venerdì 2 luglio 2021

Perché il fratricidio era legale e tradizionale fin dai tempi del sultano Mehmet II nell'Impero Ottomano?

Nell'Impero ottomano, ogni maschio nato nella Casa di Osman attraverso la linea patrilineare aveva diritto al trono. Pertanto, se un principe ottomano (shezade) aveva abbastanza appoggio, poteva legittimamente rovesciare il sultano regnante.

Questo significava anche che l'impero poteva precipitare in una guerra civile se il sultano moriva e aveva più figli, ognuno con la stessa eredità. Questo è esattamente ciò che accadde durante l'Interregno ottomano, la guerra civile che divise l'impero dopo la morte di Bayezid I (r. 1389-1402). Durò all'incirca dal 1402 al 1413.


Ritratto raffigurante Bayezid I prigioniero del signore della guerra dell'Asia centrale Timur, che sconfisse e catturò il sultano nella battaglia di Ankara. Bayezid morirà in cattività, scatenando una guerra civile tra i suoi figli.


La politica del fratricidio era intesa come soluzione a questo problema. Quando un nuovo sultano saliva al trono, faceva giustiziare i suoi fratelli - se non li aveva già uccisi - per preservare la stabilità dell'impero. Con la morte dei potenziali rivali, c'erano molte meno possibilità che il Sultano venisse deposto o che ci fosse una guerra civile.

Sebbene Mehmed II (r. 1451-1481) abbia trasformato questa pratica in legge, essa ha avuto origine molto prima del suo tempo. Il primo sultano ad uccidere i suoi fratelli dopo essere salito al trono potrebbe essere stato Murad I (r. 1362-1389). Il poeta Ahmedi, che scrive nel 1400 circa, racconta di come i fratelli di Murad "divennero suoi nemici" e furono così "tutti distrutti dalla sua spada".

La pratica di un sultano o shezade che uccideva i suoi fratelli avrebbe continuato a costituire un elemento delle successioni ottomane. Subito dopo la battaglia del Kosovo nel 1389, in cui Murad morì, suo figlio Bayezid fece strangolare suo fratello Yakub nella sua tenda. I figli di Bayezid si sarebbero combattuti e uccisi a vicenda durante l'Interregno. Il vincitore finale della guerra civile, Mehmed I (r. 1413-1421), vinse dopo aver sconfitto e giustiziato suo fratello, Musa.


Incisione europea del XVI secolo di Musa e Solimano, due dei principi rivali che si combatterono durante l'Interregno ottomano. Questa guerra civile portò all'instabilità e alla divisione dell'impero, che gli Ottomani volevano evitare.


Gli Ottomani volevano che il loro impero restasse indivisibile. Non ci sarebbe stata alcuna divisione in appannaggio come quella vissuta dall'impero mongolo dopo Gengis Khan. E non ci sarebbe stata sicuramente quella complessa serie di guerre civili dinastiche che avremmo visto nella Guerra delle Rose. Così, per mantenere un impero stabile sotto un solo sultano, è emersa la politica del fratricidio.


giovedì 1 luglio 2021

Il Medioevo fu davvero il periodo storico più buio d'Europa?

Il Medioevo, che si divide in Alto, che per assioma viene definito il periodo che va dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 fino all'anno 1000, e Basso che va dall'anno 1000 fino quasi alla fine del 1400, nell'immaginario collettivo e' stato da sempre considerato il periodo piu' arretrato,conflittuale e difficile della Storia recente.

Ma e' un dato errato. Gli storici ,grazie alla lettura ed alla comprensione di migliaia di scritti, hanno riconsiderato questo periodo.

La conoscenza, intesa come cultura da tramandare, ha visto nel clero il suo maggior artefice. Le biblioteche dei monansteri,sparsi in tutta Europa, grazie agli amanuensi,hanno testimoniato e tenuta viva, la cultura classica,ricopiando e salvando migliaia di testi degli antichi e conservando quelli del tempo.

Le fonti storiche delle quali ci si avvale si dividono in:

Fonti letterarie:

In questo ambito si trovano la trasmissione dei testi, che venivano copiati

Questa tradizione pero' aveva alcuni rischi come quello di modifiche, quali errori di lettura o d'interpretazione da parte dei copisti , che travisando il senso di parole difficili e non sapendone il significato,le traducevano semplificando il testo per renderlo più comprensibile. In altri casi venivano inserite frasi o brani presi da altri autori. Un altro aspetto era quello che i monaci davano molto spazio al simbolismo ed all'allegoria, che rischiava di travisarne il reale significato.

In alcuni scritti e' chiaro e definito , come nei Roman de Renard o Roman de la Rose, e quindi di facile riconoscimento. In altri e' più intrinseco e nascosto , come nel ciclo Bretone e Arturiano dei romanzi di Chrétien de Troyes. (I cavalieri della Tavola Rotonda).



Un altra fonte letteraria e' la tradizione orale.

