Il
feditore
(dal latino, federe, ferire) era
una tipologia di cavaliere medievale degli eserciti dei Comuni
italiani. I feditori venivano scelti tra i cittadini di più elevata
estrazione sociale ed avevano il compito di procurar battaglia.
Il feditore era un cavaliere,
generalmente armato alla leggera, reclutato fra i migliori
combattenti e talvolta volontario. Nello spiegamento tattico della
milizia d'età comunale, veniva schierato nella prima linea
dell'ordine di battaglia ed aveva, quindi, il compito di affrontare
il primo urto con i nemici. Era un compito estremamente rischioso, ma
arrecava grande onore e prestigio. I feditori erano generalmente i
primi a spargere il sangue avversario.
Dato l'importante quanto rischioso
ruolo nella battaglia, i feditori, guelfi o ghibellini che fossero,
presentavano un notevole armamento: una cotta di maglia, due
maniberghe (cilindri di maglia con annesso guanto a moffola, a
protezione del braccio) e due pediberghe (calze di maglia aperte e
allacciate sul retro, atte alla protezione dalla coscia alla
caviglia), un camaglio (protezione per la testa, sempre in maglia),
annesso o staccato dalla cotta di maglia con mentoliera o meno
(striscia di maglia, che copriva il mento e parzialmente la bocca),
nonché un elmo in ferro con nasale (cd. "cappello d'arme")
o con musale.
Poteva essere indossata sopra la cotta
di maglia, sia per riconoscimento che per protezione verso il caldo o
gli agenti atmosferici, anche la "cotta d'arme", un drappo
di tessuto con i colori della casata o della fazione di appartenenza.
L'armamento poteva includere una spada
della lunghezza di circa un metro, uno scudo (rotondo o ad aquilone)
e, ovviamente, una lancia dalla lunghezza variabile da 2,5 a 4 metri
circa. Il feditore poteva disporre, altresì, di armi secondarie,
come una daga e una mazza (in legno o ferrata), che poteva anche
essere usata nella mischia al posto dell'assai costosa spada.
Anche Dante Alighieri fu feditore a
cavallo, combattendo con l'esercito guelfo (composto in gran parte da
fiorentini) nella battaglia di Campaldino (11 giugno 1289) contro
quello ghibellino (formato per lo più da aretini). La partecipazione
del Sommo Poeta alla battaglia è commemorata da un monumento, noto
come "Valigia di Dante", realizzato nel 1921
dall'architetto senese Agenore Socini e posto nella piana Campaldino:
sull'opera è apposta una targa, con incisi i versi 4 e 5 del XXII
canto dell'Inferno.
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