mercoledì 30 giugno 2021

Che armi usarono i Maya e gli Aztechi per difendersi dagli attacchi dei conquistatori?

 


I maya utilizzavano due tipi di lancia, una lunga che poteva colpire a decine di metri di distanza e un più piccola per gli scontri ravvicinati. Usavano anche cerbottane, mazze di legno con la punta di ossidiana e asce con la punta di selce. Si muovevano velocemente e attaccavano su terreni aperti o in mezzo alla vegetazione che spesso veniva sfruttata strategicamente per ordire trappole o per costruire ritirate offensive.



Per prepararsi alla battaglia i maya praticavano una ritualità intrisa di usi e costumi tradizionali e spirituali. I guerrieri partecipavano a riti in cui chiedevano agli dei aiuto e protezione per la battaglia. I canti, le danze e l’utilizzo degli strumenti musicali venivano utilizzati come riti religiosi e sociali e tali cerimonie venivano ufficiate dai sacerdoti che in alcuni casi erano anche comandanti militari.

La simbologia dei loro amuleti veniva spesso portata in battaglia. Le stesse armature leggere che indossavano avevano una simbologia spirituale e una ricchezza di contenuti sociali. Infatti, chi vinceva la battaglia distruggeva i simboli religiosi dell’avversario, umiliandolo con la cattura e la prigionia.

Quando gli Spagnoli giunsero in Messico, si trovarono di fronte i temibili guerrieri aztechi armati di strumenti che impallidivano in quanto a tecnologia e resistenza di fronte alle armi europee: archi relativamente primitivi contro corazze in grado di respingere colpi di balestra, nessuna protezione contro armi da fuoco che falciavano il nemico ancor prima che potesse avvicinarsi, e una strategia militare quasi inesistente contro una tecnicamente impeccabile supportata da secoli e secoli di guerre europee.

Ciò che gli Spagnoli non realizzarono immediatamente è che le corazze tecnologicamente avanzate, le armi da fuoco e la ultracentenaria esperienza bellica non erano elementi sufficienti a vincere facilmente una guerra come quella condotta contro gli Aztechi. I conquistadores rimasero particolarmente colpiti da un’arma, il macuahuitl, un bastone di legno rivestito sui bordi da schegge di ossidiana, apparentemente capace di decapitare un cavallo.



Gli Aztechi avevano sviluppato, nel corso della loro storia, una particolare abilità nella lavorazione del legno e della pietra lavica. Questa loro capacità consentì, tra le altre cose, la nascita dell’ atlatl, un’arma da getto realizzata anche in altre regioni del mondo, e una serie di lame in ossidiana incredibilmente decorate e taglienti.

La pietra lavica, tuttavia, non è il materiale più adatto alla creazione di lame lunghe più di 15-20 centimetri: superata una certa lunghezza il rischio di frattura è troppo elevato per poter considerare affidabile e durevole una lama di ossidiana.

Ma il combattimento corpo a corpo non è fatto soltanto di armi corte: più la nostra arma colpisce con potenza, più i danni causati saranno ingenti. Per aumentare la potenza inferta dal colpo di un’arma da taglio o contundente ci sono essenzialmente due metodi: aumentarne il peso o incrementare il suo raggio d’azione, in modo tale che la parte terminale dell’arma acquisisca maggiore velocità durante i tipici movimenti circolari di una spada, un’ ascia da battaglia o una mazza.

Gli Aztechi ovviarono al problema della fragilità dell’ossidiana e della lunghezza delle loro armi da combattimento ravvicinato mescolando legno e pietra. Il macuahuitl era essenzialmente un bastone di legno di quercia lungo dai 50 ai 100 centimetri e dalla vaga forma a remo; sui bordi dell’estremità più larga dell’arma venivano innestate schegge di pietra taglienti come rasoi.

Ogni scheggia era larga da 2 a 5 centimetri e veniva incastrata nel corpo in legno dell’arma utilizzando anche una miscela adesiva probabilmente ricavata dalla resina di conifere o dal lattice di alcuni alberi (come quello dell’albero della gomma). Una scheggia di ossidiana non è altro che materiale roccioso vetrificato, vero e proprio vetro naturale del tutto somigliante a quello prodotto artificialmente e capace di formare superfici affilatissime se lavorato con la tecnica più adatta.

Quanto era efficace il macuahuitl? Secondo Bernal Díaz del Castillo, al seguito di Hernán Cortés, quest’arma poteva facilmente decapitare un uomo, arrivando addirittura a tagliare la testa di un cavallo con un solo, potente colpo dall’alto.

Per la trasmissione Deadliest Warrior di SpikeTV, la produzione ha ricreato un macuahuitl per utilizzarlo contro la replica della testa di un cavallo dotata di scheletro e ricoperta da gel balistico. Éder Saúl López, che manovrava l’arma, è stato in grado di decapitare il bersaglio utilizzando tre colpi; non esattamente il singolo fendente dei resoconti spagnoli, ma un risultato ugualmente impressionante.

L’esperimento ha anche dimostrato che il macuahuitl aumenta la sua potenza se, dopo aver raggiunto il limite di penetrazione dell’arma, lo si recupera con violenza come se fosse una sega, lacerando qualunque tessuto incontrato dalle lame. Ma una società che apprezzava la schiavitù come quella azteca preferiva catturare vivo il nemico; un movimento di questo tipo avrebbe causato danni così ingenti ad un potenziale schiavo da cancellare ogni speranza di sopravvivenza.

Nonostante l’utilizzo di materiali primitivi, il macuahuitl era un’arma temibile in battaglia, ma fu anche una delle ragioni fondamentali delle ripetute sconfitte militari azteche. Un’arma del genere prevede movimenti ampi e circolari, quindi molto spazio tra un soldato e l’altro; i guerrieri aztechi avanzavano in modo disordinato menando fendenti verso qualunque cosa si muovesse, mentre i conquistadores, abituati alla disciplina e a mantenere fila serrate, combattevano compatti difendendo e attaccando come una singola unità.

Le lame di ossidiana, inoltre, tendevano a staccarsi dal corpo in legno per incastrarsi nei tessuti della vittima, o a frantumarsi quando incontravano materiale osseo o l’acciaio delle corazze. Il macuahuitl perdeva velocemente la sua efficacia come arma da taglio dopo una dozzina di fendenti, lasciando nelle mani del guerriero azteco soltanto una lunga e pesante mazza minimamente competitiva nei confronti della tecnologia bellica spagnola del tempo.

Infine, il macuahuitl fu ideato da una società profondamente schiavista che vedeva nei prigionieri non solo un bene di lusso ma una vera e propria offerta alle divinità. Tornare in città in compagnia di una folta schiera di prigionieri (prelevati da città o villaggi rivali) era considerato segno di distinzione per un guerrieri azteco; era importante quindi evitare di uccidere, se possibile, il maggior numero di potenziali schiavi per farsi un nome.

Il macuahuitl era perfetto per lo scopo: le corte lame di ossidiana infliggevano colpi debilitanti ma raramente fatali nel breve periodo (la casta guerriera veniva addestrata fin dalla giovane età a colpire per dislocare o ferire); il bastone a remo era un’arma contundente incredibilmente efficace per stordine un nemico privo di protezioni e militarmente inferiore, perfetta per un agguato di breve durata e tatticamente disorganizzato.

Nonostante i suoi evidenti limiti, il macuahuitl è un’arma unica nel suo genere che ha consentito ai guerrieri aztechi di avere il predominio sul Messico per almeno un secolo. Era un’arma destinata a guerrieri dalla grande forza fisica e realizzata da artigiani che padroneggiavano le tecniche di lavorazione del legno e della pietra come pochi altri nel mondo.

