Nel corso dei secoli, l’immagine del cavaliere medievale è stata avvolta da una serie di luoghi comuni, spesso alimentati da racconti romanzati, opere teatrali e film. Questi miti, seppur affascinanti, non sempre corrispondono alla realtà storica, la quale, spesso, si rivela più complessa e meno idealizzata.
Uno degli stereotipi più diffusi riguarda l’armatura. Molti pensano che fosse così pesante e rigida da limitare quasi completamente i movimenti del cavaliere, intrappolandolo come in una gabbia di metallo. In realtà, i cavalieri erano atleti di altissimo livello, allenati fin dalla giovane età per combattere e muoversi agilmente anche indossando un’armatura completa. Realizzata con segmenti di acciaio articolati, l’armatura garantiva una sorprendente libertà di movimento, consentendo al guerriero di compiere azioni che oggi apparirebbero quasi impossibili per chiunque non fosse stato preparato adeguatamente.
Un altro mito riguarda la capacità dei cavalieri di salire a cavallo con la loro armatura. Si narra spesso che fossero così appesantiti da necessitare l’ausilio di una gru o di più persone per issarsi in sella. Questa immagine, resa celebre da film come “Enrico V” di Laurence Olivier del 1944, è però frutto di una licenza artistica. Nella realtà, i cavalieri usavano staffe robuste e una sella progettata per facilitare la salita, potendo montare agilmente senza alcun aiuto esterno.
Un terzo equivoco riguarda la necessità fisiologica dei cavalieri. Si pensa comunemente che un’armatura completa impedisse loro di “fare i bisogni” durante la battaglia o le lunghe campagne militari. Anche questo è falso: l’armatura era composta da pezzi rimovibili in punti strategici, che permettevano di risolvere con pragmatismo i bisogni naturali senza dover smontare completamente l’equipaggiamento.
Infine, il più radicato e forse romantico stereotipo riguarda la natura stessa del cavaliere: un guerriero nobile, coraggioso e cortese, difensore degli innocenti e strenuo combattente contro il male. La realtà storica, tuttavia, è ben diversa. La maggior parte dei cavalieri medievali erano uomini dominati da un’alta carica di aggressività e testosterone, spesso inclini alla violenza e al disordine. Fu soprattutto verso la fine dell’XI secolo che molti signori locali utilizzarono questi guerrieri per rafforzare il proprio potere, scatenando violenze, saccheggi e massacri ai danni delle popolazioni civili.
L’intolleranza verso questo stato di caos fu una delle motivazioni che spinsero Papa Urbano II a indire la Prima Crociata nel 1095. Con l’obiettivo di incanalare la violenza dei cavalieri verso un nemico esterno — i musulmani in Terra Santa — il Papa offrì loro l’“indulgenza plenaria”, cioè la remissione immediata dei peccati dopo la morte in battaglia, promettendo un paradiso eterno come ricompensa spirituale per chi avesse partecipato alla crociata.
Come dichiarò lo stesso Papa Urbano II nel suo appello:
“Per questo vi uccidete a vicenda, fate la guerra e spesso perite per ferite reciproche. Si allontani dunque l’odio tra voi, cessino le vostre liti, cessino le guerre e si plachino tutti i dissensi e le controversie. Intraprendete la strada verso il Santo Sepolcro; strappate quella terra alla razza malvagia e sottomettetela a voi stessi.”
E ancora:
“Tutti coloro che muoiono durante il viaggio, sia per terra che per mare, o in battaglia contro i pagani, avranno la remissione immediata dei peccati. Questo io concedo loro per il potere di Dio di cui sono investito.”
Questa complessa realtà smonta l’ideale romantico di un cavaliere puro e giusto, consegnandoci l’immagine di uomini feroci e spietati, guidati più da interessi terreni e passioni violente che da nobili ideali.
La figura del cavaliere medievale è molto più sfumata di quanto la tradizione popolare e l’immaginario collettivo spesso vogliano ammettere. Comprendere queste verità storiche ci permette di avvicinarci a un passato ricco di contraddizioni e sfaccettature, lontano dagli stereotipi più semplicistici.
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