Pur sembrando difficle ,e' possibile per gli storici, ricavarne il senso per mezzo della descrizione di essa, nell'osservazione del passaggio da essa nei testi scritti di cui è possibile ricavarne le radici orali. Un ruolo importante in questo lo avevano i giullari, i cantori ed i menestrelli che raccontavano sotto forma di racconto epico ,gesta e memorie.

Un famoso esempio è la Chanson de Roland,



del quale conosciamo il nucleo storico, l'eccidio della retroguardia dell'esercito di Carlo Magno a Roncisvalle nel 778 ,raccontato nel manoscritto custodito nella Bodleian Library di Oxford (qui sotto) e firmato dal misterioso Turoldo , risalente alla seconda meta' del XII secolo.



Vi troviamo molti elementi diversi, stratificatisi nel corso del tempo: il senso dell'onore feudale, la solidità dei lignaggi, l'amore per la Francia, la profondità del sentimento religioso, la conoscenza di episodi biblici e della storia antica, reminiscenze letterarie di Virgilio e di Lucano, ma soprattutto cogliamo la mentalità del tempo. I lunghi resoconti delle battaglie appassionavano gli ascoltatori (sembra che taluni passi siano stati cantati tra i Normanni durante la battaglia di Hastings del 1066). Vi possiamo trovare l'eco delle Crociate e della lotta contro l'Islam soprattutto in Spagna, terra ben nota a tutto l'Occidente cristiano per il pellegrinaggio a Santiago di Compostella, e una delle strade per Santiago passava proprio da Roncisvalle.


Altra fonte letteraria sono le fonti narrative

In questa categoria rientrano gli atti giuridici ed istituzionali,o le fonti giuridiche.

Queste sono un ottimo testimone dell'ambiente dell'epoca. Si trovano usi e consuetudini correnti che danno una visione piu' ampia della vita sociale Medioevale.

I diritti ecclesiastici o la trasposizione degli usi nel Carolingio De ordine Palatii (882) ne sono un esempio.


Le Fonti agiografiche.

La vita dei Santi,raccontata e tramandata ,lascia una importante traccia di come era intesa la Chiesa ed il Credo religioso medioevale con tutte le sue implicazioni nella vita quotidiana.

In appoggio alle fonti, ci si avvale anche dei reperti archeologici, che, servono a dare un quadro piu' completo del periodo.

Una cosa importante che nessuno storico e' in grado di ricostruire, e' la vita del popolo comune. Come vivevano e cosa pensavano le migliaia di contadini ed artigiani,che avevano un ruolo importante e successivamente riconosciuto nel tempo.



Ma con il supporto di tutte le fonti sopra descritte, si e' giunti alla conclusione che il Medioevo, e' stato, nonostante tutto, un periodo di cambiamenti sociali e di sviluppo tecnologico .

Con tutte le problematiche del tempo,come la sopravvivenza del popolino, le guerre combattute, l'ignoranza della massa, l'influenza e le manipolazioni della Chiesa.

Ma lo scambio commerciale e culturale,soprattutto in seguito alle Crociate (la prima fu nel 1096), furono un mezzo di crescita e di miglioramento sociale, con tutti i limiti del contesto storico.


mercoledì 30 giugno 2021

Che armi usarono i Maya e gli Aztechi per difendersi dagli attacchi dei conquistatori?

 


I maya utilizzavano due tipi di lancia, una lunga che poteva colpire a decine di metri di distanza e un più piccola per gli scontri ravvicinati. Usavano anche cerbottane, mazze di legno con la punta di ossidiana e asce con la punta di selce. Si muovevano velocemente e attaccavano su terreni aperti o in mezzo alla vegetazione che spesso veniva sfruttata strategicamente per ordire trappole o per costruire ritirate offensive.



Per prepararsi alla battaglia i maya praticavano una ritualità intrisa di usi e costumi tradizionali e spirituali. I guerrieri partecipavano a riti in cui chiedevano agli dei aiuto e protezione per la battaglia. I canti, le danze e l’utilizzo degli strumenti musicali venivano utilizzati come riti religiosi e sociali e tali cerimonie venivano ufficiate dai sacerdoti che in alcuni casi erano anche comandanti militari.

La simbologia dei loro amuleti veniva spesso portata in battaglia. Le stesse armature leggere che indossavano avevano una simbologia spirituale e una ricchezza di contenuti sociali. Infatti, chi vinceva la battaglia distruggeva i simboli religiosi dell’avversario, umiliandolo con la cattura e la prigionia.

Quando gli Spagnoli giunsero in Messico, si trovarono di fronte i temibili guerrieri aztechi armati di strumenti che impallidivano in quanto a tecnologia e resistenza di fronte alle armi europee: archi relativamente primitivi contro corazze in grado di respingere colpi di balestra, nessuna protezione contro armi da fuoco che falciavano il nemico ancor prima che potesse avvicinarsi, e una strategia militare quasi inesistente contro una tecnicamente impeccabile supportata da secoli e secoli di guerre europee.

