
I maya utilizzavano due tipi di lancia,
una lunga che poteva colpire a decine di metri di distanza e un più
piccola per gli scontri ravvicinati. Usavano anche cerbottane, mazze
di legno con la punta di ossidiana e asce con la punta di selce. Si
muovevano velocemente e attaccavano su terreni aperti o in mezzo alla
vegetazione che spesso veniva sfruttata strategicamente per ordire
trappole o per costruire ritirate offensive.

Per prepararsi alla battaglia i maya
praticavano una ritualità intrisa di usi e costumi tradizionali e
spirituali. I guerrieri partecipavano a riti in cui chiedevano agli
dei aiuto e protezione per la battaglia. I canti, le danze e
l’utilizzo degli strumenti musicali venivano utilizzati come riti
religiosi e sociali e tali cerimonie venivano ufficiate dai sacerdoti
che in alcuni casi erano anche comandanti militari.
La simbologia dei loro amuleti veniva
spesso portata in battaglia. Le stesse armature leggere che
indossavano avevano una simbologia spirituale e una ricchezza di
contenuti sociali. Infatti, chi vinceva la battaglia distruggeva i
simboli religiosi dell’avversario, umiliandolo con la cattura e la
prigionia.
Quando gli Spagnoli giunsero in
Messico, si trovarono di fronte i temibili guerrieri aztechi armati
di strumenti che impallidivano in quanto a tecnologia e resistenza di
fronte alle armi europee: archi relativamente primitivi contro
corazze in grado di respingere colpi di balestra, nessuna protezione
contro
armi da fuoco
che falciavano il nemico
ancor prima che potesse avvicinarsi, e una strategia militare quasi
inesistente contro una tecnicamente impeccabile supportata da secoli
e secoli di guerre europee.
Ciò che gli Spagnoli non realizzarono
immediatamente è che le corazze tecnologicamente avanzate, le armi
da fuoco e la ultracentenaria esperienza bellica non erano elementi
sufficienti a vincere facilmente una guerra come quella condotta
contro gli Aztechi. I conquistadores rimasero particolarmente colpiti
da un’arma, il
macuahuitl, un bastone di
legno rivestito sui bordi da schegge di ossidiana, apparentemente
capace di decapitare un cavallo.

Gli Aztechi avevano sviluppato, nel
corso della loro storia, una particolare abilità nella lavorazione
del legno e della pietra lavica. Questa loro capacità consentì, tra
le altre cose, la nascita dell’ atlatl, un’arma da getto
realizzata anche in altre regioni del mondo, e una serie di lame in
ossidiana incredibilmente decorate e taglienti.
La pietra lavica, tuttavia, non è il
materiale più adatto alla creazione di lame lunghe più di 15-20
centimetri: superata una certa lunghezza il rischio di frattura è
troppo elevato per poter considerare affidabile e durevole una lama
di ossidiana.
Ma il combattimento corpo a corpo non è
fatto soltanto di armi corte: più la nostra arma colpisce con
potenza, più i danni causati saranno ingenti. Per aumentare la
potenza inferta dal colpo di un’arma da taglio o contundente ci
sono essenzialmente due metodi: aumentarne il peso o incrementare il
suo raggio d’azione, in modo tale che la parte terminale dell’arma
acquisisca maggiore velocità durante i tipici movimenti circolari di
una spada, un’ ascia da battaglia o una mazza.
Gli Aztechi ovviarono al problema della
fragilità dell’ossidiana e della lunghezza delle loro armi da
combattimento ravvicinato mescolando legno e pietra. Il macuahuitl
era essenzialmente un bastone di legno di quercia lungo dai 50 ai 100
centimetri e dalla vaga forma a remo; sui bordi dell’estremità più
larga dell’arma venivano innestate schegge di pietra taglienti come
rasoi.
Ogni scheggia era larga da 2 a 5
centimetri e veniva incastrata nel corpo in legno dell’arma
utilizzando anche una miscela adesiva probabilmente ricavata dalla
resina di conifere o dal lattice di alcuni alberi (come quello
dell’albero della gomma). Una
scheggia di ossidiana
non è altro che materiale
roccioso vetrificato, vero e proprio vetro naturale del tutto
somigliante a quello prodotto artificialmente e capace di formare
superfici affilatissime se lavorato con la tecnica più adatta.
