Certo la cavalleria pesante medievale di tradizione occidentale risultò cruciale nei campi di battaglia del medioevo. I cavalieri cristiani erano delle vere e proprie “corazzate”, la cui armatura pesante divenne sempre più elaborata e sofisticata col passare dei secoli, sino a pesare decine di kg. I loro destrieri erano dei portenti, poiché venivano appositamente scelti per la loro capacità di per reggere il peso non indifferente dei loro padroni e venivano anch’essi corazzati, perlomeno sul capo. Il risultato era un fortezza in movimento, utilizzata quale forza d’urto inarrestabile per spazzare via le schiere nemiche. Certo, il rovescio della medaglia era una mobilità estremamente ridotta, ma per l’uso per la quale era concepita la cavalleria pesante feudale, questa svolgeva alla grande il suo scopo. Ma non è sempre andata bene.
Per rispondere alla domanda, possiamo concentrarci sull’esercito armato alla leggera per eccellenza, quello ottomano del XIV secolo. Certo anch’esso aveva reparti di cavalleria pesante, ma la sua forza risiedeva altrove. Nonostante nell’immaginario collettivo saltino spesso in mente scene di enormi eserciti turchi armati alla buona che si scaraventano sul nemico senza criterio, in realtà le tattiche di queste armate orientali erano tutt’altro che superficiali. Ne sono la riprova le cocenti sconfitte subite dall’occidente ad opera degli eserciti ottomani, spesso al prezzo di ingentissime perdite, ma anche quest’aspetto era in realtà parte di un più grosso disegno tattico, una sorta di effetto collaterale accettabile.
Possiamo prendere quale esempio portante la battaglia di Nicopoli del 1396, la quale vide fronteggiarsi l’esercito cristiano (in buona sostanza franco-ungherese) e quello ottomano guidato dal sultano Bayezid I. Nello scontro che ne seguì potremmo estrapolare un brillante utilizzo dell’esercito ottomano, la cui corazzatura non era minimamente paragonabile alla portentosa cavalleria pesante francese, guidata dal giovane ed inesperto conte di Nevers e posta all’avanguardia dell’armata cristiana.
Dalle accese diatribe scoppiate prima della battaglia su chi dovesse schierarsi in prima linea, come già detto, la spuntarono i francesi, rappresentati dal fior fiore dell’aristocrazia transalpina, imbardata e corazzata dalla testa ai piedi ed armati di lunghe lance d’urto, ritte verso il nemico e sostenute dal cavalieri sotto l’ascella. Le armature erano ormai così complete che da tempo si erano ormai abbandonati gli scudi. Dovremmo stimare la cavalleria francese in 2000 unità, consistente in 1000 cavalieri, ognuno dei quali portava con se uno scudiero (tale solo nel nome, poiché in realtà erano armati in modo non dissimile dei loro cavalieri). Seguivano, come d’uso al tempo, un certo numero di arcieri o balestrieri a cavallo, volti a supportare la carica della cavalleria pesante.
L’esercito ottomano del canto suo era formato innanzitutto dalla cavalleria feudale, chiamata timar, la cui composizione doveva essere molto eterogenea e solo in minima parte armata in modo pesante. Anche il concetto di cavalleria pesante, per gli ottomani, era relativo. Difatti questa frazione dell’esercito non poteva comunque essere paragonata all’omologo contingente francese. Le armature consistevano in cotte di maglia con placche metalliche e lance ben più leggere, tanto che era in uso a questa cavalleria portare ancora lo scudo, abbandonato invece dai “colleghi” cristiani, proprio in virtù della completa protezione offerta dalle loro sofisticate armature.
Il resto della cavalleria era armato alla leggera, in particolare con il tradizionale arco. Un contingente consistente doveva essere composto dagli Aqinji, cavalleria estremamente mobile e fastidiosa, i cui compiti spaziavano dalle manovre diversive alle esplorazioni.
Per quanto riguarda la fanteria invece questa era composta da un misto di Azab e Giannizzeri (il corpo scelto dell’esercito). Ancora una volta, anche questa componente dell’esercito era armato alla leggera, in particolare con l’arco turco e picche.
(Gli Azab, in turco letteralmente i ‘’non sposati’’, avevano una vasta gamma di armi. Questi includono le armi ad asta, come il tirpan e l'harba, nonché la balta (alabarda). Oltre alle armi ad asta erano armati con una varietà di mazze, archi, sciabole e, in misura più rara, balestre. In seguito furono invece adottate le pistole.)