Ciò che gli Spagnoli non realizzarono immediatamente è che le corazze tecnologicamente avanzate, le armi da fuoco e la ultracentenaria esperienza bellica non erano elementi sufficienti a vincere facilmente una guerra come quella condotta contro gli Aztechi. I conquistadores rimasero particolarmente colpiti da un’arma, il macuahuitl, un bastone di legno rivestito sui bordi da schegge di ossidiana, apparentemente capace di decapitare un cavallo.



Gli Aztechi avevano sviluppato, nel corso della loro storia, una particolare abilità nella lavorazione del legno e della pietra lavica. Questa loro capacità consentì, tra le altre cose, la nascita dell’ atlatl, un’arma da getto realizzata anche in altre regioni del mondo, e una serie di lame in ossidiana incredibilmente decorate e taglienti.

La pietra lavica, tuttavia, non è il materiale più adatto alla creazione di lame lunghe più di 15-20 centimetri: superata una certa lunghezza il rischio di frattura è troppo elevato per poter considerare affidabile e durevole una lama di ossidiana.

Ma il combattimento corpo a corpo non è fatto soltanto di armi corte: più la nostra arma colpisce con potenza, più i danni causati saranno ingenti. Per aumentare la potenza inferta dal colpo di un’arma da taglio o contundente ci sono essenzialmente due metodi: aumentarne il peso o incrementare il suo raggio d’azione, in modo tale che la parte terminale dell’arma acquisisca maggiore velocità durante i tipici movimenti circolari di una spada, un’ ascia da battaglia o una mazza.

Gli Aztechi ovviarono al problema della fragilità dell’ossidiana e della lunghezza delle loro armi da combattimento ravvicinato mescolando legno e pietra. Il macuahuitl era essenzialmente un bastone di legno di quercia lungo dai 50 ai 100 centimetri e dalla vaga forma a remo; sui bordi dell’estremità più larga dell’arma venivano innestate schegge di pietra taglienti come rasoi.

Ogni scheggia era larga da 2 a 5 centimetri e veniva incastrata nel corpo in legno dell’arma utilizzando anche una miscela adesiva probabilmente ricavata dalla resina di conifere o dal lattice di alcuni alberi (come quello dell’albero della gomma). Una scheggia di ossidiana non è altro che materiale roccioso vetrificato, vero e proprio vetro naturale del tutto somigliante a quello prodotto artificialmente e capace di formare superfici affilatissime se lavorato con la tecnica più adatta.

Quanto era efficace il macuahuitl? Secondo Bernal Díaz del Castillo, al seguito di Hernán Cortés, quest’arma poteva facilmente decapitare un uomo, arrivando addirittura a tagliare la testa di un cavallo con un solo, potente colpo dall’alto.

Per la trasmissione Deadliest Warrior di SpikeTV, la produzione ha ricreato un macuahuitl per utilizzarlo contro la replica della testa di un cavallo dotata di scheletro e ricoperta da gel balistico. Éder Saúl López, che manovrava l’arma, è stato in grado di decapitare il bersaglio utilizzando tre colpi; non esattamente il singolo fendente dei resoconti spagnoli, ma un risultato ugualmente impressionante.

L’esperimento ha anche dimostrato che il macuahuitl aumenta la sua potenza se, dopo aver raggiunto il limite di penetrazione dell’arma, lo si recupera con violenza come se fosse una sega, lacerando qualunque tessuto incontrato dalle lame. Ma una società che apprezzava la schiavitù come quella azteca preferiva catturare vivo il nemico; un movimento di questo tipo avrebbe causato danni così ingenti ad un potenziale schiavo da cancellare ogni speranza di sopravvivenza.

Nonostante l’utilizzo di materiali primitivi, il macuahuitl era un’arma temibile in battaglia, ma fu anche una delle ragioni fondamentali delle ripetute sconfitte militari azteche. Un’arma del genere prevede movimenti ampi e circolari, quindi molto spazio tra un soldato e l’altro; i guerrieri aztechi avanzavano in modo disordinato menando fendenti verso qualunque cosa si muovesse, mentre i conquistadores, abituati alla disciplina e a mantenere fila serrate, combattevano compatti difendendo e attaccando come una singola unità.

Le lame di ossidiana, inoltre, tendevano a staccarsi dal corpo in legno per incastrarsi nei tessuti della vittima, o a frantumarsi quando incontravano materiale osseo o l’acciaio delle corazze. Il macuahuitl perdeva velocemente la sua efficacia come arma da taglio dopo una dozzina di fendenti, lasciando nelle mani del guerriero azteco soltanto una lunga e pesante mazza minimamente competitiva nei confronti della tecnologia bellica spagnola del tempo.

Infine, il macuahuitl fu ideato da una società profondamente schiavista che vedeva nei prigionieri non solo un bene di lusso ma una vera e propria offerta alle divinità. Tornare in città in compagnia di una folta schiera di prigionieri (prelevati da città o villaggi rivali) era considerato segno di distinzione per un guerrieri azteco; era importante quindi evitare di uccidere, se possibile, il maggior numero di potenziali schiavi per farsi un nome.

