domenica 13 febbraio 2022

Com'era essere gay nel Medioevo?

Valutazioni ed atteggiamenti sociali diversi verso un comportamento percepito come “deviante” dell’ordine naturale

Se il Medioevo ha lasciato poche tracce sulla sessualità in genere, questo limite è ancora più evidente per quanto riguarda i rapporti tra due persone dello stesso sesso. La condanna morale è sempre stata una costante nella civiltà cristiana medievale, ma gli atteggiamenti concreti che ne sono conseguiti hanno subito variazioni nel tempo. Non sempre e non subito sodomiti, eretici e sovvertitori dell’ordine naturale furono messi al rogo.
Nel mondo antico, i pregiudizi erano più legati alla sessualità in generale che all’omosessualità in particolare. Tutto quello che era la sessualità al di fuori delle norme matrimoniali e a fini procreativi era da condannare, sia che fossero pratiche eterosessuali che omosessuali.
La tolleranza del mondo antico verso le pratiche omosessuali non sopravvisse alla caduta dell’Impero Romano.


Giustiniano I


Già nel 533 d.c. l’imperatore bizantino Giustiniano collocò tutte le relazioni omosessuali nella stessa categoria dell’adulterio, punibile con la pena capitale. Qualche anno dopo emise ulteriori leggi, per la maggior parte di natura esortativa, non punitiva, per spingere coloro che erano caduti in simili peccati a cercare il perdono con la penitenza.
L’atteggiamento, abbastanza moderato, che caratterizzò il periodo altomedievale mutò, a partire dal XII secolo, fino ad arrivare alla creazione di norme repressive ad hoc e di un’aperta ostilità, supportata dalla legislazione e dalla morale cattolica.
Testimonianza di questo cambiamento di mentalità è evidente nell’opera del monaco Pier Damiani, che affronta, in modo sistematico, il problema dell’omosessualità in ambito ecclesiastico. Egli, con l’obiettivo di risanarne i costumi, individua come unica soluzione l’immediata degradazione del reo, a qualunque grado gerarchico appartenesse.
Gli estensori degli Statuti di Bologna del 1257 esortavano gli aderenti alla “Societas sancte Marie” a denunciare, oltre agli eretici, anche i sodomiti, puniti con l’esilio; bando che nessun decreto successivo poteva revocare. In un’altra rubrica statutaria, inoltre, prevedevano la pena di morte per combustione nei confronti di chi li ospitava nella propria dimora. Effettivamente, in Italia, la prima testimonianza dell’uso del fuoco risale al 1293, anno in cui Carlo II D’Angiò fece arrestare il conte di Acerra, verso cui provava aperta ostilità, e dopo averlo accusato di essere un sodomita lo fece condannare.
La normativa statutaria di Firenze prevedeva la castrazione per i “rei” o “viziosi” (tali erano considerati gli omosessuali). Se coinvolto un minore di quattordici anni era prevista un’ulteriore pena di natura pecuniaria; inoltre, se l’atto costituiva un comportamento abituale, il colpevole era condannato anche al taglio della mano destra. Solo per i forestieri che si fermavano a Firenze e vi commettevano atti sodomitici, era prevista la massima pena, vale a dire essere bruciati vivi. La normativa della città di Padova, 1329, condannava l’omosessualità e tutti gli atti sessuali contrari alla morale cristiana, compiuti sia da uomini che da donne, tramite la morte sul rogo. Più complesso era lo Statuto di Tortona che prevedeva il rogo per gli individui maggiorenni, sanzioni pecuniarie e corporali ai sodomiti con età inferiore ai diciotto anni; mentre per chi subiva la “violenza”, sia maggiorenne che minorenne, non era prevista alcuna pena.


Rogo di due omosessuali nella Zurigo del XV sec.

Le prediche contro l’omosessualità da parte del clero avevano avuto l’effetto di far emergere il problema del vizio contro natura, e quindi contro Dio stesso, facendo si che queste preoccupazioni coinvolgessero anche la sfera legislativa, prima dei Comuni e poi delle Signorie.
Agli inizi del Quattrocento, Venezia fu scossa da un enorme scandalo. Dall’indagine contro la sodomia condotta da un’apposita magistratura, emersero numerosi nomi di nobili veneziani, imparentati con alcune alte cariche della Serenissima Repubblica. Anche Firenze, a seguito di un caso particolare che scosse l’opinione pubblica, 1426, istituì una magistratura ad hoc per far rispettare le norme contro l’omosessualità. Nel 1447 il signore di Milano emise un bando contro gli omosessuali che prevedeva la pubblica delazione dei peccatori, contro cui era prevista la pena di morte sul rogo.
L’esito, abbastanza scontato, fu la persecuzione degli omosessuali e di coloro che commettevano il vizio sodomitico, anche con donne. Persecuzione che, in alcuni casi, continua tutt’oggi e che, fino a poco tempo fa, era prassi corrente nella maggior parte delle nazioni del mondo.


Rogo di eretico


Nel corso degli anni il termine “omosessualità” ha assunto sfumature sempre più neutre, anche se il concetto in sé continua ad essere considerato un tabù nella maggioranza delle culture. Ha sostituito termini usati nel passato come “sodomia”, il cinquecentesco “vitio nefando”, “inversione sessuale” e altri termini che avevano connotazioni moralmente negative o indicavano deviazioni patologiche della sfera sessuale. Si pensava che l'inversione si manifestasse in ogni aspetto della vita di quella persona. L'inversione era associata con il travestitismo, con preferenze per le mete sessuali proprie dell'altro genere. Quindi, erano comportamenti di genere devianti.
La concezione oggi dominante è basata sull’assunto che la nostra sessualità determina la persona, la nostra coscienza, la nostra intera vita. Nel mondo medioevale la distinzione più importante era tra le pratiche procreative e quelle non. Il sesso anale e orale era condannato anche nel matrimonio e visto come più peccaminoso dello stupro o dell'incesto perché non finalizzato alla riproduzione.