Ad oggi non esiste alcun esemplare di macuahuitl risalente al periodo pre-conquista: l’ultimo macuahuitl sopravvissuto agli Spagnoli fu distrutto dall’incendio all’ Armeria Real di Madrid nel 1884.





martedì 29 giugno 2021

Perché i mongoli massacravano i vinti, invece di tenerli in vita e sfruttarli e ridurli in servitù?

I mongoli non si sono sempre messi a incendiare e distruggere i luoghi conquistati. Se lo facevano è perchè dovevano esserci delle buone ragioni.

  1. Propaganda. Quando sei un nuovo ragazzo nel quartiere e hai grandi progetti, devi stabilire la tua autorità il prima possibile e in modo chiaro. Niente funziona meglio di una scena con un sacco di cadaveri per strada e ceneri ardenti cosìcchè i sopravvissuti, che lasci vivere apposta, possono andare in giro a trasmettere il tuo chiaro messaggio.

  2. Stabilire Autorità. Per costruire un impero di successo, di tanto in tanto devi presentarti come una forza travolgente e inarrestabile, anche a costo di apparire cieco e irragionevole, ma solo perché le persone insignificanti degli altri paesi conquistati sono troppo piccole e stupide per apprezzare la tua logica. I governanti russi sono sempre stati consapevoli di questo fattore, a parte alcuni sciocchi uomini di potere come Alessandro II, Nicola II, Gorbaciov ed Eltsin.

  3. La logistica. Per un'enorme forza militare dipendente in modo cruciale dalla sua mobilità, trasformare i prigionieri in schiavi non ha senso. Meglio portare con sè un bottino di basso volume e di alto valore e distruggere tutto il resto.

  4. Genocidio. Lasciare in vita molte persone che hai derubato e mutilato aumenta solo il numero dei tuoi nemici. I morti non cercano vendetta. Come avrebbe detto Stalin, "nessun uomo, nessun problema".

  5. Politica di vicinato. Una parte considerevole della conquista mongola fu compiuta da alleati locali, come il nostro eroe nazionale Sant'Alessandro Nevsky. I loro eserciti includevano molti combattenti nativi. Per una comunità di contadini o mercanti spesso aveva senso cogliere l'occasione e dare fuoco ad alcune città lungo il fiume per sbarazzarsi della concorrenza e acquisire nuovi pascoli e terreni agricoli.

  6. Logica del raid. Se dubiti della tua capacità di controllare i territori conquistati, ha senso derubarli e dare fuoco a ciò che è rimasto. Ci vuole almeno una generazione per ricostruirsi e riorganizzarsi, prima che possano pensare di vendicarsi.

Il dipinto sotto illustra una sfida logistica all'indomani di una battaglia mongola nelle praterie a sud del cuore della Russia. I combattenti mongoli preparano un prigioniero Russo di alto valore, apparentemente un duca, per riscattarlo in cambio del transito. Per stare al passo con il resto delle truppe nomadi, dovrà ricevere un cavallo, acqua e cibo, oltre ad essere affiancato da un paio di guardie, tutte risorse preziose per un esercito in viaggio lontano da casa.



lunedì 28 giugno 2021

Gli scozzesi come percepiscono la performance di Mel Gibson in Braveheart?

La sua performance è stata ... non male. Il suo accento era passabile (sono rimasto impressionato dal suo francese con un accento scozzese - è difficile), è riuscito a spingere l'emozione in esso e la maggior parte del tempo ha evitato di esagerare nel melodramma. Soprattutto.

Sfortunatamente, è stata una performance decente in un film che era in gran parte inventato senza senso, pieno di bugie, esagerazioni selvagge e anacronismi. È peggiorato perché la storia reale avrebbe potuto essere altrettanto interessante, senza tutte le cazzate inventate. La complessità dei negoziati, i sotterfugi, le pugnalate alle spalle e le battaglie tra Highlanders, Lowlanders, vari clan, gli irlandesi, gli inglesi, i francesi e chiunque altro avesse voglia di un tentativo rappresenterebbe un grande dramma.

Invece, questo tempo complesso è stato ridotto a una ridicolmente semplicistica battaglia tra Inghilterra e Scozia, in stile invasione di campo, dove la battaglia di Stirling Bridge era assente dal ponte. O dal fiume se è per questo.

Poi c'è questo, che ha realizzato un tizio, basato sul film, che inizialmente era a Stirling



La maggior parte della gente del posto lo odiava e alla fine è stato rimosso perché "c'era bisogno di spazio per ampliare il parcheggio".


domenica 27 giugno 2021

Chi erano i Cagoti? Qual era la loro origine?

I Cagoti. Emarginati dalla società medievale, maledetti per sempre. Ma perché? Il territorio dei Pirenei, tra Francia e Spagna, è culla delle leggende di tesori, segreti ed eresie. Il tipico destino di tutti i territori di confine dalla lunga, complessa storia. Nel Medioevo i Pirenei ospitarono i Cagoti, una popolazione misteriosa oggi scomparsa, costretta a vivere nei ghetti, invisa, contraddistinta da un segno particolare di colore rosso che portava cucito sugli abiti. Chi erano questi infelici condannati alla proscrizione? Da dove venivano?

I Cagoti vivevano prevalentemente nelle regioni di Béarn, Navarra, Aragona e nei Paesi Baschi e l’ostracismo nei loro confronti, evidente già nell’XI secolo, dal 1300 si trasformò in una vera e propria persecuzione. Le condizioni in cui queste genti si trovavano costrette a vivere, erano disperate. Nemmeno la Chiesa aveva pietà di loro. I Cagoti avevano accesso agli edifici sacri da un’unica porta, più bassa delle altre, che li costringeva a chinare il capo quando penetravano nell’edificio, simbolo di mortificazione. L’acqua benedetta riservata all’uso dei Cagoti si trovava in un’acquasantiera a parte, per evitare un’eventuale contaminazione degli altri fedeli. I Cagoti potevano assistere alla messa soltanto in una zona particolare della chiesa, lontani dagli altri fedeli. Durante il rito della comunione, i Cagoti erano costretti a ricevere l’ostia dall’estremità di un bastone. Erano, insomma, intoccabili nel senso negativo del termine. Come degli appestati.

Nel 1326 le prescrizioni promulgate dal Concilio di Morcenx li autorizzarono a sposarsi, ma soltanto con i loro pari. Ovviamente questo provvedimento portava a unioni carnali fra consanguinei, facilitando così le nascite di bambini malati. Tale fatto contribuì a svilire ancor più la loro immagine. Alla fine del XVIII secolo lo studioso Ramond de Carbonnières scrisse: “Descrivere questi infelici è come parlare di persone affette da cretinismo”.

Non è difficile immaginare quale doveva essere la vita quotidiana dei Cagoti rinchiusi nel ghetto, la cosiddetta cagoterie situata fuori dalle mura della città. Per non parlare poi del fatto che non soltanto il ghetto gli impediva la partecipazione alla vita cittadina e quindi ogni possibilità di miglioramento della loro condizione, ma anche la sepoltura cristiana dopo la morte. Per i Cagoti non c’era posto nel cimitero cittadino. Venivano seppelliti in terra sconsacrata.



Verso la fine del XVII secolo, gli studiosi cominciarono a interessarsi per queste genti reiette e per le loro origini. La teoria più accreditata che mirava a far luce sulle radici dei Cagoti, si basava in primis su una possibile – quanto fantasiosa – etimologia del termine stesso Ca-goti che designava la popolazione. Questo era interpretato come un’abbreviazione dell’espressione „cani Goti“. Altro elemento indicativo in tale contesto sarebbero state le caratteristiche fisiche dei Cagoti, molti dei quali erano biondi con occhi azzurri.