Il macuahuitl era perfetto per lo scopo: le corte lame di ossidiana infliggevano colpi debilitanti ma raramente fatali nel breve periodo (la casta guerriera veniva addestrata fin dalla giovane età a colpire per dislocare o ferire); il bastone a remo era un’arma contundente incredibilmente efficace per stordine un nemico privo di protezioni e militarmente inferiore, perfetta per un agguato di breve durata e tatticamente disorganizzato.

Nonostante i suoi evidenti limiti, il macuahuitl è un’arma unica nel suo genere che ha consentito ai guerrieri aztechi di avere il predominio sul Messico per almeno un secolo. Era un’arma destinata a guerrieri dalla grande forza fisica e realizzata da artigiani che padroneggiavano le tecniche di lavorazione del legno e della pietra come pochi altri nel mondo.

Ad oggi non esiste alcun esemplare di macuahuitl risalente al periodo pre-conquista: l’ultimo macuahuitl sopravvissuto agli Spagnoli fu distrutto dall’incendio all’ Armeria Real di Madrid nel 1884.





martedì 29 giugno 2021

Perché i mongoli massacravano i vinti, invece di tenerli in vita e sfruttarli e ridurli in servitù?

I mongoli non si sono sempre messi a incendiare e distruggere i luoghi conquistati. Se lo facevano è perchè dovevano esserci delle buone ragioni.

  1. Propaganda. Quando sei un nuovo ragazzo nel quartiere e hai grandi progetti, devi stabilire la tua autorità il prima possibile e in modo chiaro. Niente funziona meglio di una scena con un sacco di cadaveri per strada e ceneri ardenti cosìcchè i sopravvissuti, che lasci vivere apposta, possono andare in giro a trasmettere il tuo chiaro messaggio.

  2. Stabilire Autorità. Per costruire un impero di successo, di tanto in tanto devi presentarti come una forza travolgente e inarrestabile, anche a costo di apparire cieco e irragionevole, ma solo perché le persone insignificanti degli altri paesi conquistati sono troppo piccole e stupide per apprezzare la tua logica. I governanti russi sono sempre stati consapevoli di questo fattore, a parte alcuni sciocchi uomini di potere come Alessandro II, Nicola II, Gorbaciov ed Eltsin.

  3. La logistica. Per un'enorme forza militare dipendente in modo cruciale dalla sua mobilità, trasformare i prigionieri in schiavi non ha senso. Meglio portare con sè un bottino di basso volume e di alto valore e distruggere tutto il resto.

  4. Genocidio. Lasciare in vita molte persone che hai derubato e mutilato aumenta solo il numero dei tuoi nemici. I morti non cercano vendetta. Come avrebbe detto Stalin, "nessun uomo, nessun problema".

  5. Politica di vicinato. Una parte considerevole della conquista mongola fu compiuta da alleati locali, come il nostro eroe nazionale Sant'Alessandro Nevsky. I loro eserciti includevano molti combattenti nativi. Per una comunità di contadini o mercanti spesso aveva senso cogliere l'occasione e dare fuoco ad alcune città lungo il fiume per sbarazzarsi della concorrenza e acquisire nuovi pascoli e terreni agricoli.

  6. Logica del raid. Se dubiti della tua capacità di controllare i territori conquistati, ha senso derubarli e dare fuoco a ciò che è rimasto. Ci vuole almeno una generazione per ricostruirsi e riorganizzarsi, prima che possano pensare di vendicarsi.

Il dipinto sotto illustra una sfida logistica all'indomani di una battaglia mongola nelle praterie a sud del cuore della Russia. I combattenti mongoli preparano un prigioniero Russo di alto valore, apparentemente un duca, per riscattarlo in cambio del transito. Per stare al passo con il resto delle truppe nomadi, dovrà ricevere un cavallo, acqua e cibo, oltre ad essere affiancato da un paio di guardie, tutte risorse preziose per un esercito in viaggio lontano da casa.



lunedì 28 giugno 2021

Gli scozzesi come percepiscono la performance di Mel Gibson in Braveheart?

La sua performance è stata ... non male. Il suo accento era passabile (sono rimasto impressionato dal suo francese con un accento scozzese - è difficile), è riuscito a spingere l'emozione in esso e la maggior parte del tempo ha evitato di esagerare nel melodramma. Soprattutto.

Sfortunatamente, è stata una performance decente in un film che era in gran parte inventato senza senso, pieno di bugie, esagerazioni selvagge e anacronismi. È peggiorato perché la storia reale avrebbe potuto essere altrettanto interessante, senza tutte le cazzate inventate. La complessità dei negoziati, i sotterfugi, le pugnalate alle spalle e le battaglie tra Highlanders, Lowlanders, vari clan, gli irlandesi, gli inglesi, i francesi e chiunque altro avesse voglia di un tentativo rappresenterebbe un grande dramma.

