sabato 19 giugno 2021

Che sport si praticava nel medioevo?

 




I signori si davano soprattutto alla caccia, in tutte le sue forme, al tempo raffinatissime, come la falconeria. Poi c'era la guerra, e la sua forma incruenta, le arti marziali: combattimenti a piedi e a cavallo, che culminavano nella più grande celebrazione sportiva di tutti i tempi, la giostra. L'armeggiare corrispondeva in buona parte a quello che oggi è la ginnastica. Anche le persone comuni praticavano spesso arti marziali: tiro con l'arco o la balestra, lotta. C'era anche la corsa campestre, in occasione dei pali.

venerdì 18 giugno 2021

Qual era la durata media della vita nel Medioevo?




Nei ragionamenti odierni è il numero molto alto di mortalità infantile registrata nel Medioevo ad abbassare la media della durata di vita dell'epoca. Ma in realtà se un uomo sopravviveva all'infanzia e raggiungeva l'età adulta, aveva buone probabilità di vivere fino a 60, 70 anni, e non veniva considerato anziano fino a dopo i 50 anni. Non a caso per Dante il «mezzo del cammin di nostra vita» era a 35 anni.


giovedì 17 giugno 2021

Chi erano gli Alani?





In questo post conosceremo una popolazione epica: gli Alani. Questo popolo, in un arco di tempo che va dal VII secolo a.C. al XVII secolo a.C., riuscì ad ottenere un’estensione territoriale enorme, dalla Cina al Portogallo, ad assumere un ruolo preponderante al tempo delle invasioni unne ed a tramandare il proprio nome attraverso la fondazione di uno Stato ancora esistente: l’Ossezia.

Le prime notizie di questa popolazione si riscontrano nelle cronache assire del 650 a.C., nelle quali gli Alani erano definiti con il nome scita di “Ishkuza”, da Ish-Oguz (“Popolo Ish”). “Ish” è, in realtà, una variante di “As”, parola che, in odierno turco significa “errare” e che sta quindi ad indicare il loro stile di vita nomade. Infatti, proprio in virtù della presenza di numerosissime popolazioni nomadi gli antichi Greci usavano il nome “Asia” per le steppe a Oriente. La maggior parte di queste popolazioni era dedita all’allevamento ovino.

Verso il 300 a.C. durante la loro espansione verso oriente, gli Alani entrarono in contatto con gli Unni orientali. Ne nacque un’alleanza che fece degli Alani una parte importante dell’esercito unno orientale. Infatti gli Alani erano noti per le loro capacità belliche ed il loro supporto consentì agli Unni orientali di espandersi fino alla Cina.

Di fatto, comunque, questa alleanza cessò nel giro di un secolo circa, costringendo gli Alani che si erano spinti particolarmente ad est ad una migrazione di massa verso occidente. È in questa fase, che va all’incirca dal 200 al 100 a.C. che gli Alani, riunendosi al popolo dei Sarmati, diedero forza a questa popolazione fino a spingerla, nel tempo, all’ottenimento del predominio in tutta l’area del caucasica e del Ponto a spese degli Sciti.

A questo punto, stanziati nell’area attorno al Mar Nero, gli Alani cominciarono a frazionarsi in sotto-tribù che diventarono via via più potenti: all’inizio del I secolo a.C. fecero la loro comparsa i Roxolani, posizionati tra Dnieper e Don, come alleati del re scita di Crimea, mentre a metà del secolo troviamo gli Aorsi, stanziati tra il Don e il nord-ovest del Mar Caspio, come alleati di Farnace, re del Bosforo.

Sima Qian, autore dell’antica cronaca cinese “Shiji” descriisse gli Alani come un popolo di grande abilità guerriera e che il suo esercito disponeva di più di centomila arcieri. Nella stessa antica cronaca cinese si apprende che gli Alani disponevano di un gran numero di allevamenti di famosi zibellini, ma che allevavano anche bovini e che gli abitanti dei loro villaggi si muovevano come nomadi in cerca di acqua e foraggio.

