
L’Assedio di
Famagosta ed il Martirio di Marcantonio Bragadin (1571)
La strenua difesa di Famagosta
(1570-71), guidata da
Marcantonio Bragadin, fu
uno dei fatti che ben possono farci comprendere come il rapporto alla
base della dicotomia Europei-Arabi sia sempre stato quello fra
Assediati e Assedianti.
A guidare l’attacco fu Lala
Mustafa Pasha, generale settantenne che pochi anni prima aveva
condotto l’infruttuoso
Assedio di Malta
(1565). Ancora
una volta, la sua strategia fu quella di sfruttare una enorme
superiorità numerica di uomini ed artiglieria. E ancora una volta,
le cose non andarono come previsto.

Sbarcò a Cipro con quasi 100.000
uomini e prese Nicosia senza troppi problemi. La città si era arresa
in cambio di un salvacondotto per gli abitanti, ma Mustafa Pasha fece
comunque massacrare l’intera popolazione (tranne 2.000 giovincelli
venduti come schiavi sessuali a Costantinopoli).
Per intimorire il governatore Bragadin,
Mustafa gli fece recapitare una graziosa cesta con la testa del
governatore di Nicosia,
Niccolò Dandolo, ma la
cosa fece solo incazzare ancora di più Bragadin e
Astorre Baglioni, capitano
di ventura, comandante militare e letterato.
La Fortezza di
Famagosta
Ne
Gli assedi e le loro monete
(491-1861), pubblicato a Bologna
nel 1975, M.Traina descrive così le mura di Famagosta: “Le
fortificazioni, opera del celebre architetto
Sammicheli, sono frutto
delle più avanzate concezioni belliche: la cinta rettangolare delle
mura, lunga quasi quattro chilometri e rafforzata ai vertici da
possenti baluardi, e’ intervallata da dieci torrioni e coronata da
terrapieni larghi fino a trenta metri. Alle spalle le mura sono
sovrastate da una decina di forti, detti “cavalieri”, che
dominano il mare e tutta la campagna circostante, mentre all’esterno
sono circondate da un profondo fossato. La principale direttrice
d’attacco e’ difesa dall’imponente massiccio del forte
Andruzzi, davanti al quale si protende, piu’ basso il forte del
Rivellino”
Per i primi mesi, Mustafa si limitò a
lasciare qualche decina di navi ad incrociare nelle acque circostanti
Famagosta (per tagliare i rifornimenti alla città), ma questo
permise a Bragadin e Baglioni di consolidare le difese e ricevere
l’aiuto di Marcantonio Querini da Creta (1.600 soldati) e della
madrepatria Venezia (800 soldati). Purtroppo per Famagosta, gli aiuti
in arrivo per Mustafa erano di tutt’altra consistenza. Il suo buon
Sultano gli inviò altri 100.000 soldati e altrettanti operai
(scavatori di trincee, portatori, ecc.).
Nel febbraio 1571, i difensori di
Famagosta erano 8.000 in tutto, in un rapporto di 1:25-30 con gli
assedianti ottomani.
Ai 113 cannoni di Mustafa rispondevano
i 90 di Bragadin.
Il primo assalto generale musulmano
(marzo) durò quasi 10 giorni e lasciò sul campo 30.000 turchi. Nei
successivi quattro, avvenuti fra giugno e luglio, caddero altri
20.000 turchi e la maggior parte dei difensori. Durante questo
periodo, piovvero su Famagosta (non diversamente da quanto accadde a
Malta sei anni prima) oltre 150.000 proiettili. Le mura erano ridotte
a un colabrodo e gli abitanti chiedevano a gran voce una resa dei
governatori veneziani (già offerta da Mustafa in più di una
occasione).

La mappa della città
Nei mesi successivi si susseguirono
altri quattro attacchi, che portarono a settemila i morti degli
assediati e a ottantamila quelli degli assedianti. Astorre Baglioni
si dimostrò geniale nel piazzare mine per i tunnel turchi e guidare
sortite di alleggerimento che facevano centinaia di morti. Inoltre,
come spiega Gigi Monello nel saggio “Accadde a Famagosta” (Scepsi
& Mattana editori, 2006), mentre i turchi passavano intere
giornate a riempire di terra il fossato antistante le mura, i
veneziani la toglievano durante la notte.