Invece, questo tempo complesso è stato ridotto a una ridicolmente semplicistica battaglia tra Inghilterra e Scozia, in stile invasione di campo, dove la battaglia di Stirling Bridge era assente dal ponte. O dal fiume se è per questo.

Poi c'è questo, che ha realizzato un tizio, basato sul film, che inizialmente era a Stirling



La maggior parte della gente del posto lo odiava e alla fine è stato rimosso perché "c'era bisogno di spazio per ampliare il parcheggio".


domenica 27 giugno 2021

Chi erano i Cagoti? Qual era la loro origine?

I Cagoti. Emarginati dalla società medievale, maledetti per sempre. Ma perché? Il territorio dei Pirenei, tra Francia e Spagna, è culla delle leggende di tesori, segreti ed eresie. Il tipico destino di tutti i territori di confine dalla lunga, complessa storia. Nel Medioevo i Pirenei ospitarono i Cagoti, una popolazione misteriosa oggi scomparsa, costretta a vivere nei ghetti, invisa, contraddistinta da un segno particolare di colore rosso che portava cucito sugli abiti. Chi erano questi infelici condannati alla proscrizione? Da dove venivano?

I Cagoti vivevano prevalentemente nelle regioni di Béarn, Navarra, Aragona e nei Paesi Baschi e l’ostracismo nei loro confronti, evidente già nell’XI secolo, dal 1300 si trasformò in una vera e propria persecuzione. Le condizioni in cui queste genti si trovavano costrette a vivere, erano disperate. Nemmeno la Chiesa aveva pietà di loro. I Cagoti avevano accesso agli edifici sacri da un’unica porta, più bassa delle altre, che li costringeva a chinare il capo quando penetravano nell’edificio, simbolo di mortificazione. L’acqua benedetta riservata all’uso dei Cagoti si trovava in un’acquasantiera a parte, per evitare un’eventuale contaminazione degli altri fedeli. I Cagoti potevano assistere alla messa soltanto in una zona particolare della chiesa, lontani dagli altri fedeli. Durante il rito della comunione, i Cagoti erano costretti a ricevere l’ostia dall’estremità di un bastone. Erano, insomma, intoccabili nel senso negativo del termine. Come degli appestati.

Nel 1326 le prescrizioni promulgate dal Concilio di Morcenx li autorizzarono a sposarsi, ma soltanto con i loro pari. Ovviamente questo provvedimento portava a unioni carnali fra consanguinei, facilitando così le nascite di bambini malati. Tale fatto contribuì a svilire ancor più la loro immagine. Alla fine del XVIII secolo lo studioso Ramond de Carbonnières scrisse: “Descrivere questi infelici è come parlare di persone affette da cretinismo”.

Non è difficile immaginare quale doveva essere la vita quotidiana dei Cagoti rinchiusi nel ghetto, la cosiddetta cagoterie situata fuori dalle mura della città. Per non parlare poi del fatto che non soltanto il ghetto gli impediva la partecipazione alla vita cittadina e quindi ogni possibilità di miglioramento della loro condizione, ma anche la sepoltura cristiana dopo la morte. Per i Cagoti non c’era posto nel cimitero cittadino. Venivano seppelliti in terra sconsacrata.



Verso la fine del XVII secolo, gli studiosi cominciarono a interessarsi per queste genti reiette e per le loro origini. La teoria più accreditata che mirava a far luce sulle radici dei Cagoti, si basava in primis su una possibile – quanto fantasiosa – etimologia del termine stesso Ca-goti che designava la popolazione. Questo era interpretato come un’abbreviazione dell’espressione „cani Goti“. Altro elemento indicativo in tale contesto sarebbero state le caratteristiche fisiche dei Cagoti, molti dei quali erano biondi con occhi azzurri.

La teoria li voleva discendenti dei Goti che avevano occupato diversi territori della Francia meridionale nei tempi antichi. La fine del regno dei Goti si verificò nel VI secolo d. C.. Fedele a tale tradizione, il letterato Florimond de Raemond scrisse nella sua opera L’Anticristo (1597) che i Cagoti erano figli di Goti ariani, e quindi degli eretici che rifiutarono di convertirsi al cristianesimo. È possibile? Una contraddizione essenziale smonta l’argomentazione di Raemond: fino al 1550 il termine Cagots non appare in nessun documento ufficiale. Il primo testo che cita una persona appartenente a queste genti, è conservato nel cartolario dell’abbazia di Lucq de Béarn e risalente all’anno Mille. Il documento qualifica l’interessato proprio con l’appellativo di… Christianus. Non si trattava, quindi, di eretici.

