribondo con
il ventre squarciato, agonizzante e sanguinante, colpì notevolmente
il giovane, e probabilmente gli creò un trauma che lo accompagnò
per tutta la sua tormentata vita. Fu quindi affidato alle cure del
nonno materno, Juan de Craon, un nobile duro e sadico che trattava i
suoi servi con estrema crudeltà. Educato come i rampolli
dell’aristocrazia francese, il giovane Gilles si comportava in modo
egoista, presuntuoso e capriccioso.
A quattordici anni fu nominato
cavaliere ed entrò a servizio del duca Giovanni V di Bretagna:
questo lo portò a partecipare ai conflitti armati fra i nobili di
alto lignaggio della regione, che consideravano la guerra come
qualcosa di intrinseco al loro modo di vivere, una specie di svago
dell’aristocrazia. Violento, audace e coraggioso, Gilles non si
fermava di fronte a niente. Aveva solo quindici anni quando,
praticando la scherma, fece la sua prima vittima, un giovane il cui
corpo ferito e sanguinante esercitò su di lui una strana attrazione.
Nonostante le tendenze omosessuali che
presto si risvegliarono in lui, a 17 anni violentò Catherine de
Thouars, una giovane ereditiera con cui si sposò lo stesso giorno,
ignorando il rifiuto della sua famiglia. Non contento, catturò sua
suocera, che non liberò finché lei non gli concesse alcuni
castelli. Dovette attendere sette anni per avere un erede, la sua
unica figlia, che presto abbandonò con sua moglie. Non si sarebbe
mai più preoccupato di loro.
Come cavaliere del duca di Bretagna,
Gilles de Rais si distinse per l’energia e la ferocia con cui
affrontava i combattimenti: si batteva con tale impeto che i suoi
compagni d’armi lo paragonavano ai vichinghi dei tempi passati. Nel
1429 la fama di guerriero feroce precedeva il barone de Rais, e il re
di Francia reclamò i suoi servizi militari per liberare la città di
Orléans, assediata dagli inglesi da ormai vari mesi. Quando vi
arrivò, al comando di un gruppo di soldati, Gilles de Rais incontrò
Giovanna d’Arco, la giovane che affermava di essere stata scelta da
Dio per liberare la Francia dal giogo straniero. Il cavaliere rimase
immediatamente affascinato dalla ragazza.
Entrambi capeggiarono l’esercito che
in appena otto giorni liberò dall’assedio Orléans, dove entrarono
trionfanti e acclamati dal popolo. Nominato maresciallo di Francia,
nei mesi seguenti restò al fianco di Giovanna e le salvò anche la
vita durante una scaramuccia alle porte di Parigi. Cercò di
liberarla quando fu catturata e condannata per stregoneria ed eresia
dagli inglesi a Rouen, ma non fece in tempo. Le cronache raccontano
che pianse tutte le sue lacrime sulle sue ceneri. In seguito proseguì
la lotta contro gli inglesi, ma nel 1434 cadde in disgrazia il
cancelliere La Tremoille, suo grande protettore alla corte di
Francia, e Gilles perse il suo titolo di maresciallo.
Tuttavia al tempo la sua fortuna era
considerevole, poiché sommava all’eredità familiare i beni
ottenuti in guerra. Ritiratosi nei suoi domini bretoni, il barone de
Rais condusse una vita di lusso e sprechi. Celebrava sontuosi
banchetti e organizzò anche una favolosa festa nel maggio del 1435,
in cui venne ricreata la liberazione di Orléans del 1429 e che gli
costò l’esorbitante cifra di 80.000 corone. Per far fronte a
queste spese vendette il suo patrimonio, in contrasto con l’opinione
della famiglia.

Riproduzione della
stanza in cui Gilles de Rais commetteva i suoi crimini. Incisione del
XIX secolo
Inoltre, affascinato dalla magia e
dall’alchimia, riunì nel suo castello di Tiffauges maghi,
negromanti, stregoni, satanisti e alchimisti, con cui si riuniva per
cercare di scoprire la pietra filosofale. Lì
invocava il diavolo e celebrava cerimonie sataniche, firmando patti
con il suo stesso sangue. L’ultimo dei maghi che portò nella sua
dimora fu l’ex monaco e occultista aretino Francesco Prelati, un
imbroglione che gli consigliò di vendersi al diavolo.
Questi dettagli della “vita segreta”
di Gilles de Rais si conoscono per via del processo a cui fu
sottoposto nel 1440, dopo essere stato arrestato per ordine del
vescovo di Nantes. L’accusa non si limitava alla pratica della
stregoneria: si parlava anche di eresia, di violazione dell’immunità
della Chiesa, di sodomia e di assassinio di bambini.
È quest’ultima accusa ad aver creato
l’immagine di Gilles de Rais di criminale spietato, di assassino
seriale. In effetti, diversi testimoni convocati di fronte al
tribunale, umili contadini dei domini del barone de Rais,
dichiararono che i loro figli, di età compresa fra gli 8 e i 14
anni, erano spariti da un giorno all’altro, mentre stavano
sorvegliando il bestiame o lavoravano come apprendisti o si
prendevano cura di un fratello più piccolo a casa.

I genitori avevano sospettato sin dal
primo momento di Gilles de Rais, ma non si erano azzardati a
protestare, tale era la paura che incuteva. Nel corso di sette anni
si verificarono decine di sparizioni: 140, secondo alcune
dichiarazioni rese.
Lo stesso Gilles de Rais e i suoi
seguaci confessarono durante il processo ciò che accadeva con i
bambini all’interno dei suoi castelli. Il barone aveva dei sicari
incaricati del loro sequestro, che selezionavano quelli che erano
«belli come un angelo».
La vittima veniva rinchiusa in una
stanza speciale dei castelli di Tiffauges, Machecoul o La Suze. Lì,
il barone iniziava sottoponendo i bambini a una specie di
strangolamento per evitare che strillassero: «Li sollevava con una
mano e poi li teneva sospesi per il collo, con nodi e corde, nella
sua stanza, a un appendiabiti e a un gancio». Li liberava per
violentarli e poi li uccideva, lui stesso o per mano dei suoi
servitori, decapitandoli o percuotendoli.
Uno dei servitori di Gilles de Rais
dichiarò anche che egli provava «più piacere assassinando i
bambini, vedendo separarsi le loro teste e le loro membra e come si
indebolivano e scorreva il loro sangue, che incontrandoli
carnalmente». Poi cadeva addormentato. I servitori pulivano la
stanza e bruciavano il cadavere nel camino. Si disse anche che,
temendo un’indagine, Gilles de Rais abbia ordinato di bruciare i
resti di 40 bambini nella torre del castello di Machecoul.

Esecuzione di Gilles de
Rais. Stampa del XIX secolo
Alcuni autori hanno messo in
dubbio la veridicità di queste dichiarazioni sotenendo che facevano
parte di un processo politico, simile a quello organizzato pochi anni
prima contro Giovanna d’Arco.
Un tribunale deciso a condannare il
barone avrebbe raccolto le accuse di pratiche demoniache, eresia e
sodomia per ottenere una condanna esemplare. La minaccia della
tortura sarebbe anche servita affinché lo stesso Gilles confessasse.
Tuttavia, la maggior parte dei biografi, anche i più recenti, tende
a credere che l’accusato abbia commesso almeno una parte dei
crimini imputati.
L’atteggiamento che ebbe negli ultimi
mesi di vita fu strano. Nel settembre del 1440, quando una
delegazione inviata dal vescovo di Nantes si presentò alle porte del
castello di Machecoul, Gilles si consegno'senza opporre alcuna
resistenza. Al processo, dopo aver riconosciuto tutti gli atti che
gli furono imputati, dichiarò come ultima giustificazione di aver
agito in quel modo perche' era scritto nelle stelle. La sua
condizione di pari di Francia non servì a salvarlo. Il 26 ottobre
del 1440 fu impiccato nel prato della Madeleine, in prossimita' di
Nantes. I suoi resti, parzialmente bruciati, vennero sepolti nella
chiesa dei Carmelitani della stessa città.