Le cifre riportate, confermate da tutte
le fonti, sono spaventose. Probabilmente si tratta delle più gravi
perdite (almeno in relazione alle truppe complessive a disposizione)
mai sopportate da un esercito assediante. Rupert Gunnis ne parla in
questi termini:
… 80 mila morti tra i turchi,
circa 6 mila tra i veneziani … Con una linea di combattimento non
più lunga di due chilometri, l’assedio di Famagosta supera le
famose stragi di Londonderry e di Verdun.
Alla fine del luglio 1571, a difendere
Famagosta erano rimaste poche centinaia di soldati italiani; i generi
alimentari scarseggiavano. Oltre a questo, i rinforzi promessi dai
regnanti europei tardavano ad arrivare (tanto che le navi iniziarono
a riunirsi a Messina solo a fine agosto 1571). Sebbene Bragadin e
Astorre fossero contrari alla resa (memori forse del massacro di
Nicosia), alla fine i nobili ciprioti gli imposero di accettarla. Il
primo agosto 1571, i due consegnarono a Mustafà le chiavi della
città e ottennero un salvacondotto per i soldati fino a Creta.
Qui sotto riporto gli eventi successivi
alla resa di Bragadin, come descritto in Storia di Salamina presa
e di Marc’Antonio Bragadino comandante, un testo redatto da
Antonio Riccoboni
pochi anni dopo i fatti raccontati
e stampato a Venezia nel 1843:
Arrivati appena il Bragadino con gli
altri, come abbiamo detto, alla tenda di Mustafà, si ordinò loro
che deponessero le armi, e con lieta e benigna maniera lo stesso
Mustafà salutò tutti, e con la stessa sua mano li introdusse nella
sua tenda, e volle sedere con loro, cominciando un piacevole e grato
discorso, laudando la loro industria e fortezza nel difendere la
città.
Qualche tempo dopo, tutto convertito
in furore, e con tuono imperioso, si rivolse al Bragadino, e gli
disse:
“Che cosa hai fatto de’ miei
prigionieri che tenevi nella fortezza?”
ll Bragadino rispose: “Parte nella
fortezza si custodiscono, parte a Venezia furono mandati.”
Mustafà divenendo rosso con li
occhi fattisi truci e con la schiuma alla bocca e con voce assai
torbida disse:
“Così ancora ardisci mentire
quando li hai tutti trucidati?”
[…Mustafà, infuriato, e tempesta
Bragadin di domande analoghe a quest’ultima. Alla fine ordina alle
guardie di prenderli prigionieri..]
Questo gli fu facile [prenderli
prigionieri], poiché, come dicemmo, a quelli non fu permesso di
entrare nella tenda con le armi, ed erano tutti inermi. Allora quel
furibondo comandante, di sua mano cominciando la carnificina, tagliò
al Bragadino con la sciabola la destra orecchia, ed ordinò
ad uno dei suoi satelliti che
gli tagliasse la sinistra;
quindi preso dall’ira, comandò che quanti cristiani si trovassero
nell’esercito, tutti fossero trucidati.
Così ha egli dato ansa al furore de’
Turchi, che
immediatamente trecento
cristiani furono tagliati a pezzi. Volle poscia, con ogni
perfidia, acciocchè apportasse maggior dolore al Bragadino, che
subito fuori della tenda, ed
alla presenza di questi
fosse tagliata la testa ad Astorre Baglioni, a Luigi Martinengo,
ed obbligato egli stesso per
tre volte a porgere ii collo, come si fosse per tagliargli la testa,
lo insultarono quei scelleratissimi, calpestandolo con li piedi,
trascinandolo per terra, sputandogli in faccia, gridando quell’empio
Mustafà:
“Dov’è il tuo Cristo, che ti
liberi dalle mie mani?”
[…] tutto l’esercito cominciò
a dirigersi alla città per trucidare i cristiani, e distruggere
tutte le abitazioni.
Questa cosa, quantunque subito la
si sia proibita con pubblico editto, pure molti contro il comando
sono entrati in quel la città, e sparsi per le strade, tutti quelli
che incontravano, senza distinzione di alcun ordine, di sesso e di
età, battevano, spogliavano, maltrattavano, e ne uccisero molti,
affliggendo così crudelmente tutti quegli abitanti. Passati poscia
al porto, tutti‘ quelli cristiani che erano entrati nei navigli
legarono con le catene ai banchi delle galee, rapito loro prima tutto
quello che avevano, e percuotendo pur anche col bastone quegli
infelici.