Ricostruendo poi una lista di tutti i documenti scritti più antichi, si scopre che le definizioni più usate per definire i Cagoti sono: Crestians, Christiaas, Crestianaria, Crestiàa, Crestias, e altri vocaboli analoghi. Non Cagots, che appare per la prima volta nel 1551. In origine, dunque, questi individui erano detti Christiani. Non poteva trattarsi di ariani. I Cagoti probabilmente non avevano nulla a che fare con i Goti. Una falsa pista.

Un’altra teoria molto dibattuta li voleva lebbrosi. La malattia giunse in Europa dall’Oriente puttygen , era all’epoca incurabile e si considerava ereditaria. Il medico de Chauliac descrisse nella sua opera Grande Chirurgie (1383) le caratteristiche fisiche salienti dei Cagoti che, secondo lui, corrispondevano a quelle dei lebbrosi: calvizie, rotondità degli orecchi e degli occhi, narici dilatate, labbra carnose, voce nasale, sguardo fisso. Manco a farlo apposta, i Cagoti veneravano particolarmente san Nicola di Tolentino che era proprio il patrono dei lebbrosi.

Di certo l’isolamento forzato in cui vivevano i Cagoti può aver contribuito all’identificazione delle loro comunità con quelle dei malati di lebbra. Ma anche questa teoria presenta dei punti deboli. La lebbra era un male molto diffuso in tutta l’Europa medievale, mentre i Cagots vivevano soltanto in alcuni territori dei Pirenei. Inoltre le maggiori epidemie ebbero luogo nei secoli VI e VIII, mentre i Cagoti appaiono nei documenti ufficiali soltanto nell’anno Mille. A ciò si aggiunge la testimonianza del letterato Charles Du Cange che scrisse nel suo Glossarium Manuale (XVII secolo): “I Cagoti non erano monaci, né eremiti e nemmeno lebbrosi(…) bensì una stirpe odiata da tutte le altre”.



Antica porta dei Cagoti murata. Chiesa Saint-Martin de Moustey. © Jibi44 CC-BY-SA-3.0

Allora chi erano? Andiamo alle radici. Il primo documento che attesta l’esistenza di queste genti, parla di un certo Auriol Donat, nato nel Béarn. Auriol proveniva da una famiglia benestante, suo fratello possedeva diversi terreni. Alcuni di essi furono ceduti, insieme alla persona stessa di Auriol, all’abbazia di Sylva Bona, la quale apparteneva al convento di San Vincenzo.

Si trattava di una fondazione particolare e di grande prestigio. Il complesso sacro era stato costruito sulle fondamenta di un luogo di culto cristiano risalente al V secolo in un bosco sacro (latino: silva) intitolato al dio celtico Lug. Da questa divinità derivò il suo nome la località Lucq de Béarn. E proprio qui era insediata la più antica comunità cagota di cui si abbia notizia. Prima del XIV secolo questa cagoterie vantava dei capi importanti, tra cui un certo Peyroulet, signore della crestiantat de Lucq. Ed ecco finalmente aprirsi una porta sul mistero dei Cagoti: Peyroulet era un maestro costruttore, definito roi d’argot, il re dell’argot, il linguaggio segreto della confraternita dei costruttori.

Nel mestiere dei tagliatori di pietra si cela la chiave all’enigma dei Cagoti. Oltre al termine Chrestianus, ce n’è infatti un altro, altrettanto antico, che serviva a definire queste genti: Gaffet, Gafo oppure Caffo. E non si può non riconoscere l’affinità con l’appellativo Gavot, nome simbolico dei membri della confraternita di costruttori ottocenteschi Compagnons du Devoir de Liberté. Nelle comunità cagote c’erano diversi maestri costruttori che appaiono negli incartamenti del Béarn e di Navarra. In epoca più tarda, invece, molti Cagoti spiccano tra i falegnami.

Nella società dell’Alto Medioevo la posizione dei maestri costruttori era più onorata di quella dei mastri falegnami. Questo rispecchia la condizione dei Cagoti nel corso dei secoli. Nei primi tempi i documenti indicano, infatti, la presenza di cagoti agiati come Auriol Donat, al contrario delle epoche più tarde Il processo peggiorativo della situazione cagota inizia tra il 950 e il 1000. Ma quale avvenimento, occorso nell’arco di questi cinquant’anni, portò alla rovina dei costruttori cagoti? Quale fatto determinò il loro declino sociale da maestri costruttori a falegnami?

Nell’anno 910 fu fondato l’Ordine Cluniacense, che in breve tempo divenne il più potente d’Europa. Di pari passo con l’aumento dell’influenza di Cluny, peggiorava la situazione dei Cagoti. Più le abbazie cluniacensi si moltiplicavano, più i Cagoti erano emarginati. Eppure la rapida espansione cluniacense esigeva l’opera di maestri costruttori. Perché allora i Cagoti persero terreno? La risposta deve essere cercata nella rivalità fra le confraternite di costruttori.