Anche gli Alani occidentali, comunque, non dovevano essere una forza di minore importanza. Nel suo “Geografia” Strabone, che, nativo del Ponto, doveva conoscere bene questo popolo, afferma che Spadines, re degli Aorsi, fosse in grado di schierare duecentomila arcieri a cavallo attorno al 50 a.C., ma che gli “Aorsi settentrionali”, dai quali quelli meridionali si erano allontanati, ne potevano schierare molti di più, ed era per questo che dominavano tutta la regione costiera del Mar Caspio. Nel suo testo Strabone scrisse: “Di conseguenza potevano importare tramite cammelli le mercanzie indiane e babilonesi, ricevendole dopo che venivano passate agli Armeni e ai Medi, e così, per via di tale benessere, potevano permettersi di indossare ornamenti d’oro“.

Nel 35 d.C. troviamo gli Alani che vivevano a nord del Caucaso effettuarono una missione bellica contro i Parti, regno vassallo di Armenia, ed è probabile che tale raid fosse nato su suggerimento di Tiberio. Le relazioni con i Parti devono essersi poi ulteriormente evolute in senso bellicoso, visto che in una iscrizione partica del 62 d.C. troviamo che Vologeses, re dei Parti è “nel suo undicesimo anno di guerra contro Külük, re degli Alani“.

Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-100 d.C.), trattando della guerra ebraica, menzionava gli Alani (che definisce una tribù “scita“) come un popolo che vive in prossimità del Mare di Azov, e che ha attraversato le “Porte di Ferro” per saccheggiare e sconfiggere gli eserciti di Pacoro, re di Media, e Tiridate, re d’Armenia, due fratelli di Vologeses I.

La crescita della potenza degli Alani e la loro progressiva espansione verso occidente, certamente misero in allarme Roma, che, nel 69, mandò contro di loro (in particolare contro i Roxolani) la III Legione, riuscendo momentaneamente a bloccarli.

Si trattò, però, di una vittoria solo temporanea: nel 93, a capo di un’alleanza di popolazioni barbariche della steppa, gli Alani cominciarono ad effettuare raid continui nella Mesia Inferiore e, intorno al 117, i Roxolani da est e gli Iazigi da ovest invasero la Mesia e la Dacia romana, mentre Adriano non poté fare altro che tamponare la loro penetrazione, arrivando ad un accordo (firmato dal generale Publio Elio Rasparagano) che permise lo stanziamento delle tribù alane nelle aree già conquistate. Verso gli anni ’30 del I secolo, gli Alani continuarono le loro incursioni contro l’Albania, la Media, l’Armenia e la Cappadocia, parzialmente respinte da Flavio Arriano. A metà degli anni ’50 gli Alani sconfissero l’esercito romano a Olvia e, pochi anni dopo, cominciarono a fare le loro prime apparizioni nella Bassa Valle del Danubio.

Nel 161, poi, gli Alani aderirono ad una federazione sarmatica a cui si uniscono anche i Marcomanni e diventarono realmente pericolosi per l’Impero di Marco Aurelio, il quale dovette impegnarsi in una lunghissima campagna (167-175 d.C.) per vincere contro la prima grande invasione barbarica (I Guerra Marcomanna), comunque non risolvendo la situazione in quanto tra il 178 e 180 d.C., una nuova invasione capeggiata dagli Alani portò alla II Guerra Marcomanna.

Qualche anno dopo, sotto la pressione dei Goti, gli Alani continuarono a muoversi verso occidente e nell’anno 210 occuparono interamente la Dacia. Nel 242 circa, in alleanza con i Goti, gli Alani penetrarono in Macedonia e nella Tracia.

Intorno al 300, Ammiano Marcellino relazionava di vittorie a ripetizione degli Alani, i quali assurti ormai a potenza internazionale, nel 351 furono in grado di attaccare, in alleanza con il re armeno Arsak II, l’Impero persiano.