La teoria li voleva discendenti dei Goti che avevano occupato diversi territori della Francia meridionale nei tempi antichi. La fine del regno dei Goti si verificò nel VI secolo d. C.. Fedele a tale tradizione, il letterato Florimond de Raemond scrisse nella sua opera L’Anticristo (1597) che i Cagoti erano figli di Goti ariani, e quindi degli eretici che rifiutarono di convertirsi al cristianesimo. È possibile? Una contraddizione essenziale smonta l’argomentazione di Raemond: fino al 1550 il termine Cagots non appare in nessun documento ufficiale. Il primo testo che cita una persona appartenente a queste genti, è conservato nel cartolario dell’abbazia di Lucq de Béarn e risalente all’anno Mille. Il documento qualifica l’interessato proprio con l’appellativo di… Christianus. Non si trattava, quindi, di eretici.

Ricostruendo poi una lista di tutti i documenti scritti più antichi, si scopre che le definizioni più usate per definire i Cagoti sono: Crestians, Christiaas, Crestianaria, Crestiàa, Crestias, e altri vocaboli analoghi. Non Cagots, che appare per la prima volta nel 1551. In origine, dunque, questi individui erano detti Christiani. Non poteva trattarsi di ariani. I Cagoti probabilmente non avevano nulla a che fare con i Goti. Una falsa pista.

Un’altra teoria molto dibattuta li voleva lebbrosi. La malattia giunse in Europa dall’Oriente puttygen , era all’epoca incurabile e si considerava ereditaria. Il medico de Chauliac descrisse nella sua opera Grande Chirurgie (1383) le caratteristiche fisiche salienti dei Cagoti che, secondo lui, corrispondevano a quelle dei lebbrosi: calvizie, rotondità degli orecchi e degli occhi, narici dilatate, labbra carnose, voce nasale, sguardo fisso. Manco a farlo apposta, i Cagoti veneravano particolarmente san Nicola di Tolentino che era proprio il patrono dei lebbrosi.

Di certo l’isolamento forzato in cui vivevano i Cagoti può aver contribuito all’identificazione delle loro comunità con quelle dei malati di lebbra. Ma anche questa teoria presenta dei punti deboli. La lebbra era un male molto diffuso in tutta l’Europa medievale, mentre i Cagots vivevano soltanto in alcuni territori dei Pirenei. Inoltre le maggiori epidemie ebbero luogo nei secoli VI e VIII, mentre i Cagoti appaiono nei documenti ufficiali soltanto nell’anno Mille. A ciò si aggiunge la testimonianza del letterato Charles Du Cange che scrisse nel suo Glossarium Manuale (XVII secolo): “I Cagoti non erano monaci, né eremiti e nemmeno lebbrosi(…) bensì una stirpe odiata da tutte le altre”.



Antica porta dei Cagoti murata. Chiesa Saint-Martin de Moustey. © Jibi44 CC-BY-SA-3.0

Allora chi erano? Andiamo alle radici. Il primo documento che attesta l’esistenza di queste genti, parla di un certo Auriol Donat, nato nel Béarn. Auriol proveniva da una famiglia benestante, suo fratello possedeva diversi terreni. Alcuni di essi furono ceduti, insieme alla persona stessa di Auriol, all’abbazia di Sylva Bona, la quale apparteneva al convento di San Vincenzo.

Si trattava di una fondazione particolare e di grande prestigio. Il complesso sacro era stato costruito sulle fondamenta di un luogo di culto cristiano risalente al V secolo in un bosco sacro (latino: silva) intitolato al dio celtico Lug. Da questa divinità derivò il suo nome la località Lucq de Béarn. E proprio qui era insediata la più antica comunità cagota di cui si abbia notizia. Prima del XIV secolo questa cagoterie vantava dei capi importanti, tra cui un certo Peyroulet, signore della crestiantat de Lucq. Ed ecco finalmente aprirsi una porta sul mistero dei Cagoti: Peyroulet era un maestro costruttore, definito roi d’argot, il re dell’argot, il linguaggio segreto della confraternita dei costruttori.

Nel mestiere dei tagliatori di pietra si cela la chiave all’enigma dei Cagoti. Oltre al termine Chrestianus, ce n’è infatti un altro, altrettanto antico, che serviva a definire queste genti: Gaffet, Gafo oppure Caffo. E non si può non riconoscere l’affinità con l’appellativo Gavot, nome simbolico dei membri della confraternita di costruttori ottocenteschi Compagnons du Devoir de Liberté. Nelle comunità cagote c’erano diversi maestri costruttori che appaiono negli incartamenti del Béarn e di Navarra. In epoca più tarda, invece, molti Cagoti spiccano tra i falegnami.

Nella società dell’Alto Medioevo la posizione dei maestri costruttori era più onorata di quella dei mastri falegnami. Questo rispecchia la condizione dei Cagoti nel corso dei secoli. Nei primi tempi i documenti indicano, infatti, la presenza di cagoti agiati come Auriol Donat, al contrario delle epoche più tarde Il processo peggiorativo della situazione cagota inizia tra il 950 e il 1000. Ma quale avvenimento, occorso nell’arco di questi cinquant’anni, portò alla rovina dei costruttori cagoti? Quale fatto determinò il loro declino sociale da maestri costruttori a falegnami?

Nell’anno 910 fu fondato l’Ordine Cluniacense, che in breve tempo divenne il più potente d’Europa. Di pari passo con l’aumento dell’influenza di Cluny, peggiorava la situazione dei Cagoti. Più le abbazie cluniacensi si moltiplicavano, più i Cagoti erano emarginati. Eppure la rapida espansione cluniacense esigeva l’opera di maestri costruttori. Perché allora i Cagoti persero terreno? La risposta deve essere cercata nella rivalità fra le confraternite di costruttori.

La richiesta crescente di Cluny portò alla concorrenza più spietata. Le confraternite rivaleggiavano per ottenere gli incarichi. Soprattutto due di esse : i Fils du Père Soubise e gli Enfants de Maître Jacques. I primi erano prevalentemente falegnami, i secondi veri maestri della pietra. Ed è proprio tra gli Enfants che troviamo i Cagoti. Gli Enfants de Maître Jacques avevano costruito gli edifici sacri situati lungo la rotta che portava a Santiago di Compostela. Un itinerario dalle origini precristiane, la cui esistenza fu trasmessa alla posterità dai monaci mozarabi che salvarono la memoria del cammino collegandolo alla leggenda dell’apostolo San Giacomo.

Originariamente il pellegrinaggio a Santiago non aveva nulla a che fare con San Giacomo. Era, invece, un viaggio iniziatico ai confini della terra conosciuta, dai Pirenei sino all’Oceano Atlantico, il mare celtico dei morti. È probabile che la causa della rovina dei Cagoti sia stata lo stretto legame degli Enfants de Maître Jacques con la tradizione pagana. Si può pensare che il potente Ordine Cluniacense abbia preferito i Fils du Pére Soubise agli Enfants cultori di un pensiero poco ortodosso, precipitando questi ultimi nella rovina.



Soltanto dopo la fondazione del nuovo Ordine Cistercense, la fortuna cambiò il suo corso e gli Enfants tornarono alla ribalta. Lavorarono per l’Ordine del Tempio. Il loro nome fu mutato. Divennero gli Enfants du Salomon. Poi, con la caduta dell’Ordine Templare, caddero anche gli Enfants du Salomon. Filippo il Bello ordinò lo scioglimento della confraternita di costruttori templari, li perseguitò. Gli Enfants furono costretti a cercare rifugio presso altre corporazioni. Le loro tracce emergono dall’ombra soltanto più di quattrocento anni dopo, durante la Rivoluzione francese, quando erano attivi come Compagnons du Devoir de Liberté, detti più semplicemente Gavots.