La richiesta crescente di Cluny portò alla concorrenza più spietata. Le confraternite rivaleggiavano per ottenere gli incarichi. Soprattutto due di esse : i Fils du Père Soubise e gli Enfants de Maître Jacques. I primi erano prevalentemente falegnami, i secondi veri maestri della pietra. Ed è proprio tra gli Enfants che troviamo i Cagoti. Gli Enfants de Maître Jacques avevano costruito gli edifici sacri situati lungo la rotta che portava a Santiago di Compostela. Un itinerario dalle origini precristiane, la cui esistenza fu trasmessa alla posterità dai monaci mozarabi che salvarono la memoria del cammino collegandolo alla leggenda dell’apostolo San Giacomo.

Originariamente il pellegrinaggio a Santiago non aveva nulla a che fare con San Giacomo. Era, invece, un viaggio iniziatico ai confini della terra conosciuta, dai Pirenei sino all’Oceano Atlantico, il mare celtico dei morti. È probabile che la causa della rovina dei Cagoti sia stata lo stretto legame degli Enfants de Maître Jacques con la tradizione pagana. Si può pensare che il potente Ordine Cluniacense abbia preferito i Fils du Pére Soubise agli Enfants cultori di un pensiero poco ortodosso, precipitando questi ultimi nella rovina.



Soltanto dopo la fondazione del nuovo Ordine Cistercense, la fortuna cambiò il suo corso e gli Enfants tornarono alla ribalta. Lavorarono per l’Ordine del Tempio. Il loro nome fu mutato. Divennero gli Enfants du Salomon. Poi, con la caduta dell’Ordine Templare, caddero anche gli Enfants du Salomon. Filippo il Bello ordinò lo scioglimento della confraternita di costruttori templari, li perseguitò. Gli Enfants furono costretti a cercare rifugio presso altre corporazioni. Le loro tracce emergono dall’ombra soltanto più di quattrocento anni dopo, durante la Rivoluzione francese, quando erano attivi come Compagnons du Devoir de Liberté, detti più semplicemente Gavots.

Ecco svelato il segreto dei Cagoti. Se i perseguitati Enfants du Salomon alla caduta dell’Ordine del Tempio persero il nome e la fama, i Cagoti pirenaici divennero addirittura dei reietti. Dall’arte di maestri della pietra si adeguarono a quella, più modesta, di falegnami. Con il passare del tempo, nessuno ricordava più i momenti di gloria che avevano conosciuto gli architetti del Cammino di Compostela. Il loro segno, però, rimase scolpito sugli edifici sacri. Era lo stesso che avevano adottato i loro predecessori, gli Enfants du Maître Jacques, e che i Cagoti portavano cucito sugli abiti: la zampa d’oca.

Nel 1314, dopo la morte dell’ultimo Gran Maestro del Tempio, a Parigi si diffondevano le cosiddette corti dei miracoli. Questi piccoli mondi di quartiere erano i rifugi di ladri, mendicanti e reietti. Qui i maestri dell’argot (la lingua segreta) regnavano sovrani. Victor Hugo ne parla nel suo capolavoro, il romanzo Nôtre-Dame de Paris, Nostra Signora di Parigi. Il suo personaggio Henri Sauval è uno degli ultimi capi della più grande corte dei miracoli parigina. Uno degli ultimi principi dei Cagoti. Uno che parlava l’argot.


sabato 26 giugno 2021

A cosa era dovuta la pessima fama dei soldati lanzichenecchi?

I lanzichenecchi erano mercenari.

Ciò già fa intuire in parte il motivo della pessima fama di cui godevano all'epoca. I mercenari infatti, essendo per l'appunto truppe al soldo di un committente, non erano garanzia di lealtà e cambiavano schieramento ogni qual volta fosse giunta un'offerta più alta. Lo stesso Machiavelli, così come Polibio, denunciava la pericolosità di queste truppe e ne sconsigliava l'uso.

Ciò però non giustifica del tutto la celebre nomea dei lanzichenecchi. Nel corso dei secoli si sono susseguite un enorme numero di compagnie di mercenari e non tutto erano così mal viste. Le compagnie di ventura ad esempio erano molto apprezzate in epoca tardo medievale. Molte città preferivano infatti pagare un esercito quando ce n'era bisogno piuttosto che mantenere una propria costosa forza militare anche in tempi di pace.

L'alternativa era quella di servirsi dei cittadini e formare un esercito solo in caso di guerra ma come sappiamo ciò non è mai conveniente quando si ha a che fare con vicini insidiosi: innanzitutto uomini non addestrati non possono reggere il ritmo di una guerra; in secondo luogo, privare la città dei propri artigiani e contadini porta in poco tempo ad una crisi di tipo economico e sociale.

Insomma, i mercenari, per quanto mal visti, non godevano comunque della fama cui invece dobbiamo la celebrità dei lanzichenecchi. Dunque vale la pena soffermarsi proprio su di essi. La parola landsknecht significa servo della terra o servo rurale. Ciò perché coloro che si arruolavano nelle compagnie mercenarie tedesche erano all'epoca i figli maschi non primogeniti delle famiglie contadine proprietarie di appezzamenti. Solo il primogenito infatti ereditava i possedimenti mentre gli altri figli avrebbero dovuto o lavorare per lui, oppure cercare fortuna altrove. Questi figli cadetti optavano dunque per la vita militare entrando nelle compagnie di soldati che, almeno in principio, essendo truppe irregolari, accettavano chiunque potesse contribuire, con due braccia in più, alle battaglie.