Comandò quel crudelissimo
comandante che si portassero alla tenda tutte le teste di quelli
decapitati, fra i quali fu riconosciuta quella di Andrea Bragadino
castellano e di Gio. Antonio Quirini patrizio veneto, e vennero
queste unite a quelle di Astorre Baglioni e di Luigi Martinengo.
Nestore Martinengo, essendo per
alcuni giorni riuscito a nascondersi da alcuni che godevano la grazia
di Mustafà, venne fatto prigioniero. Entrato poi il giorno 4
settembre 1571 nella città, esercitò un comando crudelissimo contro
di Lorenzo Tiepolo e di uno de’capitani Manolio Spilotto, albanese.
Condotti per la città, colpiti da pugni e da calci, fattosi di loro
ogni scherno, e dopo di averli percossi con sassi, vennero impic
cati, squartati, tagliati a pezzi, e gettati ai cani. Nel giorno otto
dello stesso mese venne condotto il costantissimo Bragadino a tutti i
luoghi adoperati al supplizio, soffrendo grande infermità,
colla testa mezzo putrefatta
per le orecchie che gli si erano tagliate, e che non si erano
medicate,
forzato in tutti i luoghi
innanzi e indietro a portare smisurati sassi, gettato a terra, ed ivi
delle cose più turpi interrogato, presente sempre il perfido
Mustafà.
Poscia tradotto nella galera di
Rapamato, fu l gato ad una tavola, ed innalzato per obbrobrio ed
ingiuria sino la cima di un’antenna, dicendo Rapamato, mentre
s’innalzava:
“Osserva, comandante, se la tua
armata arriva? Guarda, o capitano, se sopravviene l’aiuto? Non vedi
le tue galere?”
A questo (mentre rideva Mustafà)
come ha potuto con moribonda voce il Bragadino rispose:
“Perfido Turco, queste sono quelle
promesse che sul tuo capo mi hai giurato, che segnasti nelle
capitolazioni, scritte e segnate coll’imperiale suggello del tuo
signore, e che hai confermato chiamando lddio in testimonio della tua
fede? Qual lode e gloria porterai al tuo signore per una città priva
di ogni aiuto, che con tante forze, con immensi soldati,
coll’eccellente tuo valore non hai potuto espugnare, ma, ricevuta
per dedizione, le hai praticate tutte le perfidie possibili? lddio
voglia che questa voce possa risonare per l’universo tutto, e si
faccia nota a tutti la perfidia de’Turchi. Pure ciò che non posso
far palese, lo farà la fama, che renderà pubblico l’esempio a
tutti gli uomini della mia morte e di quella crudelissima di tanti
innocenti gravati di obbrobrio e d’ingiurie, acciò sia certo
documento non doversi prestar fede a quelli che non ne hanno alcuna,
e che solo eccedono in crudeltà.”
Dopo di averlo così trattenuto
sospeso per lo spazio di mezz’ora, Rapamato ordinò che si
abbassasse, e quan tunque fosse tanto debilitato che poteva appena
reggersi in piedi, pure si maltrattava, si spingeva, si
bastonava-Mentre tanto crudelmente si trattava fra i comandanti,
diceva egli:
“Straziate il mio corpo, ma il mio
coraggio non minorate. ll corpo lo potete lacerare, ma non toglierete
alcuna forza al mio spirito.”
Finalmente tradotto nella principale
piazza di Salamina destinata al supplizio dei rei, e spogliato dei
vestiti, venne legato alla colonna della bandiera, e dal
carnefice (o indegna azione!) fu incominciato a scorticare,
cominciando dalla schiena e le spalle, quindi passando alle braccia
ed al collo,
esclamando per facezia quel
perfido tiranno: “Fatti turco, se vuoi esser salvo”.

Il martirio di
Marcantonio Bragadin
Quel pazientissimo martire niente
rispondeva, ma innalzato il capo al cielo, diceva:
“Gesù Cristo mio Signore, abbi
misericordia di me. Nelle tue mani raccomando il mio spirito. Ricevi,
mio Dio, questa mia misera anima, e perdona a quelli che non sanno
ciò che si facciano”.
Compita a levarsi la di lui pelle
dal capo e dal petto,
ed arrivato all’ombellico,
quell’ uomo tollerantissimo e costante, perseverante nella fede di
Gesù Cristo, volò a quello, la cui divinità aveva testificata col
suo santissimo martirio, a quello cui aveva dato il più insigne
testimonio col suo sangue, uscendo finalmente da questi terreni
legami, da questa carcere mortale, e da quel corpo, nel quale tanto
con gloria era stato il suo spirito custodito, e ciò per ’’la
scelleraggine esecranda di Mustafà, per l’aperta violazione dei
giuramenti e per accuse falsamente inventate.