Quanto era efficace il macuahuitl?
Secondo Bernal Díaz del Castillo, al seguito di Hernán
Cortés, quest’arma poteva facilmente decapitare un uomo,
arrivando addirittura a tagliare la testa di un cavallo con un solo,
potente colpo dall’alto.
Per la trasmissione
Deadliest Warrior
di SpikeTV, la produzione ha
ricreato un macuahuitl per utilizzarlo contro la replica della testa
di un cavallo dotata di scheletro e ricoperta da gel balistico.
Éder Saúl López, che
manovrava l’arma, è stato in grado di decapitare il bersaglio
utilizzando tre colpi; non esattamente il singolo fendente dei
resoconti spagnoli, ma un risultato ugualmente impressionante.
L’esperimento ha anche dimostrato che
il macuahuitl aumenta la sua potenza se, dopo aver raggiunto il
limite di penetrazione dell’arma, lo si recupera con violenza come
se fosse una sega, lacerando qualunque tessuto incontrato dalle lame.
Ma una società che apprezzava la schiavitù come quella azteca
preferiva catturare vivo il nemico; un movimento di questo tipo
avrebbe causato danni così ingenti ad un potenziale schiavo da
cancellare ogni speranza di sopravvivenza.
Nonostante l’utilizzo di materiali
primitivi, il macuahuitl era un’arma temibile in battaglia, ma fu
anche una delle ragioni fondamentali delle ripetute sconfitte
militari azteche. Un’arma del genere prevede movimenti ampi e
circolari, quindi molto spazio tra un soldato e l’altro; i
guerrieri aztechi avanzavano in modo disordinato menando fendenti
verso qualunque cosa si muovesse, mentre i conquistadores, abituati
alla disciplina e a mantenere fila serrate, combattevano compatti
difendendo e attaccando come una singola unità.
Le
lame di ossidiana, inoltre,
tendevano a staccarsi dal corpo in legno per incastrarsi nei tessuti
della vittima, o a frantumarsi quando incontravano materiale osseo o
l’acciaio delle corazze. Il macuahuitl perdeva velocemente la sua
efficacia come arma da taglio dopo una dozzina di fendenti, lasciando
nelle mani del guerriero azteco soltanto una lunga e pesante mazza
minimamente competitiva nei confronti della tecnologia bellica
spagnola del tempo.
Infine, il macuahuitl fu ideato da una
società profondamente schiavista che vedeva nei prigionieri non solo
un bene di lusso ma una vera e propria offerta alle divinità.
Tornare in città in compagnia di una folta schiera di prigionieri
(prelevati da città o villaggi rivali) era considerato segno di
distinzione per un guerrieri azteco; era importante quindi evitare di
uccidere, se possibile, il maggior numero di potenziali schiavi per
farsi un nome.
Il macuahuitl era perfetto per lo
scopo: le corte lame di ossidiana infliggevano colpi debilitanti ma
raramente fatali nel breve periodo (la casta guerriera veniva
addestrata fin dalla giovane età a colpire per dislocare o ferire);
il bastone a remo era un’arma contundente incredibilmente
efficace per stordine un nemico privo di protezioni e militarmente
inferiore,
perfetta per un agguato di breve
durata e tatticamente disorganizzato.
Nonostante i suoi evidenti limiti, il
macuahuitl è un’arma unica nel suo genere che ha consentito ai
guerrieri aztechi di avere il predominio sul Messico per almeno un
secolo. Era un’arma destinata a guerrieri dalla grande forza fisica
e realizzata da artigiani che padroneggiavano le tecniche di
lavorazione del legno e della pietra come pochi altri nel mondo.
Ad oggi non esiste alcun esemplare di
macuahuitl risalente al periodo pre-conquista: l’ultimo macuahuitl
sopravvissuto agli Spagnoli fu distrutto dall’incendio all’
Armeria Real di Madrid nel 1884.