Mentre il popolo alano raggiungeva il massimo della sua espansione territoriale, qualcosa di fondamentale per la storia europea stava avvenendo: un popolo mongolico proveniente dall’Asia centrale, spinto da ragioni politiche e soprattutto demografiche, diede inizio ad una inesorabile espansione verso occidente travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Era iniziata l’epopea degli Unni.

Intorno al 360 essi attraversarono il Volga e attaccarono con forze preponderanti gli Alani, i quali non ebbero alcuna possibilità di resistere. Una parte del popolo si ritirò verso il nord del Caucaso, mentre gran parte delle tribù si sottomise ai nuovi conquistatori, creando un’alleanza forzata, per altro piuttosto favorevole: secondo Giordane agli Alani venne garantito un notevole grado d’indipendenza e una buona fetta del bottino in cambio del loro aiuto nella guerra contro gli Ostrogoti di Ermanarico.

La guerra, che durò dal 370 al 376, vide gli Unno-Alani al comando di Balamber vincitori (contro gli Ostrogoti e poi i Visigoti che si ritirarono sullo Dniester) ma, di fatto, gli Alani, dal Caucaso alla Dacia, diventarono parte della “confederazione unna” e tali rimasero fino al 398, partecipando anche alla penetrazione unna in Europa.

Una piccola parte degli Alani, non accettando la situazione, decise di servire nella guardia dell’imperatore Graziano (375-383) ma la maggior parte degli uomini, unito all’enorme esercito di Balamber e del suo primogenito Alyp-bi, dopo aver sconfitto anche i “Sadumst” (probabilmente i Goti Scandinavi), divenne parte attiva nella battaglia di Adrianopoli del 378 che vide le forze di Bisanzio nettamente sconfitte da quelle della “confederazione unnica”, costituita dagli Unni, dagli Alani, dai Sarmati e dai Goti.

Nel 400 d.C., nella zona tra Itil ed il Don, gli Alani cominciarono ad unirsi ai Bulgari. Fu per questo motivo che gran parte delle truppe alane entrarono con gli ausiliari unni nell’esercito di Stilicone, aiutando nel 402 l’Impero d’Occidente contro Alarico e nel 405 contro Svevi e Ostrogoti. Orosio scrisse che nel 402, le truppe ausiliarie alane e unne combatterono le une contro le altre: fu l’inizio del processo che portò alla disgregazione della confederazione unna nel 406 e alla fuoriuscita degli Alani dalle truppe imperiali.

A questo punto, buona parte degli Alani si allearono con i Vandali e le truppe congiunte del re vandalo Goar e del re alano Respendial marciarono sulla Gallia, sbaragliando oltre il confine del Reno le truppe federate dei Franchi e penetrando in profondità in Bretagna, dove cominciarono ad unirsi ai Celti in fuga dalla Britannia invasa dai Sassoni (è in questo periodo che, nella onomastica inglese e francese cominciamo a trovare in modo molto diffuso il nome “Alan” o “Alain”). Dopo una ripartizione delle Gallie tra Alani (che formarono lo stato di Alania), Vandali e Svevi, nel 409 Respedial mosse il suo popolo nella Penisola Iberica, seguito dai Vandali e dai Visigoti, e si impossessò della Lusitania, mentre in Francia, tra 414 e 418, re Addak fu impegnato in una guerra contro i Visigoti che lo vide poi perdente, con la fine del regno di Alania e la morte del re stesso. Con la morte di Addak, gli Alani si frazionarono in varie tribù e si posero sotto il patrocinio dei Vandali con i quali, al comando di Genserico, si mossero in Africa settentrionale nel 428: il ramo occidentale degli Alani cessò così di esistere.

A questo punto, sopravvivessero come popolo indipendente solo gli Alani orientali, alleati di Bisanzio: nel 455 essi combatterono contro Ardarico, re dei Gepidi e i figli di Attila nella battaglia del fiume Neda in Pannonia e nel 468, guidati da re Aspar, fecero parte delle truppe imperiali nella guerra sul Danubio, ma nulla poterono contro l’imponente esercito unno, che li sconfisse e li sottomise, relegandoli nelle aree caucasiche.

