Il termine scudiero aveva sia
nell'antichità che nel medioevo due significati diversi
nell'ambiente militare.
L'uno indicava il valletto d'armi,
ovvero un giovane incaricato di portare le armi e lo scudo del suo
signore in guerra. Nella mitologia classica alcuni scudieri fungono
pure da aurighi, come gli omerici Molione e Midone; anche nell'Eneide
c'è un ragazzo con entrambe le mansioni, ed è agli ordini del
condottiero rutulo Remo (per alcuni traduttori il passo in questione
parlerebbe però di due figure distinte, uno scudiero e un auriga).
Questi personaggi vengono detti scudieri o palafrenieri, avendo anche
le stesse responsabilità degli addetti alle scuderie in servizio di
vigilanza, i quali, agli ordini di un capo-scuderia, sono incaricati
di sorvegliare i quadrupedi ricoverati nelle scuderie del corpo,
specialmente nelle ore notturne (e uno di loro, lo scudiero di Remo,
troverà la morte durante un turno di guardia negligentemente
condotto, facendosi colpire nel sonno dalla spada di Niso). Ancora
nel poema epico virgiliano è presente il personaggio di Acate (il
fedele armigero di Enea), il cui nome è diventato praticamente
sinonimo di scudiero (fidus Achates).
L'altro significato era quello di
scudiero nobile, o per meglio dire, allievo cavaliere, ed indicava il
nobiluomo che si metteva alle dipendenze di un cavaliere provetto per
apprendere l'uso delle armi e del cavallo, onde a sua volta diventare
cavaliere. A seconda poi che questo scudiero fosse stato agli ordini
di un personaggio più o meno elevato nella gerarchia nobiliare del
medio evo, assumeva di riflesso luce ed importanza di grado, tanto
che presso le grandi monarchie gli scudieri dei re e dei principi
avevano precedenza sugli stessi grandi condottieri e generali. Lo
scudiero in combattimento pugnava contro lo scudiero dell'avversario,
e contro tutti quelli del seguito di esso che non erano cavalieri,
sebbene non fosse agevole nelle mischie osservare tali formalità.
In Germania gli scudieri venivano
spesso riuniti in Squadroni e adoperati come cavalleria leggera, a
frotte, od a gruppi alla spicciolata, dopo il primo scontro dei
cavalieri, e dopo il loro caracollo. Essi diedero origine ai raitri.
La voce scudiero passò successivamente
per ragioni araldiche ad indicare la carica di un gentiluomo di corte
il quale aveva anche cura delle scuderie reali; viene altresì
indicato con il termine più proprio di cavallerizzo (francese
écuyer) e il suo ruolo è illustrato da Claudio Corte nel suo libro
Il cavallarizzo. Tale carica continua ad essere in vigore presso le
corti attuali, dove oltre al Grande Scudiere vi sono quelli di
sottordine.
In campo artistico si ricorda Ritratto
di guerriero con scudiero, dipinto di Giorgione.