L’immagine è impressa nell’immaginario collettivo: arcieri sul merlo, una falce di fuoco, e il gesto teatrale del castellano che rovescia sui nemici un mare d’olio bollente. Il cinema l’ha resa icona epica della difesa medievale. Ma la storia militare, più prosaica e attenta alla logistica, ci consegna un quadro diverso. La verità è meno cinematografica e molto più pragmatica: versare olio bollente da una torre era, nella grande maggioranza dei casi, una scelta inefficiente, costosa e pericolosa per i difensori stessi.
Il potere delle immagini cinematografiche ha trasformato una probabilità marginale in una leggenda: l’olio bollente come arma standard di difesa. Il cinema cerca impatto e simbolo, non sempre accuratezza storica. La sequenza visiva — un liquido ardente che scivola sull’acciaio delle armature e incendia file di assalitori — è irresistibile sullo schermo. Nella realtà degli assedi medievali, però, le priorità erano altre: sopravvivenza, razionamento delle risorse e mantenimento della struttura difensiva.
Al centro della ragione militare contro l’uso dell’olio sta la sua valutazione economica e pratica. L’olio, soprattutto nell’Europa medievale e nel Mediterraneo, non era una commodity usa e getta: serviva a cucinare, a illuminare (lampade e lucerne), a lubrificare ingranaggi e attrezzi, e talvolta a scopi medici o di conservazione. In pieno assedio, ogni risorsa era razionata con rigore; consumare grandi quantità di olio per un singolo atto offensivo rappresentava uno spreco che pochi comandanti avrebbero tollerato.
Inoltre, far bollire centinaia di litri di qualsiasi liquido richiede combustibile — legna in quantità — una risorsa che, anch’essa, diventa preziosa durante l’assedio. L’operazione di riscaldamento e trasporto di calderoni bollenti, attraverso scale ripide e spazi ristretti, aumentava il rischio di incidenti catastrofici per i difensori stessi.
La documentazione storica e la pratica bellica suggeriscono contromisure più frequenti, economiche ed efficaci di un’ipotetica pioggia d’olio:
Acqua bollente: semplice da reperire se il castello ha un pozzo o una cisterna, relativamente facile da scaldare in quantità moderate e capace di causare ustioni severe. Era spesso impiegata per respingere assalti alle scale d’assedio o per interrompere la presa su merli e caditoie.
Sabbia rovente: una scelta tattica intelligente: la sabbia scaldata brucia, si insinua nelle armature e nelle pieghe dei vestiti, irrita gli occhi e virtualmente immobilizza l’assalitore. È economica, non richiede grandi contenitori e può essere maneggiata con minor rischio logistico.
Calce viva (ossido di calcio): tra le armi più terribili a basso costo. Messa a contatto con l’umidità e il corpo, reagisce esotermicamente, producendo calore e sostanze caustiche che possono ustionare gravemente e accecare. La calce viva è documentata come spaventosa contromisura per chi cercava di scalare le mura.
Ogetti contundenti e proiettili: pietre, pezzi di legno, pezzi d’arredamento e carcasse di animali (usate anche per diffondere odori e malattie) restavano i mezzi più comuni per infliggere danno immediato e demoralizzare gli assalitori.
Queste alternative erano preferite perché combinavano efficacia, disponibilità e basso costo — elementi essenziali in una situazione di risorse limitate come un assedio.
Un ulteriore motivo pratico contro l’uso dell’olio bollente riguarda la sicurezza strutturale della fortificazione. Calderoni, fiamme vive e liquidi ad alta temperatura su merli e camminamenti, molti dei quali contenevano elementi in legno, esponevano i difensori al rischio concreto di incendio e collasso. Nessun comandante lungimirante avrebbe voluto trasformare la sua fortezza in una torcia per tentare di eliminare gli assalitori. La conservazione della posizione difensiva, infatti, era prioritaria rispetto al gusto per gesti spettacolari.
Occorre però distinguere tra olio alimentare e altri liquidi usati per fini bellici. In alcune regioni e periodi storici si impiegavano materiali come pece, catrame e pitch (prodotti derivati dalla produzione di resine e da lavorazioni vegetali) per creare liquidi infiammabili. Questi materiali, diversi dall’olio commestibile, bruciano più facilmente e potevano essere usati per fiammeggianti proiettili o per incendiare macchine d’assedio. Le fonti storiche talvolta attestano l’uso di sostanze incendiarie, ma si tratta di pratiche differenti dal largamente immaginato gettare olio da cucina bollente su file di assalitori.
Il motivo per cui l’olio bollente sopravvive nella cultura popolare è semplice: drammaticità visiva + semplicità narrativa. Raccontare una battaglia è più efficace se si mostrano immagini nette e simboliche. Inoltre, la ripetizione del trope nei film, nei fumetti e nei videogiochi rafforza l’idea fino a farla sembrare parte della verità storica. Il contrasto tra la bellezza delle immagini e la crudezza della logistica storica alimenta la fascinazione.
La guerra medievale non era fatta di eleganze romantiche ma di scelte pragmatiche: ogni risorsa veniva calcolata, pesata, razionata. L’idea di rovesciare olio bollente dalle torri è prevalentemente una suggestione romantica, non una tattica consolidata nella pratica bellica. Le fonti e il buon senso logistico indicano che acqua bollente, sabbia rovente, calce viva e proiettili vari erano le contromisure reali preferite per la difesa delle mura.
Resta tuttavia uno spazio di eccezione: in contesti dove vi fosse abbondanza di liquidi infiammabili alternativi al cibo (pitch, catrame), l’impiego di materiali incendiari era storicamente documentato. Ma questo non restituisce dignità storica al cliché hollywoodiano dell’olio di cucina versato dalle merlature: quello è un effetto scenico, non una pratica militare standard.