Siamo così giunti al VI secolo d.C.: dal Caucaso, in cui vivevano dedicandosi alla pastorizia nomade, gli Alani, come ci spiega Zaccaria Scolastico, compirono sporadiche incursioni contro l’Impero Sassanide e strinsero alleanze con Bisanzio, ma il loro periodo di splendore tramontò definitivamente in quanto ormai erano sottomessi agli Unni e soggetti come sono alle invasioni turche. Durante il VII secolo gli Alani cercarono di sopravvivere all’espansione dei popoli vicini alleandosi strettamente ai Cazari, nuovi dominatori dell’area, ma nel 651 furono sconfitti dall’esercito arabo di Abd Al Rahman e nel 715 dalla spedizione contro di loro del Califfo Umar ‘II. La loro area fu invasa dai Turchi nel 721 e divenne terreno di battaglia tra Arabi e Turchi per tutto il secolo successivo. Da questo momento in poi, tracce degli Alani (il cui regno, ormai ridottissimo, rimase, comunque, formalmente indipendente) si ebbero solo come gruppi di soldati mercenari, di volta in volta al soldo di Bizantini, Armeni e Cazari, fino alla distruzione del regno di Cazaria da parte dei Rus (Russi) nel 965.

Il XIII secolo fu caratterizzato dalla lotta contro l’Orda d’Oro mongolica : dal 1222 al 1240 gli Alan vennero costantemente sconfitti dai Mongoli, fino alla conquista della loro capitale Magas da parte di questi ultimi e alla formale sottomissione dell’Alania all’Impero Mongolo. Tale sottomissione continuò per tutto il XIV secolo, con un continuo alternarsi di servizio mercenario nelle truppe imperiali del Gran Khan e ribellioni locali. E’ a seguito di una di tali ribellioni che, nel 1395, la regione dell’Alania settentrionale fu invasa dall’esercito di Tamerlano, che compì un vero e proprio genocidio della popolazione. Anche questo ceppo alano, dunque fu quasi totalmente estinto. A fine XIX secolo gli Alani sopravvissuti al genocidio, in congiunzione con rimanenti tribù scite e sarmate, furono riclassificati come Osseto-Iranici, abitanti dell’Ossezia settentrionale e meridionale.

Conosciuta la loro storia, affrontiamo ora alcuni aspetti della loro cultura.

Gli autori antichi ci parlano degli Alani come di un popolo nomade che si aggirava per spazi enormi portando sempre con sé tutti i loro averi.

Ammiano Marcellino ci dice che essi non avevano alcun riparo, nessuna cura per la coltivazione del grano, si nutrivano di carne e latte e vivevano su carri coperti da corteccia arrotondata. Quanto al loro aspetto, lo stesso autore narra che: “Gli Alani sono alti e belli, con i capelli tendenti al biondo. Essi sono spaventosi per il loro aspetto sempre serio e minaccioso e sono dotati di una grande rapidità grazie alla leggerezza delle loro armi (archi, frecce, lance). Per il resto, sono come gli Unni sotto ogni aspetto, tranne che per un sistema di vita e una cultura più semplice. Come il barbaro [cioè gli Unni], hanno un Dio dalle forme umane, che pregano piantando una spada per terra. Esso è un dio della guerra ma è anche protettore della terra. Presso di loro non esiste la schiavitù, essendo tutti di nascita altrettanto nobile, e, fino ad ora, giudici, capi e sovrani vengono eletti dal popolo tra coloro che si sono particolarmente distinti nelle battaglie“.



mercoledì 16 giugno 2021

Qual è la più grande ironia della storia?

Ucciso da un morto...



Sigurd the Mighty era un famigerato vichingo, il secondo conte di Orkney e il capo di una conquista sulla Scozia settentrionale.