La battaglia ebbe inizio con la carica della cavalleria francese, la quale intendeva spazzare via la prima linea turca, formata dai cavallieri Aqinji. Questi ultimi, ben consapevoli della loro inferiorità e altrettanto ben istruiti dai loro comandati, presero ad infastidire e provocare i cavalieri francesi, - dando anche l’impressione di essere sul punto di fuggire dal campo - i quali appunto caricarono. Fu a quel punto che i cavalieri ottomani si ritirarono velocemente su per la collina alle loro spalle.
Fu in quel momento che si scoprì alla vista dei francesi alla carica, la fanteria leggera ottomana, schierata dietro una fitta selva di picche e pali appuntiti infissi nel terreno, dietro ai quali migliaia di soldati scoccavano le loro frecce contro la cavalleria francese. Quest’ultima si trovò impacciata tra i pali di legno infissi nel terreno, fermando la carica e spendendo del tempo a rimuovere gli ostacoli posti dagli ottomani, tutto ciò sotto una pioggia incessante di frecce. In questa fase le perdite non dovevano essere esagerate, grazie alla corazzatura dei francesi, ma di sicuro molti cavalieri si ritrovarono appiedati, poiché i loro cavalli erano sicuramente più vulnerabili al lancio dei dardi. Rimossi gli ostacoli, la cavalleria riprese l’assalto ed ebbe facilmente ragione della fanteria ottomana, la quale si ritirò, decimata, ai lati dello schieramento.
(cavalleria ottomana)
A quel punto i francesi si trovarono davanti nuovamente di Aqinji, i quali accettarono lo scontro, subendo varie perdite per poi ritirarsi ancora più su per la collina, fino alla sua sommità. Accettare lo scontro palesemente impari e ritirarsi, era esattamente il loro scopo. Dopo questa seconda fase i francesi avevano praticamente risalito tutto il versante nord della collina. È sulla sommità che si ritrovarono il grosso dell’esercito ottomano, sino a quel momento celato dall’altro versante della collina.
I cavalieri francesi dovevano essere atterriti. La ritirata fu chiamata precipitosamente, ma la situazione era compromessa. Più della metà dei cavalieri erano ormai appiedati, avendo perso i cavalli durante gli scontri. La carica frenetica ed il successivo inseguimento contro gli ottomani in apparente rotta aveva scompigliato le fila francesi: i cavalieri erano ormai isolati in piccoli gruppi, feriti e stanchissimi per la faticosa risalita del colle. La ritirata non ebbe mai luogo poiché i velocissimi reparti ottomani presero a circondare i francesi, massacrandoli uno ad uno, a parte coloro che si arresero. E lo fecero in tanti. Dopo la battaglia infatti, molti nomi di lusso erano nelle mani ottomane, i quali chiesero ingenti riscatti per i rampolli francesi.
L’esempio portato da questa battaglia credo sia perfetto in ogni suo punto. Un esercito armato alla leggera, grazie alle sue tattiche sopraffine, era riuscito ad annientare un folto numero di cavalieri pesanti francesi, i quali, in un puro corpo a corpo, avrebbero macellato gli ottomani senza problemi.
Certo, vi è chi direbbe che il numero giocava a favore degli ottomani, ma gli storici sono concordi nel ritenere che questa sproporzione di forze giocò un ruolo molto più marginale di quanto si creda.
La vera forza risiedeva nel fatto che gli ottomani giocarono tutto sulla loro flessibilità. La tradizione militare degli stessi derivava dai terribili metodi di combattimento dei popoli nomadi delle steppe: cavalleria veloce ed armi da getto. I comandanti ottomani, facendo leva su queste peculiarità, tendevano a sfinire il nemico con un’incessante lancio di dardi e con fughe simulate, le quali fiaccavano e costringevano il lento e macchinoso bersaglio ad un inseguimento impari, data la velocità delle milizie ottomane. Quando i vertici delle armate orientali lo ritenevano opportuno, e cioè quando il nemico era abbastanza stanco ed isolato, veniva ordinato l’attacco in massa con tanto di accerchiamento.
Una considerazione finale: questo tipo di tattica richiedeva una ferrea disciplina e di conseguenza una forte autorità sul campo, per così dire, centralizzata. Questo gli ottomani lo sapevano alla perfezione, così come sapevano che invece il dilagante individualismo, frutto della retorica eroica e cavalleresca occidentale, avrebbe favorito la loro strategia, attirando in trappola i valorosi (ma talvolta sprovveduti) cavalieri cristiani.
In basso, rappresentazione della battaglia di Nicopoli
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