Assieme alle avventure dei grandi dei
del pantheon nordico, le saghe scandinave raccontano tantissime
storie di antichi re e guerrieri vichinghi. Personaggi come Sigurðr,
o Sigfrido, Bósi e Ragnarr Loðbrók sono descritti per il loro
coraggio, il senso dell’onore e il tragico destino.
Chi non conosce le divinità nordiche?
Forse non tutte, ma sicuramente le più famose del pantheon: Odino,
Thor e Loki sono divenuti popolari grazie alle varie rappresentazioni
che ne sono state fatte dall’opera, dai fumetti e dal cinema,
mentre gli eroi vichinghi, ovvero i protagonisti delle saghe che
ricostruiscono la storia degli antichi popoli scandinavi, sono sempre
rimasti in secondo piano. Almeno fino a quando la recente serie
Vikings, che ha portato
sullo schermo le vicende della stirpe di Ragnarr Lobrók, ha
risvegliato l’interesse per i personaggi in carne e ossa.

Ricostruzione di un
guerriero vichingo del X secolo pronto a entrare in guerra. L’elmo
s’ispira all’unico copricapo di questo tipo oggi conservato
Gli eroi combattono nella bruma che
unisce in modo misterioso e ancestrale il mondo degli dei e quello
degli uomini, e proprio in virtù di tale unione dobbiamo chiederci
se possiamo considerarli figure umane oppure divine. Questi eroi sono
soltanto la versione umana delle divinità? Fino a che punto
costituiscono, nel carattere, un esemplare perfetto di essere umano?
Di sicuro nelle saghe nordiche gli eroi hanno un ruolo di prototipo,
o modello, e per questo sono rappresentati in modo idealizzato. Non
dobbiamo quindi commettere l’errore di considerare le storie
scritte su di loro alla stregua di un semplice racconto biografico.
Basta prendere come esempio la saga
dell’eroe Sigurr e della sua stirpe, in cui figura il già
menzionato Ragnarr Lobrók. Narrata già nel X secolo, viene ripresa
in
La Saga dei Völsungr, o
Saga dei Volsunghi, e nel suo seguito, La Saga di Ragnarr,
redatta, al pari della precedente, nel XIII secolo. Secondo il
racconto, Aslaug - che diventerà la terza moglie di Ragnarr - nasce
dall’uccisore dei draghi Sigurr e dall’eroina Brynhildr, o
Brunilde. Le avventure dell’eroe leggendario Ragnarr avvengono
nella Svezia del IX secolo, e in una di queste l’eroe si fa
confezionare uno strano vestito per il quale sarà chiamato “Brache
pelose”, costituito appunto da brache pelose con cui, assieme a un
manto di cotone, si protegge dagli attacchi di un serpente che poi
trapasserà a fil di lancia. Per questa gloriosa impresa diverrà
molto celebre in tutti Paesi scandinavi.

Sigurðr il Volsungo
Tutti gli eroi condividono la
caratteristica di avere una qualche relazione con gli dei: o ne sono
discendenti o possono entrarvi in contatto. In molte occasioni le
divinità li favoriscono, ma in altre li fanno cadere in disgrazia
come nel caso di uno dei protagonisti di
La Saga dei Volsunghi:
Sigmund, il padre di Sigurr. Ormai vecchio ma ancora valoroso, va in
battaglia contro le schiere dei suoi nemici e si lancia alla carica.
Non viene ferito da nessuna delle molte lance e frecce che gli
piovono addosso ma «quando la battaglia durava già da tempo,
si
presentò un uomo che indossava un cappello dalla tesa larga e un
mantello blu. Era guercio e in mano reggeva una lancia. Quest’uomo
si diresse verso Sigmund e brandì la lancia contro di lui. Quando il
re Sigmund gli assestò un colpo fermo con la spada, questa, nel
colpire la lancia, si ruppe in due pezzi. Da quel momento cambiò
l’esito dello scontro. La buona stella abbandonò Sigmund e molti
dei suoi guerrieri gli morirono davanti». La saga non rivela
l’identità del misterioso personaggio, ma il pubblico dell’epoca
poteva facilmente riconoscervi il dio Odino.
La Saga dei Volsunghi e quella di
Ragnarr Lobrók fanno parte di un sottogenere delle saghe conosciuto
come “saghe dei tempi antichi”. Gli eventi di questi racconti
leggendari o mitico-eroici si svolgono spesso in luoghi remoti e
immaginari. Le gesta sono accompagnate da descrizioni di oggetti
magici e creature fantastiche, così da suscitare nel lettore moderno
l’impressione di trovarsi davanti a un racconto di finzione. Eppure
sicuramente molte delle saghe combinano questi elementi fittizi e
soprannaturali con dati storici. Oggi abbiamo a disposizione una
trentina di saghe leggendarie che sviluppano la propria trama prima
della colonizzazione dell’Islanda nel IX secolo.