Alla fine del suo regno, sfidò un nobile pitto chiamato Máel Brigte the Bucktoothed ("denti da coniglio") a una battaglia, quaranta uomini per ciascuna parte. Sigurd era subdolo e inaffidabile, e finì per portarne ottanta, rendendo facile la sua vittoria sull'esercito dei Pitti. Per commemorare il massacro di Máel, prese la sua testa come trofeo e la legò al suo cavallo.

Mentre cavalcava, però, la testa mozzata sbatté contro la sua gamba e il suoi denti prominenti la tagliarono. La gamba si infiammò e si infettò, e morì giorni dopo. E così, fu ironicamente ucciso dall'uomo che lui stesso aveva ucciso.

La morale della storia? Metti le tue teste mozzate in una borsa o in una scatola!




martedì 15 giugno 2021

The White Ship: la sciagura del “Titanic” di 900 anni fa

Il 25 novembre 1120 affondava la ”White Ship”, o meglio la Nef Blanche, con 300 persone a bordo, morirono tutti tranne un uomo, unico testimone di quanto accaduto. Fu per l’epoca una tragedia immane, la si trova in tutte le cronache del tempo, a bordo c’erano i rampolli della miglior aristocrazia inglese e francese e soprattutto c’era William Adelin, l’erede al trono inglese. Fra le altre conseguenze il naufragio portò a quasi 20 anni di guerra.


Il naufragio della White Ship


Partiamo dall’inizio. Enrico I fu il terzo re normanno d’Inghilterra. Era figlio di Guglielmo il Conquistatore che aveva iniziato la dinastia normanna sconfiggendo ad Hastings nel 1066 l’esercito di Aroldo II, ultimo re anglosassone.

Enrico I, detto il Chierico per la sua attitudine allo studio piuttosto che al combattimento, ebbe da Matilde, figlia del Re di Scozia, la figlia Matilde, nata nel 1102, e il figlio William nato nel 1103. Ebbe comunque una quindicina di figli illegittimi che amava e considerava al pari di quelli legittimi, com’era usanza in epoca medievale.


Re Enrico I


La figlia Matilde era diventata imperatrice del Sacro Romano Impero nel 1114 sposando Enrico V di Germania, William invece aveva sposato Alice d’Angiò nel 1119.

Nel 1120 Enrico I insieme al figlio William, due dei suoi figli illegittimi, Matilda e Riccardo, e dignitari di corte, si erano recati in Francia per la nomina di William a Duca di Normandia a conclusione delle lunghe dispute con Re Luigi VI di Francia. Con loro doveva imbarcarsi per l’Inghilterra anche il nipote di Enrico, Stefano di Blois, figlio di Adele, sorella del re.

Il 25 novembre 1120 gli inglesi si apprestavano a rientrare in patria quando il Capitano FitzStephen mise a disposizione del Re Enrico la nave White Ship, nuova di zecca, grande, veloce e lussuosa.

Enrico I rifiutò la nave per sé, ma la accettò per il figlio e il gruppo dei giovani al seguito.
Pare che William avesse insistito per poter fare il viaggio su quella nave così veloce e ritardò la partenza, dopo quella del padre, per poi raggiungerlo, così i festeggiamenti continuarono ancora per ore dopo aver imbarcato una grande quantità di vino. Prima della partenza si presentarono sottobordo dei frati che volevano benedire la nave, come da consuetudine, per il suo viaggio inaugurale, ma vennero cacciati fra lazzi e risate dei passeggeri, tutti ubriachi fradici.

In seguito questo scherno venne considerato causa della collera divina.


L’affondamento della White Ship


La nave salpò a mezzanotte, la notte era buia, c’era solo un quarto di luna, ma il tempo era buono e la Manica era calma. Le uniche insidie erano date da affioramenti rocciosi vicini alla costa francese, ma il Capitano era esperto della zona e accettò di seguire la rotta a nord, più breve anche se più insidiosa.