In principio comunque questi mercenari non erano inquadrati in veri e propri ranghi ed anche la gerarchia era spesso rozza e poco articolata. Fu solo sotto l'Imperatore Massimiliano I che queste forze iniziarono ad avere una struttura più o meno standardizzata, venendo per l'appunto ingaggiate dall'Impero in molte occasioni a partire dal 1486. Seguendo l'esempio dei mercenari svizzeri, Massimiliano voleva adoperare queste truppe come carne da macello. In molte battaglie infatti costituivano la massa dell'esercito imperiale e molti lanzichenecchi venivano pagati al doppio soldo (solitamente coloro che partivano per primi o che ricoprivano ruoli importanti). Con il passare degli anni però, la crescente inflazione e la scarsa solvibilità dei committenti (i lanzichenecchi erano adoperati non solo dall'Imperatore ma anche dai vari principi e signori locali) e dei reclutatori fecero sì che il saccheggio divenisse la principale forma di guadagno dei soldati.

Ma sarebbe sbagliato attribuire a questo fatto in particolare la loro pessima fama. Dopotutto essi non erano gli unici ad operare il saccheggio. Certo è che ciò, unito alla scarsa igiene dovuta alle umili origini, alla frequentazione continua di prostitute (tra le quali alcune vivandiere) e all'inadeguatezza di campi e strutture, ha contribuito a plasmare la loro immagine. Inoltre la scarsa igiene permetteva anche il diffondersi di malattie e morbi (in particolare la peste), da qui la fama di guerreri untori.



Ma il passo decisivo alla consolidatione della loro fama è senza alcun dubbio il famoso Sacco di Roma del 1527. L'Imperatore Carlo V mandò in Italia (con l'intento di disonorare Roma) 14.000 lanzichenecchi. Il motivo di questo attacco, perpetrato attraverso mercenari e non truppe imperiali, era quello di rispondere all'offesa della Lega di Cognac: una lega anti-imperiali ove, tra tutti, spiccavano la Francia di Francesco I (acerrimo avversario di Carlo) e Papa Clemente VII. Fu proprio la posizione dello Stato Pontificio che fece andare il sovrano su tutte le furie. Carlo, Imperatore del Sacro Romano Impero e che addirittura, in quanto sovrano di Spagna, godeva del titolo di Sua Maestà Cattolica, veniva tradito dalla Chiesa che egli stesso difendeva dagli attacchi dei riformatori (gli Asburgo rimasero cattolici, al contrario di molti nobili tedeschi).

Il comando dei lanzichenecchi era affidato al Duca Carlo III di Borbone-Montpensier (grande condottiero francese avverso a Francesco I) ma sul campo il vero capo era Georg von Frundsberg: fiero sostenitore della Riforma ed assolutamente avverso al Papa ed alla Chiesa di Roma. Costui avrebbe voluto, in cuor suo, impiccare pubblicamente Clemente VII. Le truppe dovettere, prima di giungere a Roma, affrontare molte difficoltà e scontrarsi con altri eserciti e ciò non fece altro che alimentare la determinazione di von Frundsberg e dei suoi uomini. Arrivati nella Aeterna Urbe, i lanzichenecchi misero a ferro e fuoco la città. Per volontà del loro capitano, andarano contro ad ogni possibile onore militare (onori che, a dire il verozl, i lanzichenecchi rispettavano raramente). Per otto giorni i romani non ebbero scampo e lo stesso Clemente VII riuscì a salvarsi per un soffio. Tale fu la brutalità di questi barbari (che diffusero anche la peste) che Carlo V cercò di richiamarli all'ordine, ma non vi fu modo di fermarli.

Irritati e nervosi dopo mesi di viaggio e battaglie ed aizzati dal loro capitano contro Roma ed i romani, i lanzichenecchi saccheggiarono di tutto (come detto, i bottini di guerra erano ormai prassi) ma non si limitarono a ciò. Stupri, violenze, massacri di ogni genere furono perpetrati a persone del tutto innocenti e senza possibilità di difendersi.

A questo episodio si deve la pessima fama dei lanzichenecchi. In Italia poche cose inorridivano e spaventavano quanto i lanzichenecchi - coloro che avevano ucciso Roma - e di conseguenza così fu per le culture affini a quella italiana ed in generale nelle nazioni cattoliche.

Sarebbe quasi il caso di dire che il Sacco di Roma sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: già prima i lanzichenecchi erano considerati barbari mercenari portatori di malattie, ma da quel momento la loro reputazione prese inevitabilmente la strada che noi tutti conosciamo: ai confini dell'umano.