Ecco svelato il segreto dei Cagoti. Se i perseguitati Enfants du Salomon alla caduta dell’Ordine del Tempio persero il nome e la fama, i Cagoti pirenaici divennero addirittura dei reietti. Dall’arte di maestri della pietra si adeguarono a quella, più modesta, di falegnami. Con il passare del tempo, nessuno ricordava più i momenti di gloria che avevano conosciuto gli architetti del Cammino di Compostela. Il loro segno, però, rimase scolpito sugli edifici sacri. Era lo stesso che avevano adottato i loro predecessori, gli Enfants du Maître Jacques, e che i Cagoti portavano cucito sugli abiti: la zampa d’oca.

Nel 1314, dopo la morte dell’ultimo Gran Maestro del Tempio, a Parigi si diffondevano le cosiddette corti dei miracoli. Questi piccoli mondi di quartiere erano i rifugi di ladri, mendicanti e reietti. Qui i maestri dell’argot (la lingua segreta) regnavano sovrani. Victor Hugo ne parla nel suo capolavoro, il romanzo Nôtre-Dame de Paris, Nostra Signora di Parigi. Il suo personaggio Henri Sauval è uno degli ultimi capi della più grande corte dei miracoli parigina. Uno degli ultimi principi dei Cagoti. Uno che parlava l’argot.


sabato 26 giugno 2021

A cosa era dovuta la pessima fama dei soldati lanzichenecchi?

I lanzichenecchi erano mercenari.

Ciò già fa intuire in parte il motivo della pessima fama di cui godevano all'epoca. I mercenari infatti, essendo per l'appunto truppe al soldo di un committente, non erano garanzia di lealtà e cambiavano schieramento ogni qual volta fosse giunta un'offerta più alta. Lo stesso Machiavelli, così come Polibio, denunciava la pericolosità di queste truppe e ne sconsigliava l'uso.

Ciò però non giustifica del tutto la celebre nomea dei lanzichenecchi. Nel corso dei secoli si sono susseguite un enorme numero di compagnie di mercenari e non tutto erano così mal viste. Le compagnie di ventura ad esempio erano molto apprezzate in epoca tardo medievale. Molte città preferivano infatti pagare un esercito quando ce n'era bisogno piuttosto che mantenere una propria costosa forza militare anche in tempi di pace.

L'alternativa era quella di servirsi dei cittadini e formare un esercito solo in caso di guerra ma come sappiamo ciò non è mai conveniente quando si ha a che fare con vicini insidiosi: innanzitutto uomini non addestrati non possono reggere il ritmo di una guerra; in secondo luogo, privare la città dei propri artigiani e contadini porta in poco tempo ad una crisi di tipo economico e sociale.

Insomma, i mercenari, per quanto mal visti, non godevano comunque della fama cui invece dobbiamo la celebrità dei lanzichenecchi. Dunque vale la pena soffermarsi proprio su di essi. La parola landsknecht significa servo della terra o servo rurale. Ciò perché coloro che si arruolavano nelle compagnie mercenarie tedesche erano all'epoca i figli maschi non primogeniti delle famiglie contadine proprietarie di appezzamenti. Solo il primogenito infatti ereditava i possedimenti mentre gli altri figli avrebbero dovuto o lavorare per lui, oppure cercare fortuna altrove. Questi figli cadetti optavano dunque per la vita militare entrando nelle compagnie di soldati che, almeno in principio, essendo truppe irregolari, accettavano chiunque potesse contribuire, con due braccia in più, alle battaglie.

In principio comunque questi mercenari non erano inquadrati in veri e propri ranghi ed anche la gerarchia era spesso rozza e poco articolata. Fu solo sotto l'Imperatore Massimiliano I che queste forze iniziarono ad avere una struttura più o meno standardizzata, venendo per l'appunto ingaggiate dall'Impero in molte occasioni a partire dal 1486. Seguendo l'esempio dei mercenari svizzeri, Massimiliano voleva adoperare queste truppe come carne da macello. In molte battaglie infatti costituivano la massa dell'esercito imperiale e molti lanzichenecchi venivano pagati al doppio soldo (solitamente coloro che partivano per primi o che ricoprivano ruoli importanti). Con il passare degli anni però, la crescente inflazione e la scarsa solvibilità dei committenti (i lanzichenecchi erano adoperati non solo dall'Imperatore ma anche dai vari principi e signori locali) e dei reclutatori fecero sì che il saccheggio divenisse la principale forma di guadagno dei soldati.

Ma sarebbe sbagliato attribuire a questo fatto in particolare la loro pessima fama. Dopotutto essi non erano gli unici ad operare il saccheggio. Certo è che ciò, unito alla scarsa igiene dovuta alle umili origini, alla frequentazione continua di prostitute (tra le quali alcune vivandiere) e all'inadeguatezza di campi e strutture, ha contribuito a plasmare la loro immagine. Inoltre la scarsa igiene permetteva anche il diffondersi di malattie e morbi (in particolare la peste), da qui la fama di guerreri untori.



Ma il passo decisivo alla consolidatione della loro fama è senza alcun dubbio il famoso Sacco di Roma del 1527. L'Imperatore Carlo V mandò in Italia (con l'intento di disonorare Roma) 14.000 lanzichenecchi. Il motivo di questo attacco, perpetrato attraverso mercenari e non truppe imperiali, era quello di rispondere all'offesa della Lega di Cognac: una lega anti-imperiali ove, tra tutti, spiccavano la Francia di Francesco I (acerrimo avversario di Carlo) e Papa Clemente VII. Fu proprio la posizione dello Stato Pontificio che fece andare il sovrano su tutte le furie. Carlo, Imperatore del Sacro Romano Impero e che addirittura, in quanto sovrano di Spagna, godeva del titolo di Sua Maestà Cattolica, veniva tradito dalla Chiesa che egli stesso difendeva dagli attacchi dei riformatori (gli Asburgo rimasero cattolici, al contrario di molti nobili tedeschi).

Il comando dei lanzichenecchi era affidato al Duca Carlo III di Borbone-Montpensier (grande condottiero francese avverso a Francesco I) ma sul campo il vero capo era Georg von Frundsberg: fiero sostenitore della Riforma ed assolutamente avverso al Papa ed alla Chiesa di Roma. Costui avrebbe voluto, in cuor suo, impiccare pubblicamente Clemente VII. Le truppe dovettere, prima di giungere a Roma, affrontare molte difficoltà e scontrarsi con altri eserciti e ciò non fece altro che alimentare la determinazione di von Frundsberg e dei suoi uomini. Arrivati nella Aeterna Urbe, i lanzichenecchi misero a ferro e fuoco la città. Per volontà del loro capitano, andarano contro ad ogni possibile onore militare (onori che, a dire il verozl, i lanzichenecchi rispettavano raramente). Per otto giorni i romani non ebbero scampo e lo stesso Clemente VII riuscì a salvarsi per un soffio. Tale fu la brutalità di questi barbari (che diffusero anche la peste) che Carlo V cercò di richiamarli all'ordine, ma non vi fu modo di fermarli.

Irritati e nervosi dopo mesi di viaggio e battaglie ed aizzati dal loro capitano contro Roma ed i romani, i lanzichenecchi saccheggiarono di tutto (come detto, i bottini di guerra erano ormai prassi) ma non si limitarono a ciò. Stupri, violenze, massacri di ogni genere furono perpetrati a persone del tutto innocenti e senza possibilità di difendersi.

A questo episodio si deve la pessima fama dei lanzichenecchi. In Italia poche cose inorridivano e spaventavano quanto i lanzichenecchi - coloro che avevano ucciso Roma - e di conseguenza così fu per le culture affini a quella italiana ed in generale nelle nazioni cattoliche.

Sarebbe quasi il caso di dire che il Sacco di Roma sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: già prima i lanzichenecchi erano considerati barbari mercenari portatori di malattie, ma da quel momento la loro reputazione prese inevitabilmente la strada che noi tutti conosciamo: ai confini dell'umano.


venerdì 25 giugno 2021

È vero che gli arcieri di Enrico V ad Agincourt hanno combattuto senza pantaloni e senza calzoni a causa di una grave dissenteria?