A solo un miglio dalla costa la nave urtò la roccia più grande, la Quillebeuf, e cominciò ad affondare, la gente di Barfleur sentì voci e urla ma le interpretò come il prosieguo dei festeggiamenti e non vi diede importanza.

A bordo c’erano 160 nobili, 90 servitori e 50 uomini di equipaggio, che finirono nelle gelide acque della Manica Si salvò solo Berold, un macellaio di Rouen, che riuscì ad aggrapparsi all’albero della nave e a sopravvivere all’ipotermia grazie al suo cappotto di montone e alla sua costituzione grassa e robusta.

Venne salvato dai pescatori solo la mattina successiva e fu l’unico in grado di raccontare cosa accadde.

Raccontò che il Capitano era completamente ubriaco, così come l’equipaggio e tutti i passeggeri. Le guardie del corpo del principe avevano fatto imbarcare William sull’unica scialuppa, ma le richieste d’aiuto della sorellastra Matilda, anche se secondo Berold furono più bestemmie e insulti, convinsero William a tornare indietro per salvarla.
La scialuppa fu presa d’assalto dai naufraghi che cercando di salire a bordo e la fecero rovesciare e affondare.

Berold raccontò che il Capitano FitzStephen si era anche lui aggrappato a un pezzo di legno, ma resosi conto della morte di tre figli del re si lascio andare e annegò. Quasi nessuno all’epoca sapeva nuotare e comunque l’elegante abbigliamento di seta e trine non era certo d’aiuto, e anche i marinai morirono di ipotermia. I corpi arrivarono sulla spiaggia per settimane, ma quello di William non fu mai recuperato nonostante le spedizioni inviate dal padre.

Si salvò invece Stefano di Blois, nipote del re, che all’ultimo momento non si era imbarcato per un malore, ma forse anche spaventato dall’idea di una traversata con l’equipaggio ubriaco.

Il giorno seguente in Inghilterra nessuno si spiegava il mancato arrivo della nave e si comincio a temere il peggio, ma fu solo dopo il salvataggio di Berold che si seppe la verità.

Nessuno aveva il coraggio di riferire al re, e alla fine incaricarono un valletto di portare la notizia, sentendo la quale Enrico fu devastato e venne visto piangere disperatamente.


Enrico I guarda piangendo l’affondamento della White Ship.


Bisognava però mettere da parte il dolore e pensare alla successione, Enrico aveva 52 anni e poteva ancora avere figli, così nel 1121 sposò Adelisa di Lovanio, vedova e già madre.
La figlia Matilde restò vedova nel 1125 e venne richiamata in patria dal padre, che non avendo avuto figli dalla seconda moglie, prese la decisione di nominarla come successore, cosa inaudita ai tempi. Il Concilio, nonostante molte riserve, giurò fedeltà a Matilda. Giurarono anche Stefano di Blois, che aveva avuto speranze per il trono, e il figlio illegittimo maggiore di Enrico, il potente Roberto di Gloucester.

In verità Enrico non voleva Matilde sul trono ma sperava in un suo nipote come re d’Inghilterra. Nel 1128 Matilde sposò Goffredo d’Angiò, detto Plantageneto, per volere del padre. Per lei che era stata principessa e imperatrice fu un notevole declassamento divenire solo Contessa d’Angiò.


L’imperatrice Matilde


Goffredo aveva solo 15 anni mentre Matilde ne aveva già 26, e si trovava quindi sposata a un uomo che in realtà era poco più di un bambino. Nonostante l’insoddisfazione, nel 1133 nacque suo figlio Enrico.

Il matrimonio con un francese, nemico storico dei normanni, scandalizzò il Concilio che ritirò il giuramento a Matilde, ma nel 1131 Enrico costrinse tutti a giurare nuovamente fedeltà a Matilde e a suo marito.

Giurarono ma nel 1135, alla morte di Enrico I, nominarono re Stefano di Blois, cugino di Matilde sbarcato in Inghilterra appena appresa la morte dello zio che divenne Re il 26 dicembre del 1135.

