venerdì 30 settembre 2022

La migliore vita possibile per un contadino nel Medioevo? Chiedetelo a Baldovino Braccio di Ferro

Quando si pensa alla vita di un contadino medievale, le immagini che vengono in mente sono spesso di miseria, stenti, fatica nei campi e una condizione sociale immutabile, inchiodata da rigide strutture feudali. Eppure, come spesso accade nella storia, le eccezioni non solo esistono, ma talvolta riscrivono il corso degli eventi. Una di queste eccezioni ha un nome: Baldovino Braccio di Ferro, il popolano che sposò una principessa e fondò una delle più potenti dinastie d’Europa.

La sua vita è un condensato di avventura, ascesa sociale, guerra, amore e politica che, letta oggi, ha il sapore di un romanzo epico. Ma non è fantasia. È storia documentata.

Baldovino nacque intorno all’830 d.C. a Senlis, nell’attuale Francia. Non era nemmeno un contadino nel senso classico: suo padre, secondo le fonti, era un semplice bracciante forestale, un uomo incaricato della gestione dei boschi demaniali del re. In un mondo in cui la proprietà della terra definiva il rango sociale, Baldovino era ai margini della società. Eppure qualcosa, forse la sua forza, forse il suo spirito indomito, lo portò presto a distinguersi come uomo d’arme al servizio della famiglia reale.

Secondo le cronache, il giovane guadagnò la fiducia e la stima del Principe Luigi, figlio dell’imperatore Carlo il Calvo. Il Principe, noto per la sua generosità e mitezza, potrebbe essere stato il primo a dargli un’opportunità concreta di emergere. Una possibilità che Baldovino afferrò con entrambe le mani.

A corte, Baldovino conobbe Giuditta, figlia dell’imperatore. Giuditta era stata data in sposa, in giovane età, a due sovrani anglosassoni successivi. Rimasta vedova ancora adolescente, era tornata in patria ed era destinata, come accadeva spesso alle nobildonne in età fertile, a un terzo matrimonio politico. Invece si innamorò di un semplice soldato, un uomo senza titoli né terre: Baldovino.

La loro storia, incredibile già di per sé, prese una piega clamorosa quando i due fuggirono insieme. L’imperatore Carlo fu colto da una furia cieca e ordinò la cattura di Baldovino. Ma i due, con l’aiuto del Principe Luigi, riuscirono a scappare fino a Roma, dove si appellarono direttamente al Papa Niccolò I.

Il pontefice, in attrito con Carlo per motivi politici e religiosi, benedisse ufficialmente il matrimonio, rendendolo non solo legittimo ma inviolabile. A quel punto, l’imperatore fu costretto ad accettare la realtà dei fatti, anche se con riluttanza.

Non potendo permettere che sua figlia fosse semplicemente la moglie di un forestiero, Carlo decise di "nobilitare" la situazione. Baldovino venne nominato "margravio" (marchese) delle Fiandre, una regione di confine devastata dalle incursioni vichinghe. L’intento del sovrano era chiaro: punire l’audace genero assegnandogli un incarico che equivaleva a una sentenza di morte.

Ma Baldovino si dimostrò ancora una volta all’altezza. Da quel lembo di terra marginale e pericoloso, egli creò uno dei feudi più ricchi e strategici d’Europa. Organizzò la difesa, respinse e convertì i vichinghi, stimolò il commercio e incentivò l’immigrazione. Le Fiandre prosperarono.

Nel tempo, la posizione di Baldovino si consolidò. Suo figlio ereditò le terre e il titolo, che da semplice incarico regio si trasformò in una contea ereditaria. I suoi discendenti, noti in tutta Europa come "i Baldovini", avrebbero dominato per secoli. La Casa delle Fiandre divenne una delle più importanti d’Europa, fornendo crociati come Goffredo di Buglione, re di Gerusalemme, e addirittura imperatori dell’Impero Latino dopo la caduta di Bisanzio.

Quella di Baldovino Braccio di Ferro non è solo una storia personale. È una confutazione vivente del pregiudizio secondo cui nel Medioevo non esistesse mobilità sociale. È vero: i privilegi erano ereditari, le caste rigide, la nobiltà gelosa dei suoi ranghi. Ma attraverso il valore militare, la lealtà, il coraggio e — talvolta — l’amore, era possibile cambiare il proprio destino.

Famiglie come gli Hauteville, i Neville, i de Montfort iniziarono la loro ascesa nello stesso modo: da umili origini, attraverso il servizio armato e la fiducia dei potenti. In un mondo di guerre continue, chi sapeva distinguersi in battaglia poteva scalare i vertici della società.

Baldovino morì da nobile, vecchio, rispettato, padre di una stirpe e artefice di un dominio. Ciò che all’inizio era una fuga d’amore si trasformò in un impero personale. Da bracciante figlio di nessuno a fondatore di una delle case più influenti del continente: se questa non è la migliore vita possibile per un contadino medievale, è difficile immaginare qualcosa di meglio.

In una statua che oggi lo ritrae nel municipio di Bruges, il volto di Baldovino ci ricorda che anche nel Medioevo, dove la sorte sembrava immutabile, il coraggio e la fortuna potevano ancora riscrivere la storia.

giovedì 29 settembre 2022

Il Buffone di Corte: Saggio, Spietato, Sopravvissuto

Per molti, la figura del buffone di corte richiama immediatamente l'immagine stereotipata di un uomo dall’aspetto ridicolo, con campanelli sul cappello, intento a far capriole per divertire re annoiati. Ma la verità storica è ben più complessa e, per certi versi, sorprendente. Il buffone non era (solo) un pagliaccio: era un osservatore acuto, un satirico con licenza di parola, un consigliere travestito da comico. Il cliché, come spesso accade, contiene una traccia di verità — ma è solo un riflesso sbiadito della realtà.

A corte, il buffone migliore non era colui che sapeva solo far ridere, ma colui che sapeva quando farlo, a chi rivolgersi e cosa dire senza oltrepassare il confine tra irriverenza e tradimento. Spesso erano individui dotati di intelligenza superiore alla media, abilissimi nel leggere la stanza, nel cogliere sfumature politiche e sociali, e nel trasformare verità scomode in battute che strappavano risate invece che condanne.

Will Sommers fu uno dei giullari più noti alla corte di Enrico VIII, riuscendo a mantenere la propria posizione per decenni nonostante i capricci — e la pericolosissima imprevedibilità — del re. Non era solo tollerato: era ascoltato. E sopravvisse a molti altri cortigiani più potenti di lui.

Non esisteva un iter ufficiale o una candidatura formale. Nessun concorso, nessun bando di selezione. Il buffone si faceva notare. Alcuni partivano dalle piazze: saltimbanchi, mimi, poeti satirici, artisti itineranti. Altri erano letterati, filosofi, perfino ex preti caduti in disgrazia. Avevano in comune la prontezza di spirito e una certa inclinazione alla sovversione mascherata da umorismo.

Ma c’era anche un altro tipo di buffone: quello “naturale”. Persone con disabilità fisiche o tratti particolarmente inusuali venivano talvolta scelte perché si credeva avessero una connessione con il soprannaturale, o perché la loro presenza aveva un valore simbolico: rappresentavano l’imprevedibilità della sorte, la fragilità dell’ordine umano, la “follia” della verità. In certi casi, erano protetti dal re proprio per il loro “status diverso”.

Tuttavia, questo non implicava necessariamente una condizione umiliante. Alcuni di questi buffoni naturali, come Triboulet, alla corte francese, erano tanto rispettati quanto temuti per la loro lingua affilata. Triboulet era famoso per i suoi giochi di parole e la sua capacità di insultare i nobili in modo talmente elegante che era impossibile punirlo senza perdere la faccia.

Il buffone camminava costantemente su un filo sottile. Il suo compito era dire ciò che nessun altro poteva permettersi di dire. Prendere in giro le decisioni sbagliate. Evidenziare le ipocrisie. Mettere in ridicolo chi si prendeva troppo sul serio.

Ma farlo significava correre un rischio reale. Dire la battuta sbagliata, nel momento sbagliato, davanti alla persona sbagliata… e il buffone poteva finire decapitato o gettato in prigione. Le cronache ci offrono più di un caso in cui un commento fuori posto ha avuto esiti fatali. Anche la tolleranza del sovrano aveva un limite.

Eppure, il buffone era anche una figura protetta. Colpire un buffone era, in molti casi, come colpire la stessa autorità del re. Non era raro che i sovrani si infuriassero con cortigiani che avevano osato rispondere male al proprio giullare. Non perché questi fosse sacro in sé, ma perché rappresentava la volontà del monarca. Il buffone era il canale autorizzato della verità — purché facesse ridere.

In molti casi, il buffone non era solo un elemento decorativo o una valvola di sfogo per le tensioni della corte. Era una figura consultata in momenti di dubbio. Aveva il permesso di dire la verità spogliata di diplomazia. Per questo motivo, alcuni storici li definiscono “i consiglieri più onesti che un re potesse avere”.

Il fatto che le loro parole fossero sempre mediate dal comico non diminuiva l’impatto delle loro osservazioni. Anzi, le rafforzava. Quando una battuta smaschera un’ipocrisia, lo fa con una precisione chirurgica che nessuna reprimenda ufficiale potrebbe mai ottenere.

Forse il ruolo del buffone non è del tutto scomparso, ma si è trasformato. Oggi vive nei comici satirici, negli editorialisti più audaci, nei vignettisti che osano disegnare ciò che nessun altro osa scrivere. Ma la figura del buffone di corte aveva un’intimità e una funzione sociale che sono difficili da replicare: era dentro il potere, ma lo metteva costantemente in discussione. Era al servizio del re, ma solo finché riusciva a farlo ridere della verità.

Ecco perché, alla fine, lo stereotipo del buffone sciocco è solo una mezza verità. Alcuni lo erano, certo. Ma i più memorabili non erano degli sciocchi: erano i più saggi tra gli “sciocchi”, uomini e donne che avevano capito che ridere era l’ultima libertà, e che dire la verità ridendo era l’arte più pericolosa e più necessaria di tutte.



mercoledì 28 settembre 2022

Come si combatteva il freddo nel Medioevo

Il freddo nel Medioevo era una delle sfide più difficili da affrontare, un nemico invisibile che penetrava senza pietà nelle case di tutta Europa. Senza le comodità moderne come i termosifoni, l'isolamento termico o i doppi vetri, i medievali si trovarono a lottare con condizioni che oggi sembrano impensabili. Le case, costruite principalmente con legno e materiali poveri, erano soggette a infiltrazioni di aria fredda e correnti continue che rendevano ogni stagione invernale una vera e propria prova di resistenza.

Uno dei principali fattori che accentuavano il freddo era la questione delle finestre. Se oggi siamo abituati a pensare alle finestre come a barriere termiche che separano l'interno dalla fredda aria esterna, nel Medioevo le finestre erano piccole, mal concepite e prive di vetro. Quando c'erano, infatti, le finestre venivano coperte con persiane di legno o tela cerata, che servivano più a proteggere dal vento che a far entrare la luce. Il vetro, materiale costoso e raro, comparve nelle cattedrali intorno al X secolo, ma le case private non ne videro traccia fino al 1300. Anche quando veniva utilizzato, il vetro era di scarsa qualità, opaco e spesso sostenuto da griglie di piombo, creando una visione sfocata ma utile per ridurre l'ingresso di freddo e umidità.

Per riscaldare le case, la situazione non era migliore. I camini, come li conosciamo oggi, non erano ancora stati inventati. La loro comparsa è datata intorno al 1200, e si pensa che siano un'invenzione italiana, documentata per la prima volta nella Repubblica Marinara di Venezia. Prima di questa innovazione, i medievali si accontentavano di un fuoco acceso direttamente al centro della stanza, senza un sistema di ventilazione adeguato. Il fumo fuoriusciva dai fori nel tetto, rendendo l'ambiente non solo freddo, ma anche perennemente fumoso e poco salutare. Non esistevano i camini per allontanare i fumi, e quindi, anche se si riusciva a scaldarsi, si doveva fare i conti con l’aria viziata che permeava gli ambienti.

Le case medievali erano spesso costruite in legno, materiale che offriva poca protezione contro il freddo. Inoltre, la scarsa qualità delle mura e dei tetti contribuiva a far entrare l’aria gelida, un problema che rendeva le notti invernali insopportabili. Dormire durante l’inverno, dunque, era un’impresa ardua. La soluzione era quella di coprirsi con coperte pesanti e indossare berretti che coprissero la testa, una parte del corpo che doveva rimanere scoperta durante la notte per motivi di igiene.

Un altro aspetto interessante della vita medievale in inverno è rappresentato dai letti a baldacchino. Spesso visti come un capriccio estetico dei ricchi, in realtà questi letti erano fondamentali per combattere il freddo. Le tende che li circondavano non solo offrivano privacy, ma erano anche un modo per trattenere il calore corporeo, proteggendo il dormiente dalle correnti d'aria che penetravano inevitabilmente nelle stanze. I più abbienti non si accontentavano dei letti a baldacchino, ma ricoprivano anche le pareti con arazzi e tende pesanti, creando una sorta di barriera contro l'ingresso dell'aria fredda.

Questa situazione di vita, fatta di soluzioni creative per sopravvivere al freddo, ci fa comprendere quanto fossimo vulnerabili nel Medioevo di fronte agli elementi naturali. In un'epoca in cui le tecnologie moderne non esistevano, la lotta contro il freddo richiedeva non solo resistenza fisica, ma anche ingegno e adattamento. Le difficoltà che i medievali affrontavano quotidianamente sono un promemoria della fortuna di vivere in un'epoca in cui, grazie alla tecnologia e alla ricerca, possiamo affrontare l'inverno con ben altri strumenti e comfort.


martedì 27 settembre 2022

Quali sono i miti più comuni sul cibo e la ristorazione medievali che è necessario sfatare?

 Il cibo nel Medioevo è spesso frainteso e oggetto di stereotipi che non rendono giustizia alla realtà complessa e diversificata di un periodo che abbraccia circa mille anni e tre continenti. È facile immaginare cavalieri e nobili intenti a banchettare con enormi cosce di tacchino, ma molte di queste idee sono anacronistiche o imprecise. Approfondiamo alcuni dei miti e delle realtà riguardanti il ​​cibo medievale.

Innanzitutto, il tacchino non faceva parte della dieta medievale. Si tratta di un animale originario del Nuovo Mondo, introdotto in Europa solo intorno al 1519, dopo l'arrivo degli esploratori europei nelle Americhe. Quindi, l'immagine di un nobile medievale che si abbuffa di una coscia di tacchino è totalmente fuori contesto storico. Tuttavia, l'idea di associare un cibo ricco e succulento a un'epoca di sfarzi e abiti pomposi ha probabilmente alimentato questa visione romantica e fantasiosa.

Un altro luogo comune è l'idea che il cibo medievale fosse insipido. In realtà, le spezie erano estremamente apprezzate e ricercate, tanto da essere considerate un simbolo di ricchezza. Spezie come pepe, cannella, zenzero e chiodi di garofano arrivavano dall'Oriente attraverso rotte commerciali lunghe e pericolose, rendendole beni preziosi e costosi. Le guerre e le esplorazioni spesso avevano come obiettivo il controllo di queste rotte, rendendo le spezie una vera e propria moneta di scambio.

Tuttavia, la cucina quotidiana del popolo si adattava a ciò che era localmente disponibile. Nei climi settentrionali, si utilizzavano erbe come aneto, rosmarino, senape, finocchio e prezzemolo. Il cibo, quindi, non era insipido, ma semplicemente condizionato dalla disponibilità di ingredienti accessibili.

L'immagine di banchetti opulenti come norma alimentare è anch'essa fuorviante. I banchetti erano eventi straordinari, organizzati per celebrare occasioni speciali e dimostrare ricchezza e potere. La maggior parte delle persone, soprattutto i contadini, vivono di pasti molto più semplici. Il tipico pasto quotidiano di un contadino inglese, ad esempio, consisteva in una zuppa a base di cereali e verdure, accompagnata da pane, e occasionalmente carne o formaggio.

Un'utilizzazione comune nelle case medievali era mantenere una pentola sul fuoco in cui venivano aggiunti continuamente ingredienti disponibili. Questa "zuppa perpetua" rappresentava un modo pratico e sostenibile per affrontare le dure condizioni di vita. Tutto ciò che si poteva recuperare – dalle verdure alle ossa di carne – veniva aggiunto al piatto, garantendo un pasto caldo e nutriente.

Un altro mito riguarda il consumo di birra. Sebbene la birra fosse una bevanda comune, soprattutto la cosiddetta "birra piccola" (con un basso contenuto alcolico), non tutti la consumavano. Chi vive in aree con accesso a fonti d'acqua pulite preferisce spesso bere acqua, contrariamente all'idea che fosse completamente evitata. La birra era popolare anche per ragioni pratiche, poiché il processo di fermentazione la rende più sicura da bere rispetto all'acqua contaminata in alcune aree.


La cucina medievale era molto più variegata e sofisticata di quanto si potesse pensare, ma allo stesso tempo rifletteva le disuguaglianze sociali dell'epoca. Le tavole dei nobili erano ricche di sapori esotici e spezie rare, mentre quelle dei contadini si basavano su ingredienti locali e soluzioni pratiche. I miti e gli stereotipi moderni non rendono giustizia alla complessità e alla creatività della cucina medievale, che, pur nelle sue limitazioni, dimostrava una sorprendente capacità di adattamento e sfrutta al meglio le risorse disponibili.





lunedì 26 settembre 2022

Perché i Vichinghi indossavano la cotta di maglia sotto le tuniche invece che sopra? Questo metodo di protezione era meno efficace contro armi come spade e frecce?

I Vichinghi, come molti altri popoli guerrieri, talvolta indossavano la cotta di maglia sotto le tuniche piuttosto che sopra per una serie di ragioni pratiche e culturali, ma questo non significa necessariamente che fosse meno efficace contro le armi come spade e frecce. Analizziamo il contesto e le implicazioni di questa scelta:

Protezione della maglia di cotone

Indossare la cotta di maglia sotto una tunica o un indumento di tessuto spesso aveva il vantaggio di proteggerla dall'usura e dai danni ambientali.

  • Evitare la corrosione: La cotta di maglia era realizzata in ferro o acciaio, materiali soggetti alla corrosione, soprattutto in ambienti umidi. La tunica sopra poteva proteggerla da pioggia, fango o sangue.

  • Ridurre la manutenzione: Le tuniche sopra la cotta aiutavano a evitare che i collegamenti metallici si sporcassero o si rompessero facilmente durante l'uso quotidiano.

Comfort e mobilità

La cotta di maglia poteva risultare scomoda da indossare a contatto diretto con la pelle o con indumenti sottili, quindi:

  • Strati imbottiti sotto la cotta: I guerrieri spesso indossavano un gambeson o un indumento imbottito per attutire gli impatti e migliorare il comfort.

  • La tunica sopra riduceva lo sfregamento: Indossare un tessuto sopra la cotta evitava che il metallo sfregasse contro altri oggetti, come cinture o borse, e impediva che i collegamenti si impigliassero.

Aspetti culturali e visivi

  • mantenere un'apparenza dignitosa: I Vichinghi, soprattutto i leader o i guerrieri d'élite, potevano preferire nascondere la loro armatura sotto una tunica decorata, il che permetteva di mantenere un aspetto più "nobile" o meno intimidatorio al di fuori del combattimento.

  • Fattore sorpresa: indossare la cotta di maglia sotto gli abiti poteva essere una scelta strategica per mascherare la propria protezione durante uno scontro, dando un vantaggio tattico contro avversari impreparati.

Efficacia contro le armi

La scelta di indossare la cotta sotto una tunica non ne riduceva necessariamente l'efficacia contro le armi:

  • Contro le spade: La cotta di maglia era molto efficace contro i tagli di spada, indipendentemente dal fatto che fosse sopra o sotto una tunica. La forza del colpo è stata distribuita attraverso gli anelli metallici.

  • Contro le frecce: La cotta era meno efficace contro colpi perforanti, come quelli di frecce o lancia, ma l'aggiunta di una tunica o di uno strato imbottito sopra poteva leggermente attutire l'impatto e impedisce che i frammenti metallici causassero ulteriori ferite.



Indossare la cotta di maglia sotto una tunica era una scelta pratica e culturale, più che una questione di efficacia bellica. La protezione fornita dalla cotta rimaneva valida, e il sistema a strati permetteva di bilanciare sicurezza, comfort e presentazione. Questo metodo non comprometteva in modo significativo la protezione contro spade o frecce, soprattutto perché le armature erano sempre parte di un sistema difensivo complesso che includeva scudi, elmi e tattiche di combattimento.







domenica 25 settembre 2022

Ivar il Senz'ossa era uno storpio?


Ivar il Senz'ossa è una figura storica e leggendaria che ha stimolato discussioni e interpretazioni diverse nel corso dei secoli. Sebbene la sua reale condizione fisica non possa essere confermata con certezza, il soprannome "Senz'ossa" è stato al centro di speculazioni e dibattiti.

Le saghe norrene, come la Saga di Ragnar Lothbrok e la Saga di Ivar il Senza Ossa, offrono descrizioni che lo ritraggono come un leader straordinario, ma non forniscono dettagli coerenti sulla sua presunta disabilità. Alcuni punti chiave:

  1. Teoria della disabilità fisica

    • Una delle interpretazioni più comuni è che Ivar soffrisse di una condizione come l'osteogenesi imperfetta (una malattia genetica che rende le ossa fragili) o la poliomielite, che avrebbe compromesso la sua capacità di muoversi autonomamente.

    • I resoconti che lo descrivono come trasportato su un carro o sorretto dai suoi guerrieri supportano questa ipotesi.

    • Nonostante questa possibile limitazione, Ivar viene descritto come una brillante strategia, dimostrando che il valore in battaglia poteva risiedere nella mente tanto quanto nel corpo.

  2. Teoria metaforica

    • Un'altra interpretazione vede "Senz'ossa" come riferimento alla sua agilità o flessibilità, paragonandolo a un serpente oa un combattente sorprendentemente scaltro. Questo spiegherebbe come il soprannome potesse essere un elogio delle sue capacità piuttosto che una descrizione di una debolezza fisica.

    • Potrebbe anche essere un riferimento simbolico alla sua abilità nel sfuggire alle situazioni pericolose, una qualità essenziale per un capo vichingo.

  3. Contestualizzazione culturale

    • Nella società vichinga, le disabilità fisiche non erano necessariamente viste come ostacoli insormontabili. L'efficacia di un individuo è stata giudicata più dal suo ingegno e dalla sua capacità di contribuire al gruppo.

    • Ivar è descritto come un uomo temuto e rispettato, nonostante le presunte limitazioni, e le sue imprese, come la conquista di York, dimostrano il suo genio militare.

  4. Altre spiegazioni

    • Alcuni storici ipotizzano che "Boneless" potesse riferirsi a una caratteristica personale non legata alla salute fisica, come la mancanza di discendenti (un riferimento simbolico alla sterilità) o un tratto caratteriale come la freddezza o l'implacabilità.



La figura di Ivar si colloca nel periodo delle invasioni vichinghe dell'Inghilterra nel IX secolo. È ricordato per il suo ruolo nella guida del Grande Esercito Pagano, una coalizione di guerrieri vichinghi che devastò i regni anglosassoni. La sua intelligenza tattica e la sua spietatezza lo resero un capo temuto, indipendentemente dalle sue presunte condizioni fisiche.

Il soprannome "Senz'ossa" potrebbe indicare una disabilità fisica, una qualità metaforica o un tratto simbolico. Indipendentemente dalla verità, Ivar è rimasto una figura straordinaria, la cui leggenda unisce storia e mito, sottolineando l'importanza della strategia e della leadership nella cultura vichinga.




sabato 24 settembre 2022

Nei conventi del medioevo i preti e le suore avevano rapporti sessuali?

Scavi in prossimità di conventi hanno spesso portato al ritrovamento di resti di feti e di neonati, a dimostrazione che gli atti sessuali venivano praticati (anche) dalle monache o suore con (anche) esponenti dell'altro sesso.

Mi sovviene il passaggio segreto che ho visto ad Avignone, che collega la stanza da letto del Papa con, stranamente,quella delle suore.



venerdì 23 settembre 2022

Qual è la tortura che provoca il maggior quantitativo di dolore nell’uomo mai inventata?

Lo squartamento quadri-direzionale.


Ognuno dei 4 arti (superiori ed inferiori) del condannato veniva legato a quattro cavalli, che, incitati in direzioni opposte, provocavano lo smembramento della vittima.

Essa veniva, di fatto, lacerata viva, lasciandone in vita il solo tronco (busto) che gradualmente periva per dissanguamento non prima di aver patito sofferenze inumane.


Qual è stata la donna più spietata?

L’ascesa di Fredegonda è senza pari, figlia della scaltrezza, cinismo e seduzione. Soltanto così una povera giovinetta della Piccardia, entrata a corte del re Chilperico, poteva ambire a sostituire la regina e a lottare per decenni con un’altra figura femminile di tempra ferrea, Brunilde, figlia del re dei Visigoti.



Gregorio, vescovo di Tours racconta che Fredegonda era di una bellezza mozzafiato ed era la servetta della regina Audovera. Proprio costei, ripudiata dal marito su suo spregiudicato consiglio, sarà la sua prima vittima.

Quando Chilperico sposa Galesvinta, sorella di Brunilde, Fredegonda la scredita agli occhi del re a tal punto da farla uccidere nel suo letto per ordine di Chilperico.

L’ex serva arriva così al trono, ma l’orrendo delitto accende Brunilde, che induce il marito Sigeberto a prendere le armi. La guerra sarebbe persa se Fredegonda non armasse la mano dei sicari con due grossi coltelli intinti nel veleno.

I killer sorprendono Sigeberto nell’accampamento e lo colpiscono a entrambi i fianchi, uccidendolo. Brunilde finisce prigioniera a Rouen e intesse una relazione con Meroveo, figlio di Austrasia e Chilperico, coronata da un matrimonio segreto.

Fredegonda coglie la palla al balzo e pianifica l’eliminazione di Meroveo, che braccato, preferisce farsi uccidere da un compagno piuttosto che finire nelle mani della matrigna.



La sua furia omicida colpisce anche Clodoveo, ultimo figlio di primo letto del re. Fredegonda riesce a partorire un maschio, Clotario e poco dopo muore Chilperico, pugnalato a tradimento dopo essere rientrato dalla caccia.

La guerra fra le due regine riprende e nel 597, e il quattordicenne Clotario sconfigge la rivale della madre. Fredegonda muore poco dopo, mentre Brunilde, ormai ottantenne, viene torturata: legata per un piede e un braccio a un cavallo è trascinata mortalmente per chilometri.

Chissà se la sadica fine della nemica gli era stata proposta dalla madre in punto di morte.


giovedì 22 settembre 2022

Quale cibo era economico nel Medioevo e cosa nei tempi moderni è diventato più costoso?

Nel Medioevo, i cibi economici erano quelli che potevano essere facilmente coltivati o raccolti, come le verdure, i legumi, i cereali e il pane. Anche la carne di maiale, che era facile da allevare, era spesso economica. Inoltre, i cibi che potevano essere conservati a lungo, come il formaggio e il salame, erano anche economici perché potevano essere conservati per periodi più lunghi senza deteriorarsi.



Nella società moderna, alcuni cibi che erano una volta economici sono diventati più costosi a causa dei cambiamenti nella produzione alimentare e nei modelli di consumo. Ad esempio, la carne di manzo è diventata più costosa a causa dell'aumento della domanda e dei costi associati all'allevamento del bestiame. Anche alcuni frutti e verdure di stagione, come le fragole o gli asparagi, sono diventati più costosi a causa dei costi di trasporto e della disponibilità limitata durante alcuni mesi dell'anno. Tuttavia, ci sono ancora molti cibi economici disponibili oggi, come i cereali, i legumi e le verdure di stagione.


mercoledì 21 settembre 2022

I vichinghi, gli eroi delle saghe norrene

Assieme alle avventure dei grandi dei del pantheon nordico, le saghe scandinave raccontano tantissime storie di antichi re e guerrieri vichinghi. Personaggi come Sigurðr, o Sigfrido, Bósi e Ragnarr Loðbrók sono descritti per il loro coraggio, il senso dell’onore e il tragico destino.

Chi non conosce le divinità nordiche? Forse non tutte, ma sicuramente le più famose del pantheon: Odino, Thor e Loki sono divenuti popolari grazie alle varie rappresentazioni che ne sono state fatte dall’opera, dai fumetti e dal cinema, mentre gli eroi vichinghi, ovvero i protagonisti delle saghe che ricostruiscono la storia degli antichi popoli scandinavi, sono sempre rimasti in secondo piano. Almeno fino a quando la recente serie Vikings, che ha portato sullo schermo le vicende della stirpe di Ragnarr Lobrók, ha risvegliato l’interesse per i personaggi in carne e ossa.

Ricostruzione di un guerriero vichingo del X secolo pronto a entrare in guerra. L’elmo s’ispira all’unico copricapo di questo tipo oggi conservato


Gli eroi combattono nella bruma che unisce in modo misterioso e ancestrale il mondo degli dei e quello degli uomini, e proprio in virtù di tale unione dobbiamo chiederci se possiamo considerarli figure umane oppure divine. Questi eroi sono soltanto la versione umana delle divinità? Fino a che punto costituiscono, nel carattere, un esemplare perfetto di essere umano? Di sicuro nelle saghe nordiche gli eroi hanno un ruolo di prototipo, o modello, e per questo sono rappresentati in modo idealizzato. Non dobbiamo quindi commettere l’errore di considerare le storie scritte su di loro alla stregua di un semplice racconto biografico.

Basta prendere come esempio la saga dell’eroe Sigurr e della sua stirpe, in cui figura il già menzionato Ragnarr Lobrók. Narrata già nel X secolo, viene ripresa in La Saga dei Völsungr, o Saga dei Volsunghi, e nel suo seguito, La Saga di Ragnarr, redatta, al pari della precedente, nel XIII secolo. Secondo il racconto, Aslaug - che diventerà la terza moglie di Ragnarr - nasce dall’uccisore dei draghi Sigurr e dall’eroina Brynhildr, o Brunilde. Le avventure dell’eroe leggendario Ragnarr avvengono nella Svezia del IX secolo, e in una di queste l’eroe si fa confezionare uno strano vestito per il quale sarà chiamato “Brache pelose”, costituito appunto da brache pelose con cui, assieme a un manto di cotone, si protegge dagli attacchi di un serpente che poi trapasserà a fil di lancia. Per questa gloriosa impresa diverrà molto celebre in tutti Paesi scandinavi.



Sigurðr il Volsungo

Tutti gli eroi condividono la caratteristica di avere una qualche relazione con gli dei: o ne sono discendenti o possono entrarvi in contatto. In molte occasioni le divinità li favoriscono, ma in altre li fanno cadere in disgrazia come nel caso di uno dei protagonisti di La Saga dei Volsunghi: Sigmund, il padre di Sigurr. Ormai vecchio ma ancora valoroso, va in battaglia contro le schiere dei suoi nemici e si lancia alla carica. Non viene ferito da nessuna delle molte lance e frecce che gli piovono addosso ma «quando la battaglia durava già da tempo,
si presentò un uomo che indossava un cappello dalla tesa larga e un mantello blu. Era guercio e in mano reggeva una lancia. Quest’uomo si diresse verso Sigmund e brandì la lancia contro di lui. Quando il re Sigmund gli assestò un colpo fermo con la spada, questa, nel colpire la lancia, si ruppe in due pezzi. Da quel momento cambiò l’esito dello scontro. La buona stella abbandonò Sigmund e molti dei suoi guerrieri gli morirono davanti». La saga non rivela l’identità del misterioso personaggio, ma il pubblico dell’epoca poteva facilmente riconoscervi il dio Odino.

La Saga dei Volsunghi e quella di Ragnarr Lobrók fanno parte di un sottogenere delle saghe conosciuto come “saghe dei tempi antichi”. Gli eventi di questi racconti leggendari o mitico-eroici si svolgono spesso in luoghi remoti e immaginari. Le gesta sono accompagnate da descrizioni di oggetti magici e creature fantastiche, così da suscitare nel lettore moderno l’impressione di trovarsi davanti a un racconto di finzione. Eppure sicuramente molte delle saghe combinano questi elementi fittizi e soprannaturali con dati storici. Oggi abbiamo a disposizione una trentina di saghe leggendarie che sviluppano la propria trama prima della colonizzazione dell’Islanda nel IX secolo.


Hervör morente. Olio di Peter N. Arbo, 1880


La saga della fanciulla guerriera

È il caso di La Saga di Hervör, la cui trama può essere collocata durante le battaglie tra goti e unni nel IV secolo. L’eroina Hervör, come Brynhildr, è una skjaldmær, ovvero una fanciulla guerriera. La Saga di Hervör, l’unica a contenere nel titolo il nome di una donna, venne scritta nel XIII secolo e narra la vita dell’eroina e di tutta la sua stirpe.

La protagonista è descritta come una ragazza dalla grande bellezza e dalla forza pari a quella degli uomini. Ben presto si esercita più nel tiro con l’arco, nello scudo e nella spada che nelle mansioni femminili, quali tessere e cucire. Dopo aver indossato i panni di un uomo ed essersi fatta chiamare Hervard, assume il comando di un gruppo di vichinghi per recarsi presso la tomba del padre Angantyr, un berserkr, o guerriero devoto a Odino. Qui recita la Hervararkvia, il Canto di Hervör, esortando il padre ad alzarsi e a consegnarle Tyrfing, la spada che le spetta in eredità e che era stata forgiata e maledetta dai nani Dvalinn e Dulinn. La saga ha ispirato J.R.R. Tolkien per la creazione di personaggi e situazioni della Terra di Mezzo in Il Signore degli Anelli: ne è un esempio Éowyn, la principessa del regno di Rohan.



Tuttavia, nel Medioevo scandinavo vennero redatti altri tipi di saghe nelle quali gli eroi non provengono dai poemi antichi e in cui le gesta non hanno luogo in scenari mitici. All’interno di tali testi raramente appaiono esseri sovrannaturali, e gli dei non vengono quasi menzionati. Chi sono allora, e come sono, questi eroi che non affondano le proprie radici nel mondo mitologico?

Una risposta ce la possono dare le quaranta Íslendingasögur, o Saghe degli Islandesi, giunte sino a noi. I loro protagonisti vivono nell’intervallo di tempo compreso tra la colonizzazione dell’Islanda, nel IX secolo, e l’adozione del cristianesimo, due secoli più tardi. Non a caso questo periodo è conosciuto come l’“epoca delle saghe”. La maggior parte dei personaggi e molti degli eventi descritti sono fedeli alla realtà storica e, poiché le saghe vengono messe per iscritto nei secoli XIII e XIV ma si riferiscono a fatti risalenti perfino a tre secoli prima, sono state paragonate ai romanzi storici.

I capi vichinghi mantenevano gruppi di guerrieri che vivevano in case come questa, ricostruita a Tofta Strand, nell’isola svedese di Gotland


Possiamo inoltre notare come gli autori abbiano cercato di ricostruire la storia in modo tale che il pubblico la percepisse come verosimile, e per questo nei testi abbondano genealogie e racconti biografici: molte saghe iniziano proprio con la descrizione dettagliata degli antenati del protagonista, con dati sui sovrani, riferimenti alle colonizzazioni di nuovi territori e alle battaglie che qui si combatterono.

Tali saghe, inoltre, possono strutturarsi attorno alla vita di un individuo, come nel caso di La Saga di Egill Skallagrímsson, La Saga di Gísli Súrsson o La Saga di Grettir Ásmundarson, ma possono anche includere diverse generazioni della stessa famiglia o degli abitanti di un luogo, come nel caso di La Saga degli abitanti della Valle dei Salmoni o di La Saga degli uomini di Eyr. Ciononostante, i protagonisti continuano ad apparire come modelli idealizzati di comportamento e per questo sono inevitabilmente condannati, come gli eroi mitici delle saghe leggendarie, a un tragico destino.


Fratelli di sangue

Gli autori di queste saghe hanno ben a cuore il fondo storico della vicenda. E, infatti, il prologo di La Saga di Bósi e Herraur ci avverte che la storia narrata non è un mero racconto volto a intrattenere, bensì l’esposizione di eventi realmente accaduti. La storia ripercorre le avventure di Bósi e del fratello di sangue Herraur, due giovani guerrieri in lotta contro il padre del secondo, il re Hringr. Nel testo sono particolarmente interessanti le scene erotiche, che non compaiono altrove. In una di queste, Bósi si rivolge a una donna con una curiosa metafora dell’ambito metallurgico: «Voglio indurire il mio guerriero al tuo fianco. È giovane e non è ancora stato forgiato, e un guerriero deve essere temprato al più presto». Lei gli chiede dove sia questo guerriero e lui glielo mostra, guidandola con la mano. La giovane si ritrae domandandogli perché porti con sé un oggetto duro quanto un albero. Lui risponde che si ammorbidirà nel buco oscuro, e così rimangono a intrattenersi tutta la notte. Assieme alla descrizione di questo tipo di divertimenti notturni, appaiono anche delle formule magiche.

Sigurðr uccide il drago. Scena del portale della chiesa in legno di Hylestad. XII secolo. Kulturhistorisk museum, Oslo


I protagonisti delle saghe incarnano l’onore, la forza fisica e il coraggio; sono alti, di robusta costituzione e forti. Non solo: tutti hanno partecipato a molte spedizioni e battaglie, e quindi sono uomini celebri e dall’enorme ricchezza. La Saga di Egill Skallagrímsson, scritta nel XIII secolo, ci offre questa precisa ed esauriente descrizione del protagonista: «I tratti di Egill richiamavano l’attenzione. Fronte estesa, ciglia folte, naso corto ma incredibilmente piatto, mento grande come la mandibola, collo massiccio e spalle più ampie di qualsiasi altro uomo, capelli grigi come quelli di un lupo, e spessi, anche se era rimasto ben presto calvo; mentre era seduto, come scritto prima, un sopracciglio scendeva fino al mento, e l’altro s’inarcava fino alla radice dei capelli; Egill era olivastro, con gli occhi neri».

Il carattere di Egill è irritabile e violento. A dodici anni pochi uomini lo superano in possanza e altezza. È un grande guerriero, ma anche un magnifico poeta. I suoi versi scaldici – dal nome degli scaldi, o skáld, i poeti guerrieri delle corti scandinave – sono vere e proprie opere d’arte. Skalla-Grímr, il padre, è anche lui poeta oltre che fabbro, mentre il nonno viene chiamato Kveldúlfr, “il lupo della sera”: è un uomo molto saggio che di sera va in collera e, grazie ai poteri magici, può cambiare aspetto a proprio piacimento. Egill si salva recitando il poema Höfulausn (Riscatto della testa) davanti al re Erik Ascia Insanguinata. Tuttavia non muore in battaglia ma a 80 anni, e questo comporta un grande disonore. L’autore della saga racconta che, in vecchiaia, Egill si muove con difficoltà, la vista gli viene meno e così l’udito, e le donne lo prendono in giro.


Una valchiria porta via con sé un guerriero morto in battaglia. Olio di Hans Makart. XIX secolo. Nationalmuseum, Stoccolma.


Coppie di eroi

Nella descrizione del fisico e delle abilità di certi eroi delle saghe compare un chiaro contrappunto tra fratelli. In La Saga di Bósi e Herraur il protagonista Bósi è corpulento, moro, non troppo bello e rude, ma abile con le parole. Al contrario, suo fratello Smid non è massiccio ma affascinante e pieno di risorse. Anche in La Saga di Egill Skallagrímsson risulta evidente il contrasto tra i fratelli Egill e Órólfr: Egill eredita il carattere del padre, Skalla-Grímr, e del nonno. Entrambi sono mori, brutti e dal temperamento irritabile; il fratello Órólfr, invece, acquisisce il proprio carattere dalla famiglia della madre: è generoso, coraggioso, allegro e molto popolare. Come se non bastasse, a differenza di Egill, Órólfr è un giovane di bell’aspetto.

Quando Egill inizia a crescere, sin da subito appare chiaro che diventerà brutto e moro come il padre; è però piuttosto intelligente, e già bambino ha composto le sue prime poesie. Molti eroi delle saghe sono di fatto grandi poeti. Un esempio è proprio Egill, che dopo la morte dei figli recita il Sonatorrek, con i versi scaldici più belli della poesia norrena: «Amara pena mi stringe la gola, / pigra è la lingua, bilancia del canto. / Più non riesco dal fondo del cuore / il mio tesoro di strofe a evocare».

Stele di Hunninge (VIII secolo). Si crede che alcune scene corrispondano a uno dei poemi eroici contenuti nell’Edda poetica: il Canto di Atli. Gotland Museum. Visby, Svezia


Le saghe degli islandesi sono scritte come se fossero storie, e non solo perché includono genealogie e dati storici, ma anche per la trama, più centrata sull’azione e il racconto degli eventi. L’intreccio ripete quasi sempre la stessa sequenza: il protagonista abbandona la Norvegia per un litigio con il re e si stabilisce in Islanda, dove nascono conflitti per terre o eredità o a causa di assassinii che devono essere puniti. La concatenazione delle vendette finisce quasi sempre in un bagno di sangue e il protagonista viene dichiarato útlagi, o proscritto. Da quel momento è costretto a nascondersi perché perseguitato e chiunque può dargli la morte.


L’eroe tragico

L’eroe delle saghe deve morire in battaglia. Come già indicato, è per lui un enorme disonore morire da vecchio, al pari di Egill, o per malattia, poiché significa che l’eroe non si è battuto con coraggio e ha evitato lo scontro pur di non soccombere. La Saga di Gísli Súrsson descrive il prototipo di una morte eroica: i nemici di Gísli, proscritto, hanno trovato il suo nascondiglio e si preparano a ucciderlo. L’eroe è attaccato da dodici uomini che lo feriscono con la lancia in più parti del corpo, ma lui si difende valorosamente, senza mai retrocedere, e nessuno degli assalitori ne uscirà illeso. Gli altri lo attaccano con forza ancora maggiore e uno di loro lo colpisce in modo tale da fargli uscire le viscere. Gísli però se le riprende e le infila dentro la camicia, tenendole ferme con il cordone dei pantaloni. Poco prima di morire recita dei versi e dà un ultimo colpo di spada a uno dei nemici. Infine soccombe agli assalitori, spirando in combattimento.

Tra la cronaca e il romanzo, le saghe plasmarono in questo modo l’immaginario dei guerrieri nordici della Scandinavia proprio nel momento in cui questi scomparivano dal primo piano della storia.


martedì 20 settembre 2022

Harald III, il re guerriero di Norvegia

Il 25 settembre 1066 cadeva nella battaglia di Stamford Bridge, in Inghilterra, il re norvegese Harald III, che sarebbe divenuto un eroe nazionale. Il sovrano vichingo fu colpito da una freccia mentre combatteva valorosamente aiutato da un gigantesco guerriero berserker.

Berseker.


Harald III, soprannominato Hardråde (Duro Consiglio), morì il 25 settembre 1066 allorché una freccia gli si conficcò in gola durante la battaglia di Stamford Bridge, nel nord dell’Inghilterra. Quando uno dei suoi uomini gli chiese se era stato ferito gravemente, Harald rispose: «È una freccia sottile, ma sta facendo il suo lavoro».


Harald viene colpito alla gola da una freccia durante la battaglia di Stamford Bridge


Esilio in terra russa

Il suo vero nome era Harald Sigurdsson e nacque a Ringerike (Norvegia) intorno all’anno 1015 (o forse 1016). Da giovane si dimostrò un ragazzo ribelle e molto ambizioso. Per Harald il suo fratellastro, il re Olaf Haraldsson, divenne un modello da seguire. Fu questo tratto a distinguerlo dai due fratelli maggiori, più simili al padre e preoccupati solo di mantenere le ricchezze della tenuta di famiglia. Nel 1028 il re danese Canuto I d’Inghilterra invase la Norvegia, e nella battaglia di Stiklestad, svoltasi nel 1030, Olaf perse la vita (in seguito sarebbe stato canonizzato). Harald, che all’epoca aveva quindici anni, andò in esilio insieme a un manipolo di uomini fedeli.

Con l’aiuto di Rögnvald Brusason, che sarebbe diventato conte delle Orcadi, Harald rimase nascosto in una remota fattoria nell’est della Norvegia per poi attraversare le montagne e arrivare in Svezia. Un anno dopo, nel 1031, giunse alla Rus' di Kiev (l’attuale Kiev), dove insieme ai suoi uomini fu ricevuto dal Gran principe Jaroslav il Saggio, la cui sposa, Ingegerd, era lontana parente di Harald. Jaroslav riconobbe subito il potenziale militare di Harald e, avendo bisogno di un leader di guerra, lo fece capitano delle sue truppe. Fu così che Harald partecipò alle campagne condotte da Jaroslav contro i polacchi nel 1031, e forse combatté anche contro altri nemici e rivali come i ciudi in Estonia, i bizantini, i peceneghi e altri nomadi delle steppe.


Signore del Mediterraneo

Quando Jaroslav si accorse che Harald e sua figlia Elisabetta avevano una relazione, il giovane fu costretto a fuggire a Costantinopoli. Harald attraversò con i suoi uomini l’Ucraina e il mar Nero, fino ad arrivare a Costantinopoli, dove si arruolò nella guardia variaga, un’unità formata esclusivamente da mercenari svedesi, danesi, norvegesi e islandesi. Harald divenne famoso in tutto il Mediterraneo e si meritò il soprannome di “devastatore della Bulgaria”.


Ritratto seicentesco del principe Jaroslav I di Kiev


In seguito alle sue vittoriose campagne in nord Africa, Siria, Palestina, Gerusalemme e Sicilia, Harald accumulò un’immensa fortuna derivata dai bottini di guerra, e con il tempo ottenne il ruolo di comandante della guardia variaga e ammiraglio della flotta bizantina, la più potente del Mediterraneo. Inoltre gli fu concessa l’autonomia per condurre degli attacchi contro i nemici di Bisanzio. Nel 1038 si unì a una spedizione bizantina per riconquistare la Sicilia dai saraceni, che vi avevano istituito un emirato nel 965. Le saghe nordiche raccontano che Harald e i suoi uomini riuscirono a prendere quattro città Siciliane prima del 1041, anno in cui la spedizione terminò e la guardia variaga fu mandata a soffocare una rivolta normanna in sud Italia.

Dopo essere fuggito dalla sua terra, Harald divenne comandante della guardia variega bizantina, conquistò quattro città siciliane e vinse diverse campagne militari in Africa e Medioriente

Harald rimase al servizio di Bisanzio fino al 1042, quando tornò alla Rus’ di Kiev. Lì riuscì finalmente a sposare Elisabetta, la figlia di Jaroslav. Secondo le cronache, Jaroslav acconsentì alle nozze perché Harald era diventato ricco. Durante il tempo che il norvegese trascorse nella corte di Jaroslav, gli fornì preziose informazioni sulla sua permanenza a Costantinopoli che lo avrebbe aiutato quando questi decise di attaccare l’impero bizantino.


Alla conquista dell’Inghilterra

Al ritorno in Norvegia nel 1045, con i suoi esperti veterani e le impressionanti ricchezze, Harald risultò subito una minaccia per il successore di Canuto, Magnus I, suo proprio nipote. Magnus era tornato dall’esilio nel 1035 per reclamare la corona come discendente di Olaf II. Tuttavia il tempo trascorso all’estero aveva dotato Harald di notevoli doti politiche e presto riuscì a ottenere di governare il regno al fianco del nipote. Con il tempo le tensioni tra i due crebbero e nel 1047 Magnus morì in circostanze poco chiare. In questo modo Harald ottenne la sospirata corona e prese il titolo di Harald III Sigurdsson. I sudditi danesi di Magnus I non accettarono Harald come successore e si sollevarono contro di lui, offrendo il trono di Danimarca a Svend II. Nei successivi dodici anni di regno Harald bagnò di sangue le coste della Norvegia e della Svezia, eliminando qualunque presenza danese.

Harald III di Norvegia rappresentato in una miniatura del XIII secolo


Nel 1066 Harald volse lo sguardo all’Inghilterra. Le isole britanniche erano state l’obiettivo di numerose spedizioni nordiche fin dal V secolo e approfittando dell’esistenza, in passato, di un regno danese-inglese-norvegese, Harald reclamò il trono inglese. Raccolse trecento drakkars, le sue veloci imbarcazioni, per affrontare le truppe anglosassoni del re Aroldo II d’Inghilterra. Dopo svariate scaramucce e saccheggi, il 25 settembre l’esercito di Harald III si diresse verso York con l’intento di riproporre la strategia militare usata dai vichinghi per più di due secoli: risalire il corso dei fiumi con le loro navi e apparire d’improvviso sulla terraferma, ottenendo rapide vittorie che gli permettevano di dedicarsi liberamente al saccheggio.

Avendo lasciato la metà dell’esercito a Ricall, un paesino a sei chilometri dallo Yorkshire, Harald e un fratello di Aroldo, Tostig (che appoggiava l’esercito norvegese), constatarono che le forze inglesi erano superiori alle loro. Mentre l’esercito anglosassone si avvicinava all’accampamento di Harald, situato sull’altra sponda del Derwent, a Stamford Bridge, questi arringò le sue truppe dicendo: «In battaglia non dobbiamo mai nasconderci dietro gli scudi. La mia armatura mi dice: alza la testa, dove la spada incontra il cranio». Detto questo, mandò un contingente dell’esercito a combattere gli anglosassoni mentre lui e il resto dei soldati guadagnavano tempo per disporsi in formazione.

Nella feroce battaglia che ebbe luogo a Stamford Bridge, Harald fu aiutato da un gigantesco berserker, ma malgrado ciò morì colpito da una freccia

In questa battaglia svolse un ruolo preponderante un gigantesco berseker norvegese, al cui fianco lo stesso Harald (alto più di due metri) sembrava un nano. I berserker erano guerrieri vichinghi d’élite, che pare combattessero mezzi nudi e facessero uso di allucinogeni per migliorare lo slancio guerriero. Questo enorme berserker difese il ponte per un’ora, ammazzando tutti coloro che incrociava sul suo cammino e senza soccombere alle frecce nemiche. Durante lo scontro un guerriero anglosassone riuscì a posizionarsi sotto il ponte passando dal fiume nascosto in un barile e, attraverso una fessura tra le assi, colpì con una lancia il gigante, che crollò a terra. Per gli anglosassoni fu l’inizio della rimonta, ma la resistenza dell’eroe aveva dato il tempo ai suoi compatrioti (che erano stati presi di sorpresa) di organizzare una linea di scudi che gli anglosassoni faticarono molto a sfondare. Dopo la morte del gigante norvegese e quella dello stesso Harald III, colpito alla gola da una freccia, il re Aroldo II ottenne un’effimera vittoria. Sarebbe infatti stato vinto il 14 ottobre dello stesso anno dal normanno Guglielmo il Conquistatore nella battaglia di Hastings.


La battaglia in un dipinto del norvegese Peter Nicolai Arbo (1831–1892)


Un eroe nazionale dimenticato sotto una strada

Un anno dopo la sua morte a Stamford Bridge, il corpo di Harald fu portato in Norvegia e seppellito nella cattedrale di Nidaros (Trondheim). Cento anni dopo la sepoltura i suoi resti furono trasferiti al priorato di Helgeseter, che venne demolito nel XVII secolo. Il 25 settembre 2006, 940 anni dopo la morte di Harald III, la rivista norvegese Aftenposten pubblicò un articolo denunciando lo stato miserevole in cui versavano le antiche sepolture reali di Norvegia, inclusa quella di Harald III che, secondo certi documenti, si troverebbe sotto una strada costruita in corrispondenza dell’antico monastero. Il giorno dopo il comune di Trondheim rivelò che avrebbe valutato la possibilità di esumare il corpo del monarca e di trasferirlo nuovamente alla cattedrale di Nidaros, dove si trovano altri nove re norvegesi, tra cui Magnus I il Buono e Magnus II Haraldsson, il predecessore e il successore di Harald. Un mese dopo fu annunciato che la proposta di riesumazione era stata scartata. Sembra dunque che, per ora, Harald dovrà proseguire il suo riposo sotto la strada, in attesa di tempi migliori…


lunedì 19 settembre 2022

Nel Medioevo i cavalieri dovevano essere gentili con i contadini?



Sì, soprattutto se voleva entrare nei loro pantaloni (anche se le donne medievali di classe inferiore generalmente non portavano i pantaloni). Vide una bella figlia di conciatori che immergeva pelli di animali nell'acqua. Aveva sollevato la gonna. Al duca piacque ciò che vide. Mandò un soldato a prenderla. Disse che sarebbe andata al castello del duca se avesse cavalcato il cavallo del soldato. Il soldato era d'accordo. Ha preso in prestito un bel vestito. Poi montò sulla sella laterale del cavallo del soldato. Lei e il duca fecero sesso e fu concepito il futuro Guglielmo il Conquistatore, re d'Inghilterra.


domenica 18 settembre 2022

Le donne si depilavano mai nel Medioevo?

Sì, ma non negli stessi punti o per le stesse ragioni per cui la maggior parte delle persone si rade oggi. La maggior parte delle persone si copriva dal collo in giù e di solito le donne si coprivano anche i capelli, quindi non c'era motivo di radersi le gambe o le braccia: le donne probabilmente avevano molti peli sul viso e per un certo periodo si rasavano regolarmente la testa e la fronte, producendo una fronte estremamente alta. Sulla fronte nuda, a volte, applicavano anche del trucco di biacca.


Le prostitute a volte si spingevano oltre e si depilavano la vulva. Queste piccole statue sono state collocate nella ricostruita Porta Tosa a Milano. È la porta attraverso la quale Federico I Barbarossa attaccò e saccheggiò la città.




Secondo la tradizione, la statua raffigura la giovane prostituta che fermò l'attacco dell'esercito di Federico rasandosi il pube in bella vista, oppure la moglie di Federico che si comporta come una prostituta.


sabato 17 settembre 2022

Un orgoglio nazionale che in realtà era una cattiva persona

Cristoforo Colombo oggi è considerato un orgoglio nazionale, una delle figure di spicco che rappresentano l'italia nel mondo.



Pochi sanno però che fu arrestato nell’ottobre 1500, nel Nuovo Mondo, insieme ai suoi fratelli Bartolomeo e Diego.

L’accusa era quella di malgoverno nell’amministrazione dell’isola di Hispaniola, con tanto di ripetute violenze a danno dei locali: fu infatti imputato sia d’incompetenza sia di tirannia.

A eseguire l’arresto fu Francisco de Bobadilla, inquisitore reale giunto dalla Spagna proprio per indagare sulle cattive condizioni in cui versava l’isola, dove erano stati segnalati numerosi tumulti.

Colombo, assieme ai due fratelli, fu condotto in catene in Spagna, dove nel 1501 i sovrani Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona, suoi finanziatori, lo privarono della carica di viceré.

Decisione senza ripercussioni: non solo lo lasciarono in libertà, ma gli finanziarono, nel 1502, un nuovo viaggio transoceanico.


venerdì 16 settembre 2022

Un rito bizzarro che era svolto durante i funerali britannici

Nel XVIII e XIX secolo, in Gran Bretagna, quando una persona moriva si svolgeva un rito per liberarla dai peccati.



Per garantire un sereno riposo al dipartito, i suoi cari interpellavano un mangiatore di peccati, un “professionista” che attraverso un rituale avrebbe incanalato su di sé tutte le colpe della persona morta.

Sul petto del defunto/a veniva posto del pane, che si riteneva in grado di assorbire letteralmente i peccati.

Il professionista si sedeva di fronte al cadavere e, al cospetto dei familiari, lo mangiava lentamente. Alla fine del rito, dichiarava che il riposo del defunto poteva avere inizio.

Il compenso per lavare la coscienza di innumerevoli persone passate a miglior vita era di circa quattro pence, che oggi corrisponderebbero a una manciata di euro.

Solitamente i mangiatori di peccati erano persone senza scrupoli, che approfittavano delle paure popolari, e si fiondavano nelle case in lutto non appena arrivava notizia di un decesso.


martedì 13 settembre 2022

Quale pratica estrema subivano i cadaveri dei crociati?

Per motivi “sanitari”, durante le Crociate si ricorreva a una pratica estrema per riportare a casa i resti dei cavalieri cristiani.



Venivano cotti a bagnomaria e scarnificati.

Ci furono due famosi sovrani che ebbero questo meraviglioso trattamento: Federico Barbarossa e Luigi IX.

Il primo affogò durante la terza crociata nel 1190, guadando un fiume in Cilicia.

Il secondo morì durante l’ottava crociata a Tunisi nel 1270.


lunedì 12 settembre 2022

L'essere umano più vile della storia


Contessa Elizabeth Báthory de Ecsed


Conosciuta come "La contessa del sangue" e "Contessa Dracula", Elizabeth Báthory è considerata la più prolifica serial killer della storia, con oltre 650 omicidi direttamente attribuiti al suo nome.


Lo stemma dei Báthory
Possedendo il titolo di contessa, Báthory proveniva da una famiglia nobile ungherese molto influente. Era conosciuta come una donna intelligente e studiosa, e all'inizio era molto popolare tra i suoi sudditi. Nel 1575, all'età di 15 anni, sposò Ferenc Nádasdy, figlio di un barone. Più di 4.500 invitati presenziarono al loro matrimonio a Varannó.
Suo marito trascorreva gran parte del suo tempo a studiare a Vienna, lasciando Elizabeth da sola. Lei fece del castello di Čachtice nell'attuale Slovacchia la sua casa.
Anni dopo, avvicinandosi alla mezza età, Elizabeth iniziò a sperimentare scatti d'ira e scoppi di rabbia. Si rivolgeva contro le sue giovani servitrici. La leggenda narra che iniziò il suo bagno di sangue quando prese a pugni una serva maldestra che, spazzolandole i capelli, tirò un po' troppo forte. Il sangue gocciolava dal naso della ragazza, ed Elizabeth si rese conto di poter mantenere la sua giovinezza con il sangue delle vergini.
E così iniziò il terrore che durò più di vent'anni. A poco a poco, centinaia di ragazze assunte per lavorare nel castello di Elizabeth scomparvero, e mai più se ne sentì parlare. Il villaggio cominciò a diventare sospettoso, ma a causa dello status di Elizabeth c'era ben poco che potessero fare.
Infine, il sospetto riguardo alle sparizioni arrivò al re ungherese, che richiese un'indagine. Gli uomini del re arrivarono al castello in Transilvania e esigettero di vedere le stanze sotterranee private di Elizabeth. Ciò che fu dissotterrato era agghiacciante.
Sotto il suo castello, Elisabetta gestiva un'enorme ed elaborata camera di tortura. Con l'aiuto di alcuni collaboratori chiave, due dei quali erano i presunti amanti di Elizabeth, imprigionava le sue servitrici ed eseguiva terribili procedure per estrarre il loro sangue.
Le prime vittime della Báthory furono le figlie adolescenti dei contadini locali, molte delle quali furono attirate a Csejte da offerte di lavoro ben pagato come ancelle nel castello. Più tardi, si dice che abbia iniziato a uccidere le figlie della nobiltà minore, mandate dai genitori al gineceo per imparare il galateo di corte. Si diceva che siano avvenuti anche rapimenti. Le atrocità descritte con più consistenza includevano violenti pestaggi, ustioni o mutilazioni delle mani, morsi alla carne dei volti, delle braccia e di altre parti del corpo, congelamento o morte per fame. Anche l'uso di aghi fu menzionato dai collaboratori in tribunale. La più durevole delle accuse fu che Elizabeth facesse il bagno nel sangue di giovani vergini alla sua corte per mantenere il suo aspetto giovanile, e questa accusa è la causa del suo soprannome.
Alcuni resoconti suggeriscono anche che Elizabeth si divertisse a giocare a giochi che finivano con la morte delle sue serve, per esempio vedere per quanto tempo una serva nuda poteva rimanere in vita camminando su laghi congelati in inverno.
Si dice a volte che Elizabeth sia stata colta in atto di tortura dagli ispettori in visita, ma ci sono poche prove a sostegno di questo.
Inutile dire che il re non rimase ben impressionato. A causa della sua condizione sociale, Elizabeth non poteva venire sottoposta a punizioni severe, ma fu immediatamente posta agli arresti domiciliari. Poco dopo, al suo processo, oltre 300 testimoni parlarono delle atrocità che l'avevano vista commettere, e alcuni sostennero addirittura di averla vista farsi il bagno nel sangue. Numerosi resti scheletrici scoperti servirono come prove per il caso. Tre dei suoi complici furono condannati a morte e Báthory fu imprigionata nel castello di Csejte e messa in isolamento. Sarebbe morta lì nel 1614.
Oggi, Elizabeth Báthory è una delle più (tristemente) famose ungheresi della storia, e numerosi libri, programmi televisivi e film sono stati realizzati sulla sua vita contorta.
Per la sua pura crudeltà e le sue tendenze vampiriche, è la mia scelta come persona più ignobile della storia.


domenica 11 settembre 2022

Perché i vichinghi attaccavano le chiese e i monasteri?

 


Parliamo di prima del 1000.

Le chiese sono principalmente quelle dei monasteri, quindi in luoghi isolati, non militarizzati, molte vettovaglie, utensili, animali, officine ed altri elementi della logistica (i monasteri erano unità autarchiche).

Soldi e ori pochi, sia perché soldi ed ori non ce ne erano a quell'epoca sia perché quei pochi se c'erano erano nelle città e non nei borghi costieri dove si avventuravano i vichinghi.

Perché erano un bersaglio facile perché non erano protetti ed essendo pagani non avevano problemi a violare un luogo di culto cristiano.

sabato 10 settembre 2022

Quanto può essere benevola la sorte?

Juan Sebastián de Elcano decise di imbarcarsi nella marina di Magellano con la speranza di arricchirsi. Ebbe l’incarico di vice capitano in una delle cinque navi salpate nel 1519 dalla Spagna.



I dissapori tra Magellano e Juan de Cartagena, l’altro comandante scelto della autorità spagnole, sfociarono in un ammutinamento. Elcano si sollevò contro Magellano, ma quest’ultimo schiacciò la ribellione.

Il nostro scampò all’impiccagione solo perché il comandante temeva di restare a corto di equipaggio e per questo si limitò a declassarlo. Conservò così la testa sulle spalle, in maniera rocambolesca, ma la sua fortuna non si esaurì qui.

Un anno più tardi, Magellano morì dopo un banchetto offerto dal re dell’isola di Cebu e in quella circostanza morirono tutti i capitani della spedizione ed Elcano, ormai esonerato da ogni ruolo di comando, non era tra gli ospiti di quel pranzo fatale ed ebbe la fortuna di essere risparmiato.

Così si ritrovò a essere uno dei pochi uomini di prestigio a bordo delle navi e divenne il capitano della Victoria. Dopo vario peregrinare giunse a Capo Verde per fare scorte di viveri.


Ma i portoghesi, che detenevano l’isola, arrestarono gli uomini scesi dalla sua nave ed Elcano scampò all’arresto solo perché si allontanò rapidamente e raggiunse la Spagna incolume nel 1522. Fu l’unica nave che fece ritorno dalla spedizione.

Carlo V lo nominò cavaliere, gli concesse uno stemma glorificando il suo nome per sempre facendo apporre la famosa legenda Primus circumdedisti me, “sei stato il primo a circumnavigarmi” e un vitalizio di cinquecento ducati l’anno.

Elcano avrebbe potuto condurre una vita negli agi e nella fama, ma il richiamo del mare era troppo forte e salpò per una nuova spedizione nel 1525.

Ma non fece più ritorno: il suo corpo fu gettato nell’immenso oceano Pacifico. La sorte questa volta, forse offesa da quell’uomo poco riconoscente, si voltò da un’altra parte.


venerdì 9 settembre 2022

È mai esistito re Artù? In caso affermativo chi era e su che terre regnò?

Il Re Artù del ciclo cavalleresco, che tutti noi ben conosciamo, e che va di avventura in avventura assieme ai suoi prodi cavalieri della Tavola Rotonda è un personaggio letterario inventato nell'XII secolo da Goffredo di Monmouth che scrisse la fantasiosa Historia Regum Britanniae (Storia dei re di Britannia).


Battaglia di Camlann in cui trovano la morte Re Artù e sir Mordred.


Anche se i temi, gli eventi e i personaggi della leggenda arturiana variano considerevolmente da testo a testo e non esiste una versione canonica, quella proposta da Goffredo viene spesso considerata come punto di partenza per i successivi racconti. Goffredo descrisse Artù come un re di Gran Bretagna che sconfisse i Sassoni e fondò un impero in Gran Bretagna, Irlanda, Islanda, Norvegia e Gallia. Molti elementi e personaggi che ora sono parte integrante della storia di Artù figurano già nella storia di Goffredo, tra cui il padre Uther Pendragone, Merlino, la moglie di Artù, Ginevra, la spada Excalibur, il concepimento di Artù presso il castello di Tintagel, la sua ultima battaglia contro Mordred a Camlann e il riposo finale ad Avalon. Lo scittore francese Chretién de Troyes del XII secolo, che aggiunse alla storia il personaggio di Lancillotto ed il Santo Graal fu colui che dette inizio al genere del romanzo arturiano che divenne un importante filone della letteratura medievale.

Mappa fantastica dell'Isola di Britannia, in base alle fonti letterarie del ciclo arturiano.


L'ambientazione arturiana è all'inizio del VI secolo, quando i Britanni lasciati a sé stessi da Roma (410 d.C.) sono costretti a dover provvedere da soli alla propria difesa contro i barbari che vogliono impadronirsi della terra di Britannia.

Mappa della Britannia Romana nel 410 d.C.


Da tempo gli studiosi discutono circa la storicità della leggenda di re Artù, in quanto nessuna delle scarsissime fonti coeve (es il "De Excidio Britanniae” di Gildas) lo cita. Nemmeno la "Historia ecclesiastica gentis Anglorum" , scritta dal monaco Sassone Beda a inizio dell'VIII secolo, accenna all'esistenza di un Artù. I primi due testi che parlano della figura di Artù, se si esclude un fugace riferimento a un certo Arthur nell'Y Goiddin (tratto dalle storie del bardo Aneirin, che si suppone che risalgono alla fine del VI secolo), sono la Historia Britonnum e gli Annales Cambriae due testi risalenti a oltre 3 secoli dopo lo svolgimento dei fatti. La Historia Brittonum, una compilazione storica scritta in latino del IX sec d.C. , attribuita in alcuni manoscritti tardivi a un chierico gallese chiamato Nennius, contiene la prima menzione databile di re Artù ed elenca dodici battaglie a cui egli prese parte. Queste culminarono nella battaglia del Monte Badon (un evento riportato da quasi tutte le fonti, coeve e non), dove si racconta che da solo riuscì a uccidere 960 nemici. Studi recenti, tuttavia, si interrogano sull'affidabilità della stessa Historia Brittonum. L'altro testo che sembra sostenere la teoria favorevole all'esistenza storica di Artù è l'Annales Cambriae del X secolo, il quale anch'esso correla Artù alla battaglia del Monte Badon. Gli Annales datano questa battaglia tra il 516 e il 518 e menzionano anche la battaglia di Camlann, in cui Artù e Modred vennero entrambi uccisi, collocandola tra il 537 e il 539. Questi dettagli sono stati spesso utilizzati a sostegno dell'affidabilità dell'Historia Brittonum e per confermare che Artù avesse combattuto realmente a Badon. Tuttavia sono emersi dei problemi nell'utilizzare questa fonte a sostegno della storicità dell'Historia Brittonum. L'ultima ricerca dimostra che gli Annales Cambriae si basavano su una cronaca incominciata alla fine dell'VII secolo in Galles. Inoltre, la complessa storia testuale degli Annales Cambriae esclude con ogni certezza che gli annali arturiani siano stati aggiunti a essa prima. Vennero probabilmente aggiunti durante il X secolo e potrebbero non essere esistiti in una precedente raccolta di annali. La parte sulla battaglia di Badon probabilmente deriva dalla Historia Brittonum.

Probabilmente il personaggio di Re Artù è stato creato dalle imprese di uno o più condottieri di Britannia. Taluni hanno voluto vedere in lui il condottiero britannico Riotamo, altri San Germano o ancor più probabilmente il condottiero (dux) romano-britannico Ambrosio-Aureliano, che difesero la Britannia abbandonata dai Romani, contro gli attacchi dei barbari del Nord (Pitti) e dell'Est (Sassoni) e dai pirati d'Irlanda.

Mappa che mostra i popoli che aggredirono la Britannia.


Non è un caso che nessuna fonte lo chiamasse re, ma semplicemente venisse chiamato "Dux Bellorum", in quanto non era niente di più che l'incaricato della difesa delle città e regni, tra cui era ripartita l'ex-provincia di Britannia, contro i barbari. Probabilmente per coordinare le difese dell'isola, nonostante il particolarismo dei celti britannici, si riesumò o si cercò di mantenere in vita l'antica carica romana del "Dux Britanniarum".

Battaglia tra Romano-Britanni e Sassoni.


Cavallieri Romano-Britannici con il vessillo del drago, che poi diverrà il simbolo del Galles, l'unica area dove è sopravvissuta l'antica popolazione dei Britanni.

Mappa della Britannia attorno al 500 ( presunta epoca di Artù ). In rosa i territori controllati dai "tiranni "Romano-Britanni. In azzurro i territori controllati dai Barbari loro nemici.

Mappa che ricostruisce le supposte 12 battaglie di Artù.


Relativamente al nome Artù, probabilmente questo nome è stato dato al condottiero che guidò la resistenza dei Romano-britannici contro i barbari, in un secondo momento da chi non avesse una conoscienza diretta dei fatti, e facendo confusione tra la salvezza della Britannia avvenuta a inizio del VI secolo, con una precedente salvezza dell'isola dai barbari, accaduta ben prima a opera di un certo cavaliere romano Lucius Artorius Castus vissuto nel III secolo e che riuscì a salvare la Britannia dall'invasione dei Pitti del Nord, ottenendo quale ricompensa della sua grande impresa il titolo di "dux leggionum .. Britaniciniarum" (così appare nella sua epigrafe funebre in Dalmazia). Del resto non c'è da stupirsi sul fatto che si possono essere mescolati due eventi in un unico evento, dando al personaggio del secondo evento, il nome del personaggio del primo, in quanto siamo nei c.d.secoli Bui” (Dark Age), un'epoca in cui la civilizzazione e l'alfabetizzazione scompaiono totalmente dall'isola, che ritorna nelle tenebre dell'epoca preromana.