Ci sono molti miti che circondano l'intera faccenda e questi sono ulteriormente complicati da chi non sa cosa indossavano le persone in quel periodo.

Le traduzioni sono irte di pericoli come sempre, ma quello che sembrano suggerire è che la calzamaglia (le calze lunghe, a questo punto della storia, sono state indossate fino a circa le ginocchia).

Questo è il modo in cui la calzamaglia è stata indossata completamente sollevata



In diverse scene qui sotto troviamo la calzamaglia abbassata raffigurata tra gli uomini che eseguono lavori manuali. La calzamaglia era tipicamente legata al giubbotto, ma con il caldo o lo sforzo potevano essere lasciati sciolti e spinti fino al ginocchio, in modo da formare qualcosa di simile ai calzini. Va da sé che questo permette una grande circolazione intorno alla parte superiore della gamba.

Si noti che nella prima foto l'uomo si è anche spogliato fino alla camicia con il suo giubbotto intorno alla vita. Sullo sfondo si vedono persone che indossano la stessa calzamaglia ma legata al loro giubbotto piuttosto consumato. Si noti anche che tutti loro indossavano ancora biancheria intima di lino.







Come potete immaginare questo equipaggiamento consente di avere un po' d'aria per rinfrescare le parti intime e, a differenza di quanto accade indossando la biancheria intima alle ginocchia, si può effettivamente correre e combattere in questo modo. Come potete vedere sopra le persone impegnate in lavori pesanti hanno adottato questa configurazione di abbigliamento che francamente sembra che ti raffreddi meglio dei pantaloncini moderni. In fretta permette anche un facile accesso alla biancheria intima vera e propria.

Ora c'è un dibattito su quanti ad Agincourt abbiano effettivamente avuto la dissenteria.

Quello che è chiaro è che la cena a base di pesce ad Harfleur ha fatto ammalare molti uomini. Dopo la caduta della città alcuni dei malati sono stati mandati invalidi in Inghilterra, mentre il resto si è spostato via terra verso Calais.

È qui che gli storici si dividono sulla questione, c'è chi sostiene che quasi tutti i malati furono lasciati indietro mentre solo quelli abbastanza sani continuarono, mentre altri suggeriscono che solo i malati gravi e i feriti furono riportati indietro. Uno dei cronisti inglesi che non era presente afferma semplicemente che moltissimi sono stati colpiti da dissenteria. La storica moderna Anne Curry ha esaminato alcune delle prove, come le liste dei malati, e ha concluso che praticamente tutti coloro che si erano ammalati ad Harfleur sono stati rispediti in Inghilterra.

Forse la maggior parte dell'esercito di Agincourt aveva la dissenteria, forse solo pochi l'avevano. Non lo sapremo mai con certezza.

Quello che trovo più interessante è sapere se i combattimenti con la calzamaglia abbassata possono essere legati o meno alla dissenteria. Come avete visto sopra nelle immagini, si trattava semplicemente del "vestito da contadino" per mancanza di parole migliori.

Se gli americani in Europa soffrono di intossicazione alimentare e qualcuno nota che molti americani in Europa indossano orribili pantaloncini da viaggio, ciò non significa che gli americani indossino pantaloncini da viaggio perché si cagano costantemente addosso.

Le fonti che citano gli arcieri di Agincourt che indossano la calzamaglia fino alle ginocchia sono le stesse che affermano che i combattenti non avevano l'armatura o erano equipaggiati solo con asce e martelli. In altre parole, indossavano l'abbigliamento dei lavoratori.

Non vedo un legame tra gli arcieri che vengono descritti come portatori dei loro abiti tipici degli uomini che lavorano e quelli che hanno la dissenteria, questo è un collegamento stabilito da uno storico moderno che forse non conosceva la moda tradizionale dei primi anni del XV secolo.

giovedì 24 giugno 2021

I fossati erano davvero usati intorno ai castelli? O è tutta una finzione cinematografica?


Lo scopo di un fossato non era SOLO quello di creare un ostacolo.
Veniva costruito anche per scoraggiare la creazione di tunnel…!
Il tuo castello è forte se lo sono le sue mura, e le tue mura sono forti se sono resistenti le fondamenta su cui poggiano.
Se il tuo castello si trova su una roccia, non è un vero problema. Tuttavia, se si trova sul terreno, c'è una tattica che il nemico utilizzerà per espugnarlo: scaveranno un tunnel sotto le mura del tuo castello, sostenuto da travi di legno. Quindi daranno fuoco alle travi per far crollare il tunnel.


Ovviamente, si possono usare delle tattiche contro gli scavatori di tunnel: capire dove sono i tunnel nemici e scavare altri tunnel per intercettarli.
Complicato.
Oppure, potresti semplicemente rendere impossibile la creazione di questi tunnel circondando di acqua i castelli.


Ecco come appariva la Torre di Londra nel 18° secolo. Un lato è protetto, ma gli altri tre lati sarebbero stati vulnerabili alla possibilità di scavare dei tunnel sotto le mura. Quindi furono creati dei fossati per rendere impossibile la creazione di tunnel - l'acqua sarebbe penetrata in qualsiasi tunnel e comunque il peso dell'acqua molto probabilmente avrebbe fatto collassare il più solido dei tunnel.


Ecco un disegno che mostra le conseguenze di un tunnel costruito con successo: e si tratta di eventi che sono successi davvero.
I fossati non devono essere profondi. Probabilmente puoi guadarne uno. Puoi sicuramente riempirne uno con dei materiali a portata di mano.


In questo diagramma, gli attaccanti non sono affatto rimosso il fossato. Ne hanno colmato una parte e la torre d'assedio può raggiungere le mura. Ma quelle mura almeno sono ancora in piedi.


mercoledì 23 giugno 2021

Nel Medioevo, quali erano le possibilità per una sposa di scappare da un matrimonio combinato?

 





Niente. E perché dovrebbe?

Di solito i genitori sanno meglio di chiunque altro cosa è bene per gli interessi di tutta la famiglia. I matrimoni combinati erano praticamente limitati solo alla nobiltà: i borghesi e i contadini si sposavano per amore.

I matrimoni erano una cosa seria (entrambe le parole in grassetto) tra la nobiltà. Serio, perché legare le famiglie con i vincoli del matrimonio era fare politica. Affari, perché le persone erano prima i rappresentanti delle loro famiglie e solo dopo gli individui. I nobili, sia maschi che femmine, dovevano mettere da parte i loro interessi personali e pensare a quelli delle loro famiglie.


martedì 22 giugno 2021

In epoca medievale, quando le persone non si lavavano molto, come potevano fare sesso senza essere respinte?

Se in epoca medievale un tizio non si fosse lavato molto, possiamo stare sicuri che sarebbe stato respinto…

È solo col Rinascimento che le persone riducono la loro igiene personale, in parte perché Riforma e Controriforma vedono di mal’occhio le terme e i bagni pubblici (dove solitamente ci si lavava tutti assieme, uomini e donne), in parte perché la sifilide — appena importata dalle Americhe — dava la sua mano nel convincere le persone che era meglio evitare certi luoghi…



E così la meravigliosa usanza romana dei bagni pubblici, che permettevano l’igiene personale di chi non era abbastanza ricco da potersene permettere uno personale, rimase viva solo agli estremi della civiltà romana: in Scandinavia (la sauna) e nel Califatto (l’hammam).


lunedì 21 giugno 2021

Alcune informazioni interessanti sui Vichinghi?

  • Un re Nordico unisse per poco la maggior parte delle isole Britanniche e la Scandinavia Occidentale,sotto il suo regno chiamandolo: Impero del Mare del Nord.


  • Le navi vichinghe potevano viaggiare anche per 200 km al giorno, è una velocità che non aveva mai raggiunto nessun'altra nave.

  • I nordici si curavano molto per l'epoca. Si lavavano una volta a settimana, si pettinavano ogni giorno, e cambiavano i loro vestiti regolarmente.

  • I nordici erano alcuni dei migliori coloni del mondo. In un paio di generazioni i coloni originali si adattavano alla cultura, alla lingua e alla religione della zona in cui si insediavano.


  • Anche se conosciuti come guerrieri, i nordici erano mercanti molto bravi. Con rotte mercantili e mercati in quasi tutta Europa.



  • Le donne nordiche avevano molto potere all'epoca dei Vichinghi. Potevano divorziare, ereditare terre e potevano persino andare in guerra a fianco degli uomini.

  • La Guardia Varangiana (Guardiani Nordici dell'impero Bizantino) avevano il diritto di polutasvarf cioè saccheggiare il proprio palazzo,garantito dall'imperatore. Dopo la sua morte i guardiani potevano prendere tutto l'oro e i gioielli che potevano trasportare e andare via da Costantinopoli.

  • I Nordici amavano la poesia e la musica. Gli Skald,l'equivalente Scandinavo dei bardi, avevano un ruolo importante a corte ed erano rispettati dagli Jarl.

  • Thursday(Giovedì) in inglese prende il nome dal dio Nordico Thor.

  • Davano in pasto una zuppa alle cipolle ai feriti in battaglia, e se dalla ferita usciva la puzza di cipolla,l'arto veniva amputato, perchè reputato insalvabile,

  • Dopo la cristianizzazione dell'area, i nuovi Nordici Cristiani avrebbero costruito molti ponti e strade. Credevano che queste avrebbero aiutato l'anima a raggiungere il paradiso.

  • Le società Nordiche generalmente non hanno praticato la pena capitale,fino al momento in cui la Scandinavia è stata cristianizzata. Praticavano il Guidrigildo, un'usanza Germanica. Era una somma di denaro che si doveva pagare alla famiglia in caso di omicidio, la somma variava in base al ruolo della persona deceduta nella società.

  • I Nordici sono stati i primi Europei ad arrivare nel Nord America. Lief Erikson aveva guidato la spedizione c he avrebbe trovato la colonia di Vinlandia, ora Canada).


domenica 20 giugno 2021

Papa Gregorio IX emanò una bolla nel 1233 che decretò l'uccisione di tutti i gatti neri dichiarati stirpe di Satana e compagni delle streghe. Se ci fossero stati più gatti la diffusione della peste nera sarebbe stata più contenuta?

 





Visto che la peste era trasmessa dai morsi delle pulci dei ratti, sicuramente sì. Non mi ricordo quale famosissimo medico fu invitato dal governo giapponese alla fine dell’Ottocento proprio perché aiutasse a debellare la peste, allora comune. Il luminare consigliò un gatto in tutte le famiglie.

sabato 19 giugno 2021

Che sport si praticava nel medioevo?

 




I signori si davano soprattutto alla caccia, in tutte le sue forme, al tempo raffinatissime, come la falconeria. Poi c'era la guerra, e la sua forma incruenta, le arti marziali: combattimenti a piedi e a cavallo, che culminavano nella più grande celebrazione sportiva di tutti i tempi, la giostra. L'armeggiare corrispondeva in buona parte a quello che oggi è la ginnastica. Anche le persone comuni praticavano spesso arti marziali: tiro con l'arco o la balestra, lotta. C'era anche la corsa campestre, in occasione dei pali.

venerdì 18 giugno 2021

Qual era la durata media della vita nel Medioevo?




Nei ragionamenti odierni è il numero molto alto di mortalità infantile registrata nel Medioevo ad abbassare la media della durata di vita dell'epoca. Ma in realtà se un uomo sopravviveva all'infanzia e raggiungeva l'età adulta, aveva buone probabilità di vivere fino a 60, 70 anni, e non veniva considerato anziano fino a dopo i 50 anni. Non a caso per Dante il «mezzo del cammin di nostra vita» era a 35 anni.


giovedì 17 giugno 2021

Chi erano gli Alani?





In questo post conosceremo una popolazione epica: gli Alani. Questo popolo, in un arco di tempo che va dal VII secolo a.C. al XVII secolo a.C., riuscì ad ottenere un’estensione territoriale enorme, dalla Cina al Portogallo, ad assumere un ruolo preponderante al tempo delle invasioni unne ed a tramandare il proprio nome attraverso la fondazione di uno Stato ancora esistente: l’Ossezia.

Le prime notizie di questa popolazione si riscontrano nelle cronache assire del 650 a.C., nelle quali gli Alani erano definiti con il nome scita di “Ishkuza”, da Ish-Oguz (“Popolo Ish”). “Ish” è, in realtà, una variante di “As”, parola che, in odierno turco significa “errare” e che sta quindi ad indicare il loro stile di vita nomade. Infatti, proprio in virtù della presenza di numerosissime popolazioni nomadi gli antichi Greci usavano il nome “Asia” per le steppe a Oriente. La maggior parte di queste popolazioni era dedita all’allevamento ovino.

Verso il 300 a.C. durante la loro espansione verso oriente, gli Alani entrarono in contatto con gli Unni orientali. Ne nacque un’alleanza che fece degli Alani una parte importante dell’esercito unno orientale. Infatti gli Alani erano noti per le loro capacità belliche ed il loro supporto consentì agli Unni orientali di espandersi fino alla Cina.

Di fatto, comunque, questa alleanza cessò nel giro di un secolo circa, costringendo gli Alani che si erano spinti particolarmente ad est ad una migrazione di massa verso occidente. È in questa fase, che va all’incirca dal 200 al 100 a.C. che gli Alani, riunendosi al popolo dei Sarmati, diedero forza a questa popolazione fino a spingerla, nel tempo, all’ottenimento del predominio in tutta l’area del caucasica e del Ponto a spese degli Sciti.

A questo punto, stanziati nell’area attorno al Mar Nero, gli Alani cominciarono a frazionarsi in sotto-tribù che diventarono via via più potenti: all’inizio del I secolo a.C. fecero la loro comparsa i Roxolani, posizionati tra Dnieper e Don, come alleati del re scita di Crimea, mentre a metà del secolo troviamo gli Aorsi, stanziati tra il Don e il nord-ovest del Mar Caspio, come alleati di Farnace, re del Bosforo.

Sima Qian, autore dell’antica cronaca cinese “Shiji” descriisse gli Alani come un popolo di grande abilità guerriera e che il suo esercito disponeva di più di centomila arcieri. Nella stessa antica cronaca cinese si apprende che gli Alani disponevano di un gran numero di allevamenti di famosi zibellini, ma che allevavano anche bovini e che gli abitanti dei loro villaggi si muovevano come nomadi in cerca di acqua e foraggio.

Anche gli Alani occidentali, comunque, non dovevano essere una forza di minore importanza. Nel suo “Geografia” Strabone, che, nativo del Ponto, doveva conoscere bene questo popolo, afferma che Spadines, re degli Aorsi, fosse in grado di schierare duecentomila arcieri a cavallo attorno al 50 a.C., ma che gli “Aorsi settentrionali”, dai quali quelli meridionali si erano allontanati, ne potevano schierare molti di più, ed era per questo che dominavano tutta la regione costiera del Mar Caspio. Nel suo testo Strabone scrisse: “Di conseguenza potevano importare tramite cammelli le mercanzie indiane e babilonesi, ricevendole dopo che venivano passate agli Armeni e ai Medi, e così, per via di tale benessere, potevano permettersi di indossare ornamenti d’oro“.

Nel 35 d.C. troviamo gli Alani che vivevano a nord del Caucaso effettuarono una missione bellica contro i Parti, regno vassallo di Armenia, ed è probabile che tale raid fosse nato su suggerimento di Tiberio. Le relazioni con i Parti devono essersi poi ulteriormente evolute in senso bellicoso, visto che in una iscrizione partica del 62 d.C. troviamo che Vologeses, re dei Parti è “nel suo undicesimo anno di guerra contro Külük, re degli Alani“.