Matilde protestò e si infuriò, ricordando a tutti il giuramento, ma era incinta del terzo figlio e non poté raggiungere subito l’Inghilterra.

Si appellò al Papa Innocenzo II per violazione al giuramento ma dopo 2 anni la decisione del Papa, influenzata pesantemente da Enrico arcivescovo di Winchester, fratello di Stefano, fu che il giuramento era stato invalidato dal matrimonio di Matilde. Matilde aveva i suoi sostenitori in patria, scontenti di Re Stefano, e nel 1139 sbarcò in Inghilterra con il suo esercito e il suo fedelissimo fratellastro Roberto di Gloucester. Iniziava la guerra civile, chiamata Anarchia, che fu uno dei periodi più tumultuosi della storia inglese, vere carneficine che misero a ferro e fuoco l’Inghilterra.


Re Stefano di Blois


I continui cambi di bandiera dei nobili, a favore dell’uno o dell’altra in base a chi pareva in vantaggio in quel momento, provocavano stragi, distruzione e carestie. Matilde cedette i suoi diritti al figlio Enrico nel 1148, Stefano nominò suo erede il figlio Eustachio, che morì prematuramente, e poi al secondogenito Goffredo. Ormai era stanco, invecchiava, e non aveva più voglia di lottare contro la cugina e suo figlio. Enrico II nel frattempo aveva sposato Eleonora d’Aquitania, ex moglie di re Luigi VII di Francia.

La moglie era molto più grande di lui ma portava in dote vasti possedimenti ed ebbero 8 figli, fra i quali Riccardo detto Cuor di Leone e Giovanni detto senza Terra. Della loro storia parla il bellissimo film ”Il leone d’inverno’ con Katherine Hepburn e Peter o’Toole, ma anche tante altre pellicole e il celebre “Robin Hood” Disney.


Re Enrico II


Nel 1152 Re Stefano ed Enrico si incontrarono, Enrico riconobbe Stefano come re e Stefano riconobbe il figlio di Enrico, Enrico anch’egli, come suo successore. A Goffredo, re mancato, venne offerta una contea in risarcimento.

La guerra era finalmente finita.

Stefano morì nel 1154, salì al trono Enrico II e così iniziava la dinastia dei Plantageneti. All’ascesa al trono del figlio Matilde si ritirò nell’abbazia di Notre-Dame-du-Pré, a Rouen, dove morì il 10 settembre 1167.

In tempi recenti è stato sollevato il sospetto che dietro al naufragio ci potesse essere la mano di Stefano di Blois, che aveva tutto l’interesse a eliminare l’erede al trono e che era fortuitamente restato a terra per un malore. A detta dei dubbiosi pare incredibile che un capitano serio ed esperto, con l’enorme responsabilità della vita di tre figli del re e del nobile carico a bordo, si fosse ubriacato ed avesse permesso al timoniere e altri membri fondamentali dell’equipaggio di ubriacarsi. Essendo passati 9 secoli, ovviamente, la verità su quel disastroso naufragio non si saprà mai.


Nel medioevo i re facevano davvero buttare i giullari e i buffoni di corte nel fossato dei coccodrilli se non riuscivano a intrattenerli in modo soddisfacente?

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Occorre capire bene in cosa consistesse la figura del giullare in una corte medievale.
Non erano tenuti esclusivamente per l'intrattenimento.
La corte del re tendeva ad essere composta da yes-men che dicevano sempre e solamente le cose che il re voleva sentirsi dire. Le persone comuni correvano dei rischi molto grossi nel dire al Re cose che non voleva sentire o nel dare consigli o nel fare critiche pesanti.
Funzionava così.
Il re doveva essere lì per diritto divino e quindi era infallibile.
Tuttavia, un re saggio teneva sempre con sè un Matto di Corte. Il Matto aveva carta bianca nel dire tutto ciò che gli piaceva, senza ripercussioni. In quel modo, il re sapeva cosa stava davvero succedendo nel Regno.
Perché allora fornire una così preziosa fonte di informazioni ai coccodrilli?






lunedì 14 giugno 2021

Alcuni fatti sorprendenti o inaspettati sui vichinghi

Quindi sediamoci intorno al fuoco e ascoltiamo le voci degli antichi norreni...



LE DONNE AVEVANO DOVERI E DIRITTI

Potremmo spesso immaginare le povere donne dell'era vichinga come praticamente schiave, come una sorta di oggetti lussuriosi per l'uomo, ma non potremmo sbagliarci di più.

In effetti, la civiltà vichinga era molto più complessa e progressista di quanto la maggior parte di noi pensi - le famose serie T.V. non aiutano a sfumare questa immagine distorta - e il ruolo delle donne aggiunge un ulteriore livello.

Vedi, nell'era vichinga in Scandinavia le donne potevano possedere proprietà e persino chiedere il divorzio!

Se il matrimonio fosse finito, avrebbero potuto reclamare la loro "dote", e certo: la maggior parte dei matrimoni sono stati organizzati e negoziati dalle famiglie coinvolte, ma in netto contrasto anche con alcune delle nostre società moderne in cui i matrimoni combinati sono ancora la norma, la sposa ha avuto voce in capitolo nell'accordo.

Ecco un'altra visione dell'atmosfera domestica di quel tempo:

Sebbene l'uomo fosse il "sovrano" della casa, la donna svolgeva un ruolo attivo nella gestione del marito, oltre che della famiglia. Le donne norvegesi avevano piena autorità nella sfera domestica, specialmente quando i loro mariti erano assenti. Se l'uomo di famiglia fosse morto, sua moglie avrebbe adottato il suo ruolo su base permanente, gestendo da sola l'azienda agricola di famiglia o l'attività commerciale. Molte donne nell'era vichinga scandinava furono sepolte con anelli o chiavi, che simboleggiavano i loro ruoli e il potere come gestori della casa.

E sebbene il termine "vichingo" sia usato quasi esclusivamente per i maschi, la presenza comune di formidabili donne guerriere nei testi antichi norreni - si pensi ad esempio alle famose "Valkyrjer" - suggerisce che dovremmo ampliare il termine.



I VICHINGHI ERANO AGRICOLTORI

Vivendo insieme ad altre famiglie nelle famose ed enormi longhouse centrali che originariamente contenevano oltre alle persone anche attrezzi, animali vivi, magazzini alimentari e laboratori, il luogo sociale centrale della longhouse era il grande focolare.

Molto probabilmente bruciava tutto il tempo, dato il clima nordico crudele.

E per questo motivo, non c'erano finestre né grandi spazi vuoti nelle pareti e nei tetti delle longhouse, in modo che sarebbero state scure e tetre.

Immagina solo le storie mistiche su dèi armati di martello e lupi giganti che sarebbero state raccontate intorno al fuoco della sera tra tutti i membri raccolti, con la morsa gelida dell'inverno alle loro spalle...



I VICHINGHI POTREBBERO AVER CREATO PIÙ DELLE LORO SPADE

Ci sono alcuni siti davvero fenomenali in Scandinavia che ospitano incisioni rupestri di simboli antichi e scene della vita storica vichinga.

I miei preferiti personali sono i petroglifi trovati a Tanumshede (Bohuslän, Svezia), un incredibile sito, patrimonio mondiale dell'UNESCO, contenente migliaia di immagini dell'età del bronzo e del ferro.

Si possono vedere barche, balene, figure maschili simili a Thor con grandi martelli, ma anche carri, uccelli e maschi con grandi erezioni.



Ciò che inoltre non è noto è che i vichinghi sciavano già per divertimento da circa 6000 anni; avevano anche un dio chiamato "Ullr" che veniva spesso raffigurato sugli sci attraverso alcune di queste incisioni rupestri: