giovedì 29 settembre 2022

Il Buffone di Corte: Saggio, Spietato, Sopravvissuto

Per molti, la figura del buffone di corte richiama immediatamente l'immagine stereotipata di un uomo dall’aspetto ridicolo, con campanelli sul cappello, intento a far capriole per divertire re annoiati. Ma la verità storica è ben più complessa e, per certi versi, sorprendente. Il buffone non era (solo) un pagliaccio: era un osservatore acuto, un satirico con licenza di parola, un consigliere travestito da comico. Il cliché, come spesso accade, contiene una traccia di verità — ma è solo un riflesso sbiadito della realtà.

A corte, il buffone migliore non era colui che sapeva solo far ridere, ma colui che sapeva quando farlo, a chi rivolgersi e cosa dire senza oltrepassare il confine tra irriverenza e tradimento. Spesso erano individui dotati di intelligenza superiore alla media, abilissimi nel leggere la stanza, nel cogliere sfumature politiche e sociali, e nel trasformare verità scomode in battute che strappavano risate invece che condanne.

Will Sommers fu uno dei giullari più noti alla corte di Enrico VIII, riuscendo a mantenere la propria posizione per decenni nonostante i capricci — e la pericolosissima imprevedibilità — del re. Non era solo tollerato: era ascoltato. E sopravvisse a molti altri cortigiani più potenti di lui.

Non esisteva un iter ufficiale o una candidatura formale. Nessun concorso, nessun bando di selezione. Il buffone si faceva notare. Alcuni partivano dalle piazze: saltimbanchi, mimi, poeti satirici, artisti itineranti. Altri erano letterati, filosofi, perfino ex preti caduti in disgrazia. Avevano in comune la prontezza di spirito e una certa inclinazione alla sovversione mascherata da umorismo.

Ma c’era anche un altro tipo di buffone: quello “naturale”. Persone con disabilità fisiche o tratti particolarmente inusuali venivano talvolta scelte perché si credeva avessero una connessione con il soprannaturale, o perché la loro presenza aveva un valore simbolico: rappresentavano l’imprevedibilità della sorte, la fragilità dell’ordine umano, la “follia” della verità. In certi casi, erano protetti dal re proprio per il loro “status diverso”.

Tuttavia, questo non implicava necessariamente una condizione umiliante. Alcuni di questi buffoni naturali, come Triboulet, alla corte francese, erano tanto rispettati quanto temuti per la loro lingua affilata. Triboulet era famoso per i suoi giochi di parole e la sua capacità di insultare i nobili in modo talmente elegante che era impossibile punirlo senza perdere la faccia.

Il buffone camminava costantemente su un filo sottile. Il suo compito era dire ciò che nessun altro poteva permettersi di dire. Prendere in giro le decisioni sbagliate. Evidenziare le ipocrisie. Mettere in ridicolo chi si prendeva troppo sul serio.

Ma farlo significava correre un rischio reale. Dire la battuta sbagliata, nel momento sbagliato, davanti alla persona sbagliata… e il buffone poteva finire decapitato o gettato in prigione. Le cronache ci offrono più di un caso in cui un commento fuori posto ha avuto esiti fatali. Anche la tolleranza del sovrano aveva un limite.

Eppure, il buffone era anche una figura protetta. Colpire un buffone era, in molti casi, come colpire la stessa autorità del re. Non era raro che i sovrani si infuriassero con cortigiani che avevano osato rispondere male al proprio giullare. Non perché questi fosse sacro in sé, ma perché rappresentava la volontà del monarca. Il buffone era il canale autorizzato della verità — purché facesse ridere.

In molti casi, il buffone non era solo un elemento decorativo o una valvola di sfogo per le tensioni della corte. Era una figura consultata in momenti di dubbio. Aveva il permesso di dire la verità spogliata di diplomazia. Per questo motivo, alcuni storici li definiscono “i consiglieri più onesti che un re potesse avere”.

Il fatto che le loro parole fossero sempre mediate dal comico non diminuiva l’impatto delle loro osservazioni. Anzi, le rafforzava. Quando una battuta smaschera un’ipocrisia, lo fa con una precisione chirurgica che nessuna reprimenda ufficiale potrebbe mai ottenere.

Forse il ruolo del buffone non è del tutto scomparso, ma si è trasformato. Oggi vive nei comici satirici, negli editorialisti più audaci, nei vignettisti che osano disegnare ciò che nessun altro osa scrivere. Ma la figura del buffone di corte aveva un’intimità e una funzione sociale che sono difficili da replicare: era dentro il potere, ma lo metteva costantemente in discussione. Era al servizio del re, ma solo finché riusciva a farlo ridere della verità.

Ecco perché, alla fine, lo stereotipo del buffone sciocco è solo una mezza verità. Alcuni lo erano, certo. Ma i più memorabili non erano degli sciocchi: erano i più saggi tra gli “sciocchi”, uomini e donne che avevano capito che ridere era l’ultima libertà, e che dire la verità ridendo era l’arte più pericolosa e più necessaria di tutte.