Lo storico ebreo Giuseppe Flavio (37-100 d.C.), trattando della guerra ebraica, menzionava gli Alani (che definisce una tribù “scita“) come un popolo che vive in prossimità del Mare di Azov, e che ha attraversato le “Porte di Ferro” per saccheggiare e sconfiggere gli eserciti di Pacoro, re di Media, e Tiridate, re d’Armenia, due fratelli di Vologeses I.

La crescita della potenza degli Alani e la loro progressiva espansione verso occidente, certamente misero in allarme Roma, che, nel 69, mandò contro di loro (in particolare contro i Roxolani) la III Legione, riuscendo momentaneamente a bloccarli.

Si trattò, però, di una vittoria solo temporanea: nel 93, a capo di un’alleanza di popolazioni barbariche della steppa, gli Alani cominciarono ad effettuare raid continui nella Mesia Inferiore e, intorno al 117, i Roxolani da est e gli Iazigi da ovest invasero la Mesia e la Dacia romana, mentre Adriano non poté fare altro che tamponare la loro penetrazione, arrivando ad un accordo (firmato dal generale Publio Elio Rasparagano) che permise lo stanziamento delle tribù alane nelle aree già conquistate. Verso gli anni ’30 del I secolo, gli Alani continuarono le loro incursioni contro l’Albania, la Media, l’Armenia e la Cappadocia, parzialmente respinte da Flavio Arriano. A metà degli anni ’50 gli Alani sconfissero l’esercito romano a Olvia e, pochi anni dopo, cominciarono a fare le loro prime apparizioni nella Bassa Valle del Danubio.

Nel 161, poi, gli Alani aderirono ad una federazione sarmatica a cui si uniscono anche i Marcomanni e diventarono realmente pericolosi per l’Impero di Marco Aurelio, il quale dovette impegnarsi in una lunghissima campagna (167-175 d.C.) per vincere contro la prima grande invasione barbarica (I Guerra Marcomanna), comunque non risolvendo la situazione in quanto tra il 178 e 180 d.C., una nuova invasione capeggiata dagli Alani portò alla II Guerra Marcomanna.

Qualche anno dopo, sotto la pressione dei Goti, gli Alani continuarono a muoversi verso occidente e nell’anno 210 occuparono interamente la Dacia. Nel 242 circa, in alleanza con i Goti, gli Alani penetrarono in Macedonia e nella Tracia.

Intorno al 300, Ammiano Marcellino relazionava di vittorie a ripetizione degli Alani, i quali assurti ormai a potenza internazionale, nel 351 furono in grado di attaccare, in alleanza con il re armeno Arsak II, l’Impero persiano.

Mentre il popolo alano raggiungeva il massimo della sua espansione territoriale, qualcosa di fondamentale per la storia europea stava avvenendo: un popolo mongolico proveniente dall’Asia centrale, spinto da ragioni politiche e soprattutto demografiche, diede inizio ad una inesorabile espansione verso occidente travolgendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Era iniziata l’epopea degli Unni.

Intorno al 360 essi attraversarono il Volga e attaccarono con forze preponderanti gli Alani, i quali non ebbero alcuna possibilità di resistere. Una parte del popolo si ritirò verso il nord del Caucaso, mentre gran parte delle tribù si sottomise ai nuovi conquistatori, creando un’alleanza forzata, per altro piuttosto favorevole: secondo Giordane agli Alani venne garantito un notevole grado d’indipendenza e una buona fetta del bottino in cambio del loro aiuto nella guerra contro gli Ostrogoti di Ermanarico.

La guerra, che durò dal 370 al 376, vide gli Unno-Alani al comando di Balamber vincitori (contro gli Ostrogoti e poi i Visigoti che si ritirarono sullo Dniester) ma, di fatto, gli Alani, dal Caucaso alla Dacia, diventarono parte della “confederazione unna” e tali rimasero fino al 398, partecipando anche alla penetrazione unna in Europa.

Una piccola parte degli Alani, non accettando la situazione, decise di servire nella guardia dell’imperatore Graziano (375-383) ma la maggior parte degli uomini, unito all’enorme esercito di Balamber e del suo primogenito Alyp-bi, dopo aver sconfitto anche i “Sadumst” (probabilmente i Goti Scandinavi), divenne parte attiva nella battaglia di Adrianopoli del 378 che vide le forze di Bisanzio nettamente sconfitte da quelle della “confederazione unnica”, costituita dagli Unni, dagli Alani, dai Sarmati e dai Goti.

Nel 400 d.C., nella zona tra Itil ed il Don, gli Alani cominciarono ad unirsi ai Bulgari. Fu per questo motivo che gran parte delle truppe alane entrarono con gli ausiliari unni nell’esercito di Stilicone, aiutando nel 402 l’Impero d’Occidente contro Alarico e nel 405 contro Svevi e Ostrogoti. Orosio scrisse che nel 402, le truppe ausiliarie alane e unne combatterono le une contro le altre: fu l’inizio del processo che portò alla disgregazione della confederazione unna nel 406 e alla fuoriuscita degli Alani dalle truppe imperiali.

A questo punto, buona parte degli Alani si allearono con i Vandali e le truppe congiunte del re vandalo Goar e del re alano Respendial marciarono sulla Gallia, sbaragliando oltre il confine del Reno le truppe federate dei Franchi e penetrando in profondità in Bretagna, dove cominciarono ad unirsi ai Celti in fuga dalla Britannia invasa dai Sassoni (è in questo periodo che, nella onomastica inglese e francese cominciamo a trovare in modo molto diffuso il nome “Alan” o “Alain”). Dopo una ripartizione delle Gallie tra Alani (che formarono lo stato di Alania), Vandali e Svevi, nel 409 Respedial mosse il suo popolo nella Penisola Iberica, seguito dai Vandali e dai Visigoti, e si impossessò della Lusitania, mentre in Francia, tra 414 e 418, re Addak fu impegnato in una guerra contro i Visigoti che lo vide poi perdente, con la fine del regno di Alania e la morte del re stesso. Con la morte di Addak, gli Alani si frazionarono in varie tribù e si posero sotto il patrocinio dei Vandali con i quali, al comando di Genserico, si mossero in Africa settentrionale nel 428: il ramo occidentale degli Alani cessò così di esistere.

A questo punto, sopravvivessero come popolo indipendente solo gli Alani orientali, alleati di Bisanzio: nel 455 essi combatterono contro Ardarico, re dei Gepidi e i figli di Attila nella battaglia del fiume Neda in Pannonia e nel 468, guidati da re Aspar, fecero parte delle truppe imperiali nella guerra sul Danubio, ma nulla poterono contro l’imponente esercito unno, che li sconfisse e li sottomise, relegandoli nelle aree caucasiche.

Siamo così giunti al VI secolo d.C.: dal Caucaso, in cui vivevano dedicandosi alla pastorizia nomade, gli Alani, come ci spiega Zaccaria Scolastico, compirono sporadiche incursioni contro l’Impero Sassanide e strinsero alleanze con Bisanzio, ma il loro periodo di splendore tramontò definitivamente in quanto ormai erano sottomessi agli Unni e soggetti come sono alle invasioni turche. Durante il VII secolo gli Alani cercarono di sopravvivere all’espansione dei popoli vicini alleandosi strettamente ai Cazari, nuovi dominatori dell’area, ma nel 651 furono sconfitti dall’esercito arabo di Abd Al Rahman e nel 715 dalla spedizione contro di loro del Califfo Umar ‘II. La loro area fu invasa dai Turchi nel 721 e divenne terreno di battaglia tra Arabi e Turchi per tutto il secolo successivo. Da questo momento in poi, tracce degli Alani (il cui regno, ormai ridottissimo, rimase, comunque, formalmente indipendente) si ebbero solo come gruppi di soldati mercenari, di volta in volta al soldo di Bizantini, Armeni e Cazari, fino alla distruzione del regno di Cazaria da parte dei Rus (Russi) nel 965.

