Per
capitano
di ventura
si
intende il comandante in capo di truppe militari di soldati di
ventura mercenari dette compagnie di ventura.
La figura divenne famosa nel Medioevo,
tra il XV ed il XVI secolo, soprattutto in Italia settentrionale,
anche se già nel 1159 in Inghilterra gruppi di soldati mercenari
guidati da capitani di ventura si misero al servizio di Enrico II
Plantageneto e ben presto si diffusero anche in Francia ed in
Germania in quanto rivelatisi strumento indispensabile alle monarchie
per combattere i vassalli ribelli.
Il fenomeno delle compagnie di ventura
si sviluppò in particolare dopo le crociate, quando i figli cadetti
di nobili famiglie vennero avviati al mestiere ecclesiastico o delle
armi. Coloro che intrapresero la vita militare, penalizzati dalla
primogenitura, si organizzarono mettendo la propria abilità militare
a disposizione dei vari signori che avevano necessità di difesa o di
intraprendere campagne militari.
Nei comuni italiani, dove il notevole
sviluppo delle attività artigianali, artistiche, letterarie ed
industriali aveva, in qualche modo, allontanato la borghesia dallo
spirito guerresco, si poteva porre rimedio, nel caso di un conflitto,
assoldando i condottieri, ormai divenuti veri e propri impresari di
guerra. I capitani di ventura comandarono dapprima plotoni di servi
della gleba, poi di reduci dalle crociate o di disperati a causa di
grandi crisi economiche. Il reclutamento avveniva solitamente
all'estero e quindi non era desueta la pratica del tradimento durante
l'atto bellico.
Se da una parte è vero che talvolta i
capitani di ventura ci tenevano soprattutto a risparmiare i loro
uomini e i loro cavalli arrivando persino ai casi limite di
combattimenti prolungati ma con scarsissimo spargimento di sangue,
dall'altra si dimostrarono abili nel maneggio delle armi,
introducendo per primi la tecnica dei combattimenti a cavallo con
indosso pesanti armature. L'abitudine di far rivestire i propri
uomini di ferro anziché di cuoio viene, per primo, attribuita al
capitano Mostarda da Forlì.
Solamente con l'introduzione delle armi
da fuoco e di agguerrite milizie nazionali, il periodo aureo dei
capitani di ventura tese progressivamente ad esaurirsi.
Tra i più celebri si annoverano
Bonifacio Lupi, marchese di Soragna, al servizio di Firenze nella
guerra contro Pisa (1363) e di Padova contro Venezia, Alberico da
Barbiano, fondatore della Compagnia di San Giorgio (1378); Muzio
Attendolo Sforza (1369-1424), di origine romagnola al servizio di
Napoli e fondatore, assieme al figlio Francesco Sforza, della
notissima casata che regnerà su Milano; Angelo Tartaglia, conte di
Toscanella e signore di Lavello, vicario dell'antipapa Giovanni XXIII
e rettore del Patrimonio di San Pietro in Tuscia; Bartolomeo
d'Alviano; Erasmo da Narni detto il Gattamelata e Francesco Bussone
detto il Carmagnola.
Riferimenti a tale figura si trovano
più volte nelle opere letterarie italiane, come nell'"Arte
della guerra" di Niccolò Machiavelli, ne "Il libro del
cortigiano" di Baldassarre Castiglione, ne "I cinque canti"
di Ludovico Ariosto, nel "Decameron" di Giovanni Boccaccio
e ne "Il conte di Carmagnola" di Alessandro Manzoni.
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