Il suo capo fu appeso ad una
forca
nella gran piazza, ed il
suo corpo diviso in quattro parti,
fu esposto in quattro
principali luoghi della città.
ll cuore e le viscere in un
quinto luogo furono poste. La pelle, di paglia ripiena ed adorna de’
suoi usitati vestimenti,
e col cappello rosso coperta in
parte la testa ottimamente adattata come se fosse un corpo vivo, fu
tradotta per la città e per tutte le strade sopra di un bove, ovvero
vacca, con due Turchi che l’ accompagnavano , che sembravano
servirlo, uno de’quali teneva l’ombrella alla faccia, e seguitata
dallo strepito di molti tamburi e trombe, acciò s’imprimesse
maggior terrore nel popolo, spaventato, recitando per editto con
grave voce le seguenti parole:
“Ecco il vostro signore: venite ad
osservarlo, salutatelo, veneratelo, acciò ripetiate da lui il premio
di tante vostre fatiche e della vostra fedeltà”.
Fu essa pelle con le insegne e con
le teste di Astorre Baglioni, di Luigi Martinengo e di Andrea
Bragadino tradotta in una galera, e per comando del feroce Mustafà,
come se fosse glorioso spettacolo, o memorabile trofeo, fatta vedere
a tutti i popoli della Siria, Cilicia ed altre marittime genti e
nazioni.
Insomma, Marcantonio Bragadin e il
quasi dimenticato Astorre Baglioni furono massacrati dopo aver
scritto una delle pagine più memorabili della storia militare
rinascimentale. Mi dispiace molto che la storiografia moderna li
ricordi di rado, come fossero parte di un periodo che deve essere
insabbiato in nome del politicamente corretto.
L’ultima lettera di
Astorre Baglioni
In Astorre Il Baglioni. Guerriero e
letterato (2009), Alessandra Oddi Baglioni riporta l’ultima lettera
del comandante militare alla moglie: “Vedermi diviso da voi, mi par
d’essere come giorno senza sole, anzi corpo senza anima, poiché
voi e io insieme siamo la vita di casa nostra… Vi prego, mitigate
il tedio del mio stare assente con l’acquisto dell’onore che
spero di conseguire nella difesa di Famagosta.”
Un altro resoconto degli avvenimenti di
Famagosta proviene da Angelo Gatto da Orvieto (riprodotto
parzialmente in L’ultima crociata. Quando gli ottomani arrivarono
alle porte dell’Europa di Arrigo Petacco), un capitano di ventura
che combatté nell’assedio e passò duri mesi di prigionia a
Costantinopoli. Visto che è quasi sovrapponibile a quello del
Riccoboni, immagino che quest’ultimo lo abbia tratto integralmente
da quello del testimone diretto. Ad ogni modo, Angelo Gatto aggiunge
un episodio raccapricciante, il classico stupro di gruppo:
Il peggio era vedere le meschine
zitelle che, in presenza del padre e della madre, facendole stare
scoperte, hor dall’una et hor dall’altra parte, a guisa di uno
specchio, con gran disonestà facevano dei fanciulli maschi,
cosa vituperosa e brutta
come è solito alla turchesca
et che per honestà taccio..
Chiudo l’articolo con l’ultima
parte del racconto di Riccoboni, sulla cui verità storica ho qualche
leggero dubbio (anche se l’evento soprannaturale e/o il miracolo
venivano inseriti spesso dagli storici del tempo):
Ricorderò una cosa certamente
maravigliosa, ma da molti costantemente asserita, e scritta ancora da
alcuni storici, e fra gli altri lasciata scritta da Pietro
Giustiniani nelle sue memorie. Assicurano che
la testa di Marc’ Antonio
Bragadino, infissa in lunga asta, e sopra una forca, come dicemmo,
collocata, sparse lucente fiamma, simile ai raggi del sole, per tre
notti in che rimase esposta,
e che da essa
esalava un maraviglioso
soave odore.
Le loro morti furono vendicate un paio
di mesi dopo con la famosa vittoria di Lepanto, che si concluse con
la distruzione della flotta turca da parte della Lega Santa. Le
divisioni fra stati europei (in pratica Venezia poteva fidarsi più
degli ottomani che di francesi e austriaci) impedirono però che una
vittoria del genere fosse pienamente sfruttata.