Valutazioni ed atteggiamenti sociali diversi verso un comportamento percepito come “deviante” dell’ordine naturale
Se il Medioevo ha lasciato poche tracce
sulla sessualità in genere, questo limite è ancora più evidente
per quanto riguarda i rapporti tra due persone dello stesso sesso. La
condanna morale è sempre stata una costante nella civiltà cristiana
medievale, ma gli atteggiamenti concreti che ne sono conseguiti hanno
subito variazioni nel tempo. Non sempre e non subito sodomiti,
eretici e sovvertitori dell’ordine naturale furono messi al
rogo.
Nel mondo antico, i pregiudizi erano più legati alla
sessualità in generale che all’omosessualità in particolare.
Tutto quello che era la sessualità al di fuori delle norme
matrimoniali e a fini procreativi era da condannare, sia che fossero
pratiche eterosessuali che omosessuali.
La tolleranza del mondo
antico verso le pratiche omosessuali non sopravvisse alla caduta
dell’Impero Romano.
Giustiniano I
Già nel 533 d.c. l’imperatore
bizantino Giustiniano collocò tutte le relazioni omosessuali nella
stessa categoria dell’adulterio, punibile con la pena capitale.
Qualche anno dopo emise ulteriori leggi, per la maggior parte di
natura esortativa, non punitiva, per spingere coloro che erano caduti
in simili peccati a cercare il perdono con la
penitenza.
L’atteggiamento, abbastanza moderato, che
caratterizzò il periodo altomedievale mutò, a partire dal XII
secolo, fino ad arrivare alla creazione di norme repressive ad hoc e
di un’aperta ostilità, supportata dalla legislazione e dalla
morale cattolica.
Testimonianza di questo cambiamento di mentalità
è evidente nell’opera del monaco Pier Damiani, che affronta, in
modo sistematico, il problema dell’omosessualità in ambito
ecclesiastico. Egli, con l’obiettivo di risanarne i costumi,
individua come unica soluzione l’immediata degradazione del reo, a
qualunque grado gerarchico appartenesse.
Gli estensori degli
Statuti di Bologna del 1257 esortavano gli aderenti alla “Societas
sancte Marie” a denunciare, oltre agli eretici, anche i sodomiti,
puniti con l’esilio; bando che nessun decreto successivo poteva
revocare. In un’altra rubrica statutaria, inoltre, prevedevano la
pena di morte per combustione nei confronti di chi li ospitava nella
propria dimora. Effettivamente, in Italia, la prima testimonianza
dell’uso del fuoco risale al 1293, anno in cui Carlo II D’Angiò
fece arrestare il conte di Acerra, verso cui provava aperta ostilità,
e dopo averlo accusato di essere un sodomita lo fece condannare.
La
normativa statutaria di Firenze prevedeva la castrazione per i “rei”
o “viziosi” (tali erano considerati gli omosessuali). Se
coinvolto un minore di quattordici anni era prevista un’ulteriore
pena di natura pecuniaria; inoltre, se l’atto costituiva un
comportamento abituale, il colpevole era condannato anche al taglio
della mano destra. Solo per i forestieri che si fermavano a Firenze e
vi commettevano atti sodomitici, era prevista la massima pena, vale a
dire essere bruciati vivi. La normativa della città di Padova, 1329,
condannava l’omosessualità e tutti gli atti sessuali contrari alla
morale cristiana, compiuti sia da uomini che da donne, tramite la
morte sul rogo. Più complesso era lo Statuto di Tortona che
prevedeva il rogo per gli individui maggiorenni, sanzioni pecuniarie
e corporali ai sodomiti con età inferiore ai diciotto anni; mentre
per chi subiva la “violenza”, sia maggiorenne che minorenne, non
era prevista alcuna pena.
Rogo di due omosessuali nella Zurigo del XV sec.
Le prediche contro l’omosessualità
da parte del clero avevano avuto l’effetto di far emergere il
problema del vizio contro natura, e quindi contro Dio stesso, facendo
si che queste preoccupazioni coinvolgessero anche la sfera
legislativa, prima dei Comuni e poi delle Signorie.
Agli inizi del
Quattrocento, Venezia fu scossa da un enorme scandalo. Dall’indagine
contro la sodomia condotta da un’apposita magistratura, emersero
numerosi nomi di nobili veneziani, imparentati con alcune alte
cariche della Serenissima Repubblica. Anche Firenze, a seguito di un
caso particolare che scosse l’opinione pubblica, 1426, istituì una
magistratura ad hoc per far rispettare le norme contro
l’omosessualità. Nel 1447 il signore di Milano emise un bando
contro gli omosessuali che prevedeva la pubblica delazione dei
peccatori, contro cui era prevista la pena di morte sul
rogo.
L’esito, abbastanza scontato, fu la persecuzione degli
omosessuali e di coloro che commettevano il vizio sodomitico, anche
con donne. Persecuzione che, in alcuni casi, continua tutt’oggi e
che, fino a poco tempo fa, era prassi corrente nella maggior parte
delle nazioni del mondo.
Rogo di eretico
Nel corso degli anni il termine
“omosessualità” ha assunto sfumature sempre più neutre, anche
se il concetto in sé continua ad essere considerato un tabù nella
maggioranza delle culture. Ha sostituito termini usati nel passato
come “sodomia”, il cinquecentesco “vitio nefando”,
“inversione sessuale” e altri termini che avevano connotazioni
moralmente negative o indicavano deviazioni patologiche della sfera
sessuale. Si pensava che l'inversione si manifestasse in ogni aspetto
della vita di quella persona. L'inversione era associata con il
travestitismo, con preferenze per le mete sessuali proprie dell'altro
genere. Quindi, erano comportamenti di genere devianti.
La
concezione oggi dominante è basata sull’assunto che la nostra
sessualità determina la persona, la nostra coscienza, la nostra
intera vita. Nel mondo medioevale la distinzione più importante era
tra le pratiche procreative e quelle non. Il sesso anale e orale era
condannato anche nel matrimonio e visto come più peccaminoso dello
stupro o dell'incesto perché non finalizzato alla riproduzione.