Il XIII secolo fu caratterizzato dalla lotta contro l’Orda d’Oro mongolica : dal 1222 al 1240 gli Alan vennero costantemente sconfitti dai Mongoli, fino alla conquista della loro capitale Magas da parte di questi ultimi e alla formale sottomissione dell’Alania all’Impero Mongolo. Tale sottomissione continuò per tutto il XIV secolo, con un continuo alternarsi di servizio mercenario nelle truppe imperiali del Gran Khan e ribellioni locali. E’ a seguito di una di tali ribellioni che, nel 1395, la regione dell’Alania settentrionale fu invasa dall’esercito di Tamerlano, che compì un vero e proprio genocidio della popolazione. Anche questo ceppo alano, dunque fu quasi totalmente estinto. A fine XIX secolo gli Alani sopravvissuti al genocidio, in congiunzione con rimanenti tribù scite e sarmate, furono riclassificati come Osseto-Iranici, abitanti dell’Ossezia settentrionale e meridionale.

Conosciuta la loro storia, affrontiamo ora alcuni aspetti della loro cultura.

Gli autori antichi ci parlano degli Alani come di un popolo nomade che si aggirava per spazi enormi portando sempre con sé tutti i loro averi.

Ammiano Marcellino ci dice che essi non avevano alcun riparo, nessuna cura per la coltivazione del grano, si nutrivano di carne e latte e vivevano su carri coperti da corteccia arrotondata. Quanto al loro aspetto, lo stesso autore narra che: “Gli Alani sono alti e belli, con i capelli tendenti al biondo. Essi sono spaventosi per il loro aspetto sempre serio e minaccioso e sono dotati di una grande rapidità grazie alla leggerezza delle loro armi (archi, frecce, lance). Per il resto, sono come gli Unni sotto ogni aspetto, tranne che per un sistema di vita e una cultura più semplice. Come il barbaro [cioè gli Unni], hanno un Dio dalle forme umane, che pregano piantando una spada per terra. Esso è un dio della guerra ma è anche protettore della terra. Presso di loro non esiste la schiavitù, essendo tutti di nascita altrettanto nobile, e, fino ad ora, giudici, capi e sovrani vengono eletti dal popolo tra coloro che si sono particolarmente distinti nelle battaglie“.



mercoledì 16 giugno 2021

Qual è la più grande ironia della storia?

Ucciso da un morto...



Sigurd the Mighty era un famigerato vichingo, il secondo conte di Orkney e il capo di una conquista sulla Scozia settentrionale.

Alla fine del suo regno, sfidò un nobile pitto chiamato Máel Brigte the Bucktoothed ("denti da coniglio") a una battaglia, quaranta uomini per ciascuna parte. Sigurd era subdolo e inaffidabile, e finì per portarne ottanta, rendendo facile la sua vittoria sull'esercito dei Pitti. Per commemorare il massacro di Máel, prese la sua testa come trofeo e la legò al suo cavallo.

Mentre cavalcava, però, la testa mozzata sbatté contro la sua gamba e il suoi denti prominenti la tagliarono. La gamba si infiammò e si infettò, e morì giorni dopo. E così, fu ironicamente ucciso dall'uomo che lui stesso aveva ucciso.

La morale della storia? Metti le tue teste mozzate in una borsa o in una scatola!




martedì 15 giugno 2021

The White Ship: la sciagura del “Titanic” di 900 anni fa

Il 25 novembre 1120 affondava la ”White Ship”, o meglio la Nef Blanche, con 300 persone a bordo, morirono tutti tranne un uomo, unico testimone di quanto accaduto. Fu per l’epoca una tragedia immane, la si trova in tutte le cronache del tempo, a bordo c’erano i rampolli della miglior aristocrazia inglese e francese e soprattutto c’era William Adelin, l’erede al trono inglese. Fra le altre conseguenze il naufragio portò a quasi 20 anni di guerra.


Il naufragio della White Ship


Partiamo dall’inizio. Enrico I fu il terzo re normanno d’Inghilterra. Era figlio di Guglielmo il Conquistatore che aveva iniziato la dinastia normanna sconfiggendo ad Hastings nel 1066 l’esercito di Aroldo II, ultimo re anglosassone.

Enrico I, detto il Chierico per la sua attitudine allo studio piuttosto che al combattimento, ebbe da Matilde, figlia del Re di Scozia, la figlia Matilde, nata nel 1102, e il figlio William nato nel 1103. Ebbe comunque una quindicina di figli illegittimi che amava e considerava al pari di quelli legittimi, com’era usanza in epoca medievale.


Re Enrico I


La figlia Matilde era diventata imperatrice del Sacro Romano Impero nel 1114 sposando Enrico V di Germania, William invece aveva sposato Alice d’Angiò nel 1119.

Nel 1120 Enrico I insieme al figlio William, due dei suoi figli illegittimi, Matilda e Riccardo, e dignitari di corte, si erano recati in Francia per la nomina di William a Duca di Normandia a conclusione delle lunghe dispute con Re Luigi VI di Francia. Con loro doveva imbarcarsi per l’Inghilterra anche il nipote di Enrico, Stefano di Blois, figlio di Adele, sorella del re.

Il 25 novembre 1120 gli inglesi si apprestavano a rientrare in patria quando il Capitano FitzStephen mise a disposizione del Re Enrico la nave White Ship, nuova di zecca, grande, veloce e lussuosa.

Enrico I rifiutò la nave per sé, ma la accettò per il figlio e il gruppo dei giovani al seguito.
Pare che William avesse insistito per poter fare il viaggio su quella nave così veloce e ritardò la partenza, dopo quella del padre, per poi raggiungerlo, così i festeggiamenti continuarono ancora per ore dopo aver imbarcato una grande quantità di vino. Prima della partenza si presentarono sottobordo dei frati che volevano benedire la nave, come da consuetudine, per il suo viaggio inaugurale, ma vennero cacciati fra lazzi e risate dei passeggeri, tutti ubriachi fradici.

In seguito questo scherno venne considerato causa della collera divina.


L’affondamento della White Ship


La nave salpò a mezzanotte, la notte era buia, c’era solo un quarto di luna, ma il tempo era buono e la Manica era calma. Le uniche insidie erano date da affioramenti rocciosi vicini alla costa francese, ma il Capitano era esperto della zona e accettò di seguire la rotta a nord, più breve anche se più insidiosa.

A solo un miglio dalla costa la nave urtò la roccia più grande, la Quillebeuf, e cominciò ad affondare, la gente di Barfleur sentì voci e urla ma le interpretò come il prosieguo dei festeggiamenti e non vi diede importanza.

A bordo c’erano 160 nobili, 90 servitori e 50 uomini di equipaggio, che finirono nelle gelide acque della Manica Si salvò solo Berold, un macellaio di Rouen, che riuscì ad aggrapparsi all’albero della nave e a sopravvivere all’ipotermia grazie al suo cappotto di montone e alla sua costituzione grassa e robusta.

Venne salvato dai pescatori solo la mattina successiva e fu l’unico in grado di raccontare cosa accadde.

Raccontò che il Capitano era completamente ubriaco, così come l’equipaggio e tutti i passeggeri. Le guardie del corpo del principe avevano fatto imbarcare William sull’unica scialuppa, ma le richieste d’aiuto della sorellastra Matilda, anche se secondo Berold furono più bestemmie e insulti, convinsero William a tornare indietro per salvarla.
La scialuppa fu presa d’assalto dai naufraghi che cercando di salire a bordo e la fecero rovesciare e affondare.

Berold raccontò che il Capitano FitzStephen si era