Hervör morente. Olio di
Peter N. Arbo, 1880
La saga della fanciulla guerriera
È il caso di La Saga di Hervör, la
cui trama può essere collocata durante le battaglie tra goti e unni
nel IV secolo. L’eroina Hervör, come Brynhildr, è una skjaldmær,
ovvero una fanciulla guerriera. La Saga di Hervör, l’unica a
contenere nel titolo il nome di una donna, venne scritta nel XIII
secolo e narra la vita dell’eroina e di tutta la sua stirpe.
La protagonista è descritta come una
ragazza dalla grande bellezza e dalla forza pari a quella degli
uomini. Ben presto si esercita più nel tiro con l’arco, nello
scudo e nella spada che nelle mansioni femminili, quali tessere e
cucire. Dopo aver indossato i panni di un uomo ed essersi fatta
chiamare Hervard, assume il comando di un gruppo di vichinghi per
recarsi presso la tomba del padre Angantyr, un berserkr, o guerriero
devoto a Odino. Qui recita la Hervararkvia, il Canto di Hervör,
esortando il padre ad alzarsi e a consegnarle Tyrfing, la spada che
le spetta in eredità e che era stata forgiata e maledetta dai nani
Dvalinn e Dulinn. La saga ha ispirato J.R.R. Tolkien per la creazione
di personaggi e situazioni della Terra di Mezzo in Il Signore degli
Anelli: ne è un esempio Éowyn, la principessa del regno di Rohan.

Tuttavia, nel Medioevo scandinavo
vennero redatti altri tipi di saghe nelle quali gli eroi non
provengono dai poemi antichi e in cui le gesta non hanno luogo in
scenari mitici. All’interno di tali testi raramente appaiono esseri
sovrannaturali, e gli dei non vengono quasi menzionati. Chi sono
allora, e come sono, questi eroi che non affondano le proprie radici
nel mondo mitologico?
Una risposta ce la possono dare le
quaranta Íslendingasögur, o Saghe degli Islandesi, giunte sino a
noi. I loro protagonisti vivono nell’intervallo di tempo compreso
tra la colonizzazione dell’Islanda, nel IX secolo, e l’adozione
del cristianesimo, due secoli più tardi. Non a caso questo periodo è
conosciuto come l’“epoca delle saghe”. La maggior parte dei
personaggi e molti degli eventi descritti sono fedeli alla realtà
storica e, poiché le saghe vengono messe per iscritto nei secoli
XIII e XIV ma si riferiscono a fatti risalenti perfino a tre secoli
prima, sono state paragonate ai romanzi storici.

I capi vichinghi
mantenevano gruppi di guerrieri che vivevano in case come questa,
ricostruita a Tofta Strand, nell’isola svedese di Gotland
Possiamo inoltre notare come gli autori
abbiano cercato di ricostruire la storia in modo tale che il pubblico
la percepisse come verosimile, e per questo nei testi abbondano
genealogie e racconti biografici: molte saghe iniziano proprio con la
descrizione dettagliata degli antenati del protagonista, con dati sui
sovrani, riferimenti alle colonizzazioni di nuovi territori e alle
battaglie che qui si combatterono.
Tali saghe, inoltre, possono
strutturarsi attorno alla vita di un individuo, come nel caso di La
Saga di Egill Skallagrímsson, La Saga di Gísli Súrsson o La Saga
di Grettir Ásmundarson, ma possono anche includere diverse
generazioni della stessa famiglia o degli abitanti di un luogo, come
nel caso di La Saga degli abitanti della Valle dei Salmoni o di La
Saga degli uomini di Eyr. Ciononostante, i protagonisti continuano ad
apparire come modelli idealizzati di comportamento e per questo sono
inevitabilmente condannati, come gli eroi mitici delle saghe
leggendarie, a un tragico destino.
Fratelli di sangue
Gli autori di queste saghe hanno ben a
cuore il fondo storico della vicenda. E, infatti, il prologo di La
Saga di Bósi e Herraur ci avverte che la storia narrata non è un
mero racconto volto a intrattenere, bensì l’esposizione di eventi
realmente accaduti. La storia ripercorre le avventure di Bósi e del
fratello di sangue Herraur, due giovani guerrieri in lotta contro il
padre del secondo, il re Hringr. Nel testo sono particolarmente
interessanti le scene erotiche, che non compaiono altrove. In una di
queste, Bósi si rivolge a una donna con una curiosa metafora
dell’ambito metallurgico: «Voglio indurire il mio guerriero al tuo
fianco. È giovane e non è ancora stato forgiato, e un guerriero
deve essere temprato al più presto». Lei gli chiede dove sia questo
guerriero e lui glielo mostra, guidandola con la mano. La giovane si
ritrae domandandogli perché porti con sé un oggetto duro quanto un
albero. Lui risponde che si ammorbidirà nel buco oscuro, e così
rimangono a intrattenersi tutta la notte. Assieme alla descrizione di
questo tipo di divertimenti notturni, appaiono anche delle formule
magiche.

Sigurðr uccide il drago.
Scena del portale della chiesa in legno di Hylestad. XII secolo.
Kulturhistorisk museum, Oslo
I protagonisti delle saghe incarnano
l’onore, la forza fisica e il coraggio; sono alti, di robusta
costituzione e forti. Non solo: tutti hanno partecipato a molte
spedizioni e battaglie, e quindi sono uomini celebri e dall’enorme
ricchezza. La Saga di Egill Skallagrímsson, scritta nel XIII secolo,
ci offre questa precisa ed esauriente descrizione del protagonista:
«I tratti di Egill richiamavano l’attenzione. Fronte estesa,
ciglia folte, naso corto ma incredibilmente piatto, mento grande come
la mandibola, collo massiccio e spalle più ampie di qualsiasi altro
uomo, capelli grigi come quelli di un lupo, e spessi, anche se era
rimasto ben presto calvo; mentre era seduto, come scritto prima, un
sopracciglio scendeva fino al mento, e l’altro s’inarcava fino
alla radice dei capelli; Egill era olivastro, con gli occhi neri».
Il carattere di Egill è irritabile e
violento. A dodici anni pochi uomini lo superano in possanza e
altezza. È un grande guerriero, ma anche un magnifico poeta. I suoi
versi scaldici – dal nome degli scaldi, o skáld, i poeti guerrieri
delle corti scandinave – sono vere e proprie opere d’arte.
Skalla-Grímr, il padre, è anche lui poeta oltre che fabbro, mentre
il nonno viene chiamato Kveldúlfr, “il lupo della sera”: è un
uomo molto saggio che di sera va in collera e, grazie ai poteri
magici, può cambiare aspetto a proprio piacimento. Egill si salva
recitando il poema Höfulausn (Riscatto della testa) davanti al re
Erik Ascia Insanguinata. Tuttavia non muore in battaglia ma a 80
anni, e questo comporta un grande disonore. L’autore della saga
racconta che, in vecchiaia, Egill si muove con difficoltà, la vista
gli viene meno e così l’udito, e le donne lo prendono in giro.

Una valchiria porta via
con sé un guerriero morto in battaglia. Olio di Hans Makart. XIX
secolo. Nationalmuseum, Stoccolma.
Coppie di eroi
Nella descrizione del fisico e delle
abilità di certi eroi delle saghe compare un chiaro contrappunto tra
fratelli. In La Saga di Bósi e Herraur il protagonista Bósi è
corpulento, moro, non troppo bello e rude, ma abile con le parole. Al
contrario, suo fratello Smid non è massiccio ma affascinante e pieno
di risorse. Anche in La Saga di Egill Skallagrímsson risulta
evidente il contrasto tra i fratelli Egill e Órólfr: Egill eredita
il carattere del padre, Skalla-Grímr, e del nonno. Entrambi sono
mori, brutti e dal temperamento irritabile; il fratello Órólfr,
invece, acquisisce il proprio carattere dalla famiglia della madre: è
generoso, coraggioso, allegro e molto popolare. Come se non bastasse,
a differenza di Egill, Órólfr è un giovane di bell’aspetto.
Quando Egill inizia a crescere, sin da
subito appare chiaro che diventerà brutto e moro come il padre; è
però piuttosto intelligente, e già bambino ha composto le sue prime
poesie. Molti eroi delle saghe sono di fatto grandi poeti. Un esempio
è proprio Egill, che dopo la morte dei figli recita il Sonatorrek,
con i versi scaldici più belli della poesia norrena: «Amara pena mi
stringe la gola, / pigra è la lingua, bilancia del canto. / Più non
riesco dal fondo del cuore / il mio tesoro di strofe a evocare».

Stele di Hunninge (VIII
secolo). Si crede che alcune scene corrispondano a uno dei poemi
eroici contenuti nell’Edda poetica: il Canto di Atli. Gotland
Museum. Visby, Svezia
Le saghe degli islandesi sono scritte
come se fossero storie, e non solo perché includono genealogie e
dati storici, ma anche per la trama, più centrata sull’azione e il
racconto degli eventi. L’intreccio ripete quasi sempre la stessa
sequenza: il protagonista abbandona la Norvegia per un litigio con il
re e si stabilisce in Islanda, dove nascono conflitti per terre o
eredità o a causa di assassinii che devono essere puniti. La
concatenazione delle vendette finisce quasi sempre in un bagno di
sangue e il protagonista viene dichiarato útlagi, o proscritto. Da
quel momento è costretto a nascondersi perché perseguitato e
chiunque può dargli la morte.
L’eroe tragico
L’eroe delle saghe deve morire in
battaglia. Come già indicato, è per lui un enorme disonore morire
da vecchio, al pari di Egill, o per malattia, poiché significa che
l’eroe non si è battuto con coraggio e ha evitato lo scontro pur
di non soccombere. La Saga di Gísli Súrsson descrive il prototipo
di una morte eroica: i nemici di Gísli, proscritto, hanno trovato il
suo nascondiglio e si preparano a ucciderlo. L’eroe è attaccato da
dodici uomini che lo feriscono con la lancia in più parti del corpo,
ma lui si difende valorosamente, senza mai retrocedere, e nessuno
degli assalitori ne uscirà illeso. Gli altri lo attaccano con forza
ancora maggiore e uno di loro lo colpisce in modo tale da fargli
uscire le viscere. Gísli però se le riprende e le infila dentro la
camicia, tenendole ferme con il cordone dei pantaloni. Poco prima di
morire recita dei versi e dà un ultimo colpo di spada a uno dei
nemici. Infine soccombe agli assalitori, spirando in combattimento.
Tra la cronaca e il romanzo, le saghe
plasmarono in questo modo l’immaginario dei guerrieri nordici della
Scandinavia proprio nel momento in cui questi scomparivano dal primo
piano della storia.