Un
condottiero
è una
persona che guida un esercito o un popolo. Il termine ha forte
utilizzo e connotazione militare, ma il ruolo e la funzione ha a
volte acquisito, nel corso della storia, anche funzioni politiche e
religiose.
Sono soprattutto i poemi epici
classici, come l'Iliade e l'Eneide, a darci informazioni sui
mitologici "signori della guerra", per lo più re o
principi.
Nell'Iliade ogni condottiero acheo è
detto wanax o anax, parola corrispondente alla forma micenea
wa.na.ka, designante un personaggio che è al tempo stesso
un'autorità politica, militare e religiosa: a lui è dunque dato di
officiare culti, e in questo può essere affiancato da sacerdoti che
sono invece privi di dignità regale. Emblematico in tal senso è il
libro XXIII del poema omerico, in cui Achille guida personalmente il
rito funebre dell'amico Patroclo, culminante con lo sgozzamento di
dodici giovani prigionieri. Nulla del genere si ritrova tra i troiani
e i loro alleati: non figura infatti tra i loro condottieri alcun
sacerdote, in quanto gli addetti ai culti combattono in qualità di
soldati semplici, mentre l'unico personaggio indicato come anax è il
vecchio re troiano Priamo, il quale tuttavia non prende parte ai
combattimenti; inoltre alla guida dei vari contingenti alleati dei
troiani possiamo vedere anche diversi nobili senza corona. Non vi
sono ulteriori differenze tra i comandanti achei e quelli dello
schieramento opposto: ognuno di essi guida un grande contingente di
uomini, combatte su un carro e ha alcune persone al proprio servizio,
solitamente molto giovani: un auriga, uno scudiero (in certi casi le
due mansioni vengono esercitate da un'unica persona), uno o più
araldi, nonché alcuni servi.
Nell'Eneide la guerra vede da una parte
i troiani guidati da Enea e l'esercito italico di Turno: Enea ha per
condottieri alleati diversi re etruschi, uno dei quali, Asila, è
anche augure; i soli altri italici che combattono al suo fianco sono
il principe arcade Pallante e i due sovrani dei Liguri, Cunaro e
Cupavone. I condottieri dell'esercito italico appartengono a varie
popolazioni: tra di loro vi sono re, principi e aristocratici vari.
Anche qui vi è un re-augure, Ramnete (non è nota la provenienza):
nella rassegna dei condottieri italici figura pure un altro
sacerdote, il marso Umbrone, inviato dal re Archippo. Per quanto
riguarda i Rutuli, ovvero i sudditi di Turno, si deve notare come
essi non siano sottoposti direttamente al loro sovrano, ma militino
in vari corpi armati, ognuno dei quali è retto da un condottiero in
seconda, tra i quali troviamo Anteo, Luca, Volcente, Atina, Remo:
quest'ultimo è accompagnato da uno scudiero e da un auriga, proprio
come i capi militari dell'Iliade.
Le figure bibliche di condottieri sono
numerose, e tutte presenti nell'Antico Testamento, sia tra gli Ebrei
sia tra i loro nemici. Mosè e Giosuè sono a tutti gli effetti capi
militari che guidano i figli d'Israele nel lungo viaggio verso la
Terra promessa, dovendo armarsi contro molte popolazioni ostili. Dopo
l'insediamento in Palestina gli Ebrei saranno chiamati a difendere i
loro territori tramite altri condottieri, i Giudici.
La Scrittura non tralascia di delineare
le personalità dei condottieri nemici, tendendo a evidenziare le
loro nature violente, con la sola eccezione costituita dal giovane
Sisara (o Sisera), mercenario alla guida di un esercito di 800 carri
da guerra per conto del re cananeo Iabin: originario forse della
Sardegna, Sisara si era trasferito nel Vicino Oriente con la madre
vedova, della quale si prendeva cura tra una battaglia e l'altra.
Sotto la guida di Barac, uno dei Giudici, gli Ebrei pongono fine
all'invincibilità del grande condottiero nemico, sconfiggendolo in
uno scontro nei pressi del monte Tabor.
Nella Grecia classica la figura del
condottiero aveva un ruolo assai influente nel popolo. I primi grandi
capi militari spuntarono durante la Prima guerra persiana. Dalla
Grecia i comandanti politici erano Milziade e Callimaco di Afidna,
mentre l'esercito persiano era diretto da Dario I. Sebbene i persiani
fossero assai superiori di numero, l'esercito greco, composto da
opliti, sbaragliò i nemici nel 490 a.C. a Maratona dove colse una
grande vittoria. Lo stesso avvenne una decina di anni più tardi
quando il figlio di Dario, Serse, organizzò una nuova e più potente
spedizione che contava decine di migliaia di uomini.
Dato che la Grecia era divisa in varie
parti in contrasto l'una con l'altra, solo il re spartano Leonida
volle sacrificarsi con 300 uomini per ritardare di qualche giorno
l'avanzata nemica. La battaglia si svolse nei pressi delle Termopili
nel 480 a.C., con la sconfitta e il massacro dell'esercito spartano,
ma poco dopo ci fu la vittoria della flotta ateniese, condotta da
Temistocle, nell'isola di Salamina, nel 479 a.C. Successivamente si
ricordano gli strateghi Pericle ed Alcibiade, protagonisti della
Guerra del Peloponneso. Il primo, instauratore della democrazia ad
Atene, morì a causa della peste nel 429 a.C. e il comando
dell'esercito contro gli spartani fu dato ad Alcibiade. Sebbene
questi stesse per vincere i nemici nell'assedio di Siracusa, fu
costretto a rientrare in patria a causa della mutilazione di alcune
statue dedicate ad Ermes, il dio messaggero. Ripudiato dagli
ateniesi, Alcibiade preferì schierarsi dalla parte opposta, al
fianco degli spartani, e gli ateniesi rimasti in Sicilia furono
catturati e mandati a morire nella Latomia.
Ma il più grande condottiero della
Grecia fu senza dubbio Alessandro Magno, il quale, dopo la morte del
padre Filippo, fu costretto a reprimere la ribellione di Tebe.
Sconfitti i nemici, Alessandro bramava qualcosa di più grande
dell'unione dell'intera Grecia con la Macedonia: la conquista
dell'intera Persia. Il suo progetto era di deporre il sovrano Dario
III, affinché vi fosse un unico legame indistruttibile di cultura,
scambi commerciali, letteratura e religione tra i due stati. La
spedizione sembrava quasi impossibile, ma Alessandro, grazie anche
alla collaborazione di alcuni abili luogotenenti come Efestione,
Parmenione, Cassandro, Clito il Nero, Poliperconte e Nearco,
sconfisse nelle battaglie del Granico, di Isso e di Gaugamela
l'enorme esercito nemico; Dario fu ucciso poi da un gruppo di
congiurati persiani e il condottiero macedone riuscì a provocare il
crollo dell'immenso Impero persiano. Egli organizzò subito la sua
conquista e installò la nuova capitale a Babilonia.
Alessandro continuò la sua
infaticabile opera di conquista raggiungendo le estreme propaggini
dell'impero persiano ed entrando in India; solo la morte prematura
interruppe la sua azione di conquistatore e unificatore dell'oriente
ellenistico. Per le sue imprese quasi leggendarie, la sua breve e
incredibile vita e per la sua affascinante personalità di
conquistatore, Alessandro Magno entrò subito nel mito, grazie anche
all'opera di divulgazione di una serie di storici e testimoni delle
sue imprese; egli rimane l'archetipo del condottiero vittorioso.
Tra le più importanti figure di
condottieri dell'età romana vi sono, oltre al cartaginese Annibale
Barca, il più grande nemico di Roma, Publio Cornelio Scipione
Africano, Gaio Mario, Gneo Pompeo Magno, Marco Antonio e soprattutto
Gaio Giulio Cesare.
Publio Cornelio Scipione, vissuto nel
III secolo a.C., fu comandante dell'esercito romano contro quello
cartaginese nella fase finale della seconda guerra punica, iniziata
con l'invasione dell'Italia da parte dell'esercito cartaginese
guidato da Annibale Barca. Annibale, che odiava Roma a causa della
sconfitta precedente del padre Amilcare nella prima guerra punica,
era un generale di doti straordinarie e all'inizio ottenne una serie
di nette vittorie: l'esercito romano subì pesanti sconfitte sul
fiume Trebbia, sul Lago Trasimeno e a Canne. Grande stratega dotato
di estrema abilità tattica, Annibale continuò per oltre quindici
anni a combattere in Italia senza subire sconfitte, intimorendo con
il suo prestigio e la sua impressionante reputazione i comandanti dei
numerosi eserciti romani che furono impegnati contro di lui. Tutti
gli storici antichi e moderni hanno espresso grande ammirazione per
le qualità di condottiero di Annibale; alcuni lo ritengono il più
grande generale dell'antichità.
I romani riuscirono comunque a
prolungare la guerra e a fiaccare lentamente l'esercito di Annibale
con una tattica di logoramento. Le sorti della guerra volsero a
favore dei romani dal 208 a.C. con le vittorie di Scipione in Spagna
contro i luogotenenti di Annibale; infine nel 202 a.C. Scipione vinse
contro lo stesso condottiero cartaginese in Africa la decisiva
battaglia di Zama, per questo successo ricevette il titolo di
"Africano". Sebbene odiasse i nemici, Scipione mostrava
molta humanitas nei loro confronti. Era un uomo molto colto e amante
della letteratura sia latina che estera, tanto che creò a Roma il
Circolo degli Scipioni, composto da lui e da eruditi, come Quinto
Ennio, Lucilio e Publio Terenzio Afro, il commediografo.
Per oltre
trent'anni la personalità più prestigiosa e potente di Roma fu Gneo
Pompeo Magno che i contemporanei giunsero a definire l'"Alessandro
romano"[1]. Fino all'avvento di Giulio Cesare, Pompeo sembrò
possedere tutte le doti dei più grandi condottieri; egli, dopo
essersi illustrato poco più che ventenne combattendo con abilità
come luogotenente di Lucio Cornelio Silla, ricevette per tre volte
gli onori del trionfo, combatté dall'83 al 62 a.C. una quasi
ininterrotta serie di campagne vittoriose in tre continenti, estese
il dominio di Roma in Oriente e recuperò il controllo del
Mediterraneo. Dal punto di vista militare, Pompeo dimostrò grande
capacità organizzativa, prudenza, notevole abilità strategica,
combattività ed energia personale; in alcune occasioni seppe anche
dirigere le operazioni con grande rapidità e decisione.
Giulio Cesare, vissuto nel I secolo
a.C., dimostrò le sue grandi doti di condottiero in età già matura
dopo una giovinezza irrequieta che non sembrava preludere a grandi
successi militari o politici. La sua campagna di guerra più famosa
fu la difficile conquista della Gallia, durata dal 58 a.C. al 51 a.C.
Dapprima Cesare, prendendo a pretesto spostamenti di popolazioni che
sembravano mettere in pericolo la Gallia Narbonense, attaccò e vinse
gli Elvezi, quindi i Belgi; infine respinse Germani e fece due
incursioni contro i Britanni. Nel 52 a.C. dovette affrontare la
grande rivolta gallica guidata da Vercingetorige che sconfisse nella
decisiva battaglia di Alesia. Anche Cesare, come Scipione, non
riteneva il popolo nemico rozzo ed inferiore, anzi, era talmente
attirato dalle sue usanze e tecniche di combattimento e di difesa che
annotò tutta la sua quasi decennale spedizione in un diario di
guerra: Commentarii de bello Gallico.
Cesare dopo la conquista della Gallia
fu il protagonista della guerra fratricida contro il suo rivale Gneo
Pompeo, anche questa descritta nella sua opera Commentarii de bello
civili. La guerra durò dal 49 a.C. fino al 45 a.C. e si estesa dalla
Grecia, dove venne sconfitto Pompeo, all'Africa, all'Egitto e alla
Spagna, dove Cesare ottenne la vittoria finale nella battaglia di
Munda. Cesare non fu solo un abile condottiero ma soprattutto divenne
l'uomo politico dominante a Roma; fu varie volte eletto console ed
infine dittatore a vita. Sebbene vivesse ancora nell'Età
repubblicana, Cesare sembrava intenzionato a ripristinare la
monarchia o una forma di potere personale assoluto; questa sua
tendenza politica autoritaria provocò la formazione di una congiura
di suoi avversari politici che lo uccisero a coltellate nel 44 a.C.
alle Idi di Marzo; i principali congiurati erano Marco Giunio Bruto e
Gaio Cassio Longino.
Marco Antonio, luogotenente fidato di
Cesare durante le campagne in Gallia e la guerra civile, prese il
controllo dell'esercito dopo la sua morte ed insieme a Marco Emilio
Lepido e al futuro imperatore Augusto, costituì il secondo
triumvirato (il primo era stato fondato da Cesare, Pompeo e Crasso),
che rimase operativo per circa dieci anni fino alla rottura politica
finale tra Antonio e Ottaviano.
Marco Antonio dimostrò le sue doti di
condottiero nella guerra di Modena e soprattutto nella battaglia di
Filippi contro i cesaricidi. Dopo molte vicissitudini e il fallimento
della sua ambiziosa campagna militare in Oriente, Antonio ruppe
definitivamente con Ottaviano. L'ostilità tra i due contendenti si
spostò fino in Egitto, ad Alessandria, dove Antonio si trasferì per
un periodo presso Cleopatra, di cui divenne anche amante. Ottaviano e
Antonio si affrontarono nell'ultima guerra civile nel 31 a.C.;
Ottaviano ebbe la meglio definitivamente nella battaglia di Azio nel
31 a.C., portando il nemico al suicidio un anno dopo assieme alla
regina egiziana. Marco Antonio, descritto come un uomo dalla notevole
prestanza e vigoria fisica, in generale è stato fortemente criticato
dagli storici antichi dell'età imperiale fedeli all'impostazione
storica promossa da Augusto; egli è stato quindi descritto come un
tiranno dedito ai piaceri, lussurioso, smodato, stravagante, succube
di Cleopatra, orientaleggiante, pronto a cedere il dominio di Roma ai
corrotti popoli d'Oriente. La storiografia moderna, soprattutto a
partire dall'opera di Ronald Syme ha in parte rivalutato la figura di
Marco Antonio; pur non negando gli eccessi della sua vita privata e i
suoi comportamenti a volte incoerenti, gli studiosi lo ritengono
condottiero dalle ottime qualità militari, energico e determinato, e
un politico a volte spietato ma meno subdolo, astuto e mistificatore
di Cesare Ottaviano.
Durante il Basso Impero, fecero una
grande carriera militare numerosi personaggi di origine germanica.
Dopo la caduta dell'Impero romano
d'Occidente nel 476, ci fu un periodo di grande crisi, depressione ed
arretratezza sia politica che culturale, costituita spesso da
invasioni e rivolte di vari popoli dell'Europa. La figura del
condottiero da quell'epoca fino agli albori del 1000 divenne simbolo
di leggende e di racconti popolari. Infatti il personaggio si
trasformò nel cavaliere errante e alla ricerca di avventure, di
nemici da sconfiggere, di mostri da uccidere e di belle dame da
proteggere. I suoi valori maggiori erano l'onestà, il coraggio, la
temperanza, la determinazione, la forza e, ultimo ma non meno
importante, la fedeltà verso il proprio signore o re. Due grandi
esempi in questo periodo furono il paladino Rolando (oppure Orlando),
personaggio probabilmente reale protagonista della Chanson de Roland
ed il cavaliere Artù.
Il primo era al servizio del re
francese Carlo Magno, quindi durante la seconda metà del 700, ed
aveva tutte le caratteristiche del buon cavaliere. Rolando si
dimostrava sempre degno di fiducia e conduceva in ogni assedio il suo
esercito alla vittoria. Sebbene fosse morto per inganno durante il
ritorno dalla battaglia di Roncisvalle, Rolando dimostrò al re
grande determinazione e coraggio, resistendo strenuamente e
coraggiosamente fino all'ultimo nell'imboscata tesa dai nemici
Saraceni.
Re Artù, originario della Bretagna, ma
assolto nell'esercito romano per alcune spedizioni contro il suo
popolo, dimostrò grande fedeltà non attaccando il suo padrone.
Inoltre, sconfitto il nemico tedesco dei Goti, il quale minacciava
l'Impero romano per la sua crudeltà e spietatezza, riuscì a
conquistare la fiducia del suo popolo grazie all'amicizia con il mago
Merlino e alle nozze con la principessa Ginevra. Successivamente Artù
passò da condottiero dell'esercito romano a re del popolo
britannico, governando con legge, giustizia e saggezza.
Nei primi due secoli del secondo
millennio d.C. si formarono eserciti mercenari voluti dal Papa per
combattere gli "infedeli" musulmani ed arabi in Terra
Santa. Queste spedizioni furono chiamate "crociate" e in
tutto nella storia ce ne furono 8.
A partire dal XIV secolo, complici i
rivolgimenti e i tumulti dell'epoca, si assiste negli stati italiani
alla formazione di vere e proprie "scuole militari" che
fanno raggiungere all'arte bellica notevoli progressi strategici e
tattici. Tali scuole vengono definite compagnie di ventura ed ognuna
di loro ha a capo, per l'appunto, un capitano di ventura. I soldati
che vi facevano parte venivano detti soldati di ventura, e per la
maggior parte erano mercenari, ovvero militavano per colui che era in
grado di offrirgli il più alto compenso economico, al fine esclusivo
di trarne un vantaggio per il proprio tornaconto. Data la numerosità
dei soldati, la compagnia era divisa in varie schiere, ognuna guidata
da uno o più militi di maggior esperienza ed abilità, detti
condottieri, sottoposti a loro volta al capitano di ventura. Più
precisamente il termine "condottiero" prende il nome dalla
"condotta", cioè dal contratto che stipulava l'uomo d'arme
con un governo per mettersi al suo servizio.
Tra le prime compagnie di ventura si
segnalano la Compagnia della Colomba, formatasi nel 1333, nella quale
si riunirono soldati provenienti da Perugia e da Arezzo, e la
Compagnia di San Giorgio, nata sei anni dopo con Lodrisio Visconti e
rifondata nel 1377 da Alberico da Barbiano. Nel 1347 il condottiero e
politico Cola di Rienzo favorì lo sviluppo dell'esercito militare
semi-nazionale con la nascita della Compagnia Bianca, una
congregazione composta da oltre trentamila componenti. Fino a quel
tempo gran parte degli eserciti era costituito da soldati stranieri o
prigionieri di guerra, ora l'esercito pian piano cominciava a
diventare nazionale, ovvero formato da soldati quasi tutti
provenienti dall'Italia. Ma spesso accadeva che questi nuovi
comandanti si ribellavano contro il loro signore, come accadde con la
nobile stirpe ungherese dei Landau, il cui maggior esponente fu il
Conte Lando, deposta dai comandanti Alberto Sterz e Giovanni Acuto,
sempre riferito da Machiavelli nel suo trattato Il Principe. Nel
frattempo, fino alla fine del XV secolo, in Italia e in Europa,
continuarono a svilupparsi nuove società militari, come la più
famosa Società della Rosa (o Compagnia della Rosa), diretta da
Giovanni da Buscareto e Bartolomeo Gonzaga.
In seguito molti capitani e comandanti
cominciarono a considerare inutile l'atto eroico di gettarsi in
battaglia, col rischio di morire, e cominciarono a riconsiderare la
"scienza militare", cercando di vincere le guerre con
l'astuzia. Vi furono anche certi comandanti che, divenendo molto
potenti, rovesciarono i loro padroni per prendere il controllo delle
terre e delle città: questi furono ad esempio Braccio da Montone e
Muzio Attendolo Sforza. Con questi gli eserciti si modernizzarono,
adottando quasi tutti nuove tecniche di combattimento e strategie
militari (Niccolò Machiavelli, approfondendo questo cambiamento,
scriverà nel XVI secolo il trattato Arte della guerra); alle soglie
del Rinascimento, ormai gli esiti delle battaglie contavano un numero
minore di perdite sia umane che degli strumenti di guerra.
Tra i più noti condottieri e capitani
di ventura dell'epoca, si ricordano, in ordine alfabetico e per
periodo storico:
- XIII secolo: Castruccio Castracani, Corso Donati, Ezzelino III da Romano, Farinata degli Uberti, Uguccione della Faggiola;
- XIV secolo: Alberico da Barbiano, Alberto Sterz, Ambrogio Visconti, Anichino di Bongardo, Bartolomeo Gonzaga, Biordo Michelotti, Bonifacio Lupi, Cangrande I della Scala, Ceccolo Broglia, Cola di Rienzo, Conte da Carrara, il Conte Lando, il Duca Guarnieri, Egidio Albornoz, Facino Cane, Filippo Scolari, Fra Moriale, Francesco I Gonzaga, Gian Galeazzo Visconti, Giovanni Acuto, Giovanni da Barbiano, Giovanni da Buscareto, Guido d'Asciano, Guidoriccio da Fogliano, Jacopo Dal Verme, Lodrisio Visconti, Luca di Canale, Ludovico I Gonzaga, Mostarda da Forlì, Niccolò Acciaiuoli, Ottobuono de' Terzi, Paolo Savelli, Raimondo Orsini del Balzo, Ugolotto Biancardo, l'Ungaro;
- XV secolo: Alessandro Sforza, Angelo della Pergola, Angelo Tartaglia, Antonio Caldora, Ardizzone da Carrara, Bartolomeo Colleoni, Bernardino Ubaldini della Carda, Braccio da Montone, Brandolino Conte Brandolini, Camillo Vitelli, il Carmagnola, Cesare Borgia, Ercole I d'Este, Federico da Montefeltro, Francesco Piccinino, Francesco Sforza, il Gattamelata, Gentile da Leonessa, Gianfrancesco Gonzaga, Giorgio Castriota Scanderbeg, Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Giovanni Maria Vitelleschi, Guido Torelli, Jacopo Caldora, Jacopo Piccinino, Ludovico Colonna, Ludovico il Moro, Luigi Dal Verme, Malatesta I Baglioni, Micheletto Attendolo, Niccolò da Tolentino, Niccolò III d'Este, Niccolò Orsini, Niccolò Piccinino, Niccolò Vitelli, Muzio Attendolo Sforza, Odoardo Colonna, Obizzo da Carrara, Paolo Orsini, Roberto Malatesta, Roberto Sanseverino, Scaramuccia da Forlì, Sigismondo Pandolfo Malatesta, Vitellozzo Vitelli;
- XVI secolo: Alessandro da Terni, Alfonso III d'Avalos, Ambrogio Spinola, Bartolomeo d'Alviano, Ettore Fieramosca, Fabrizio I Colonna, Fanfulla da Lodi, Fernando Francesco d'Avalos, Francesco II Gonzaga, Giampaolo Baglioni, Gian Giacomo Trivulzio, Giovanni dalle Bande Nere, Lucantonio Tomassoni, Marcantonio I Colonna, Marcantonio II Colonna, il Medeghino, Pietro Strozzi, Prospero Colonna, Stefano Colonna.
Dalla fine del Cinquecento e all'inizio
del Seicento in Italia la figura del condottiero pian piano cominciò
a volgere verso un lento ma costante declino. Ciò si incominciò a
vedere già nell'inizio del Cinquecento quando Roma fu per l'ennesima
volta invasa e saccheggiata, questa volta dai Lanzichenecchi, soldati
mercenari protestanti, non pagati da Papa Paolo III. Il modello del
perfetto condottiero ormai era diventato un sogno, come confermato
anche da Niccolò Machiavelli ne Il Principe, dato che gli attuali
capitani si abbandonavano solo alla gozzoviglia, all'imbroglio e si
vendevano a chi offriva loro più servigi. Il codice cavalleresco che
si trova nei romanzi d'avventura e nelle leggende, come quella di Re
Artù, è cambiato completamente e i capitani, piuttosto che uccidere
i nemici, si limitavano a catturarli solo per avere maggiori
informazioni, per poi lasciarli liberi.
Probabilmente l'ultimo grande
condottiero vissuto in età rinascimentale fu Cesare Borgia, figlio
di Papa Alessandro VI. Questi contando sull'appoggio politico ed
episcopale del padre e sull'alleanza con Luigi XII di Francia e
Ludovico il Moro, conquistò l'intera Emilia-Romagna e tutte le sue
città più importanti tra il 1499 e il 1503, ottenendo un intero
principato. Tuttavia per ottenere tutto si rese protagonista di molte
congiure culminate con omicidi, tutti giustificati e tenuti al
segreto più completo dal padre. Dopo la morte di Alessandro VI,
tutti i problemi e i nemici del pontefice si ripercossero sul figlio,
che dapprima cadde sconfitto nelle battaglie di Pisa, Siena e Lucca,
per poi venire ostacolato dal nemico Papa Giulio II. Battuto anche a
Napoli, Cesare rimase infine ucciso in un'altra battaglia, avvenuta
nel 1507.
Tra gli ultimi grandi condottieri ci
furono, tra il 1550 e la metà del Settecento, Ambrogio Spinola, il
Medeghino e Raimondo Montecuccoli. Successivamente la carica sparì
quasi del tutto: attualmente permane solo quella della Guardia
svizzera pontificia in Città del Vaticano, scorta del Papa.
Nella letteratura e successivamente nel
cinema accadeva che molti soldati di ventura o capitani fossero messi
in ridicolo, per ricalcare un'ironica e satirica, ma veritiera,
rappresentazione della realtà attuale. Gli esempi più chiari sono
la figura di Don Chisciotte della Mancia, capitano spagnolo errante e
sfortunato che cerca nemici fittizi da sconfiggere, la nascita della
maschera comica del capitano, uomo bello, robusto e pomposo, ma in
realtà timoroso e imbelle, ed infine il personaggio cinematografico
di Brancaleone da Norcia nei film L'armata Brancaleone (1966) e
Brancaleone alle crociate (1970), entrambi diretti dal regista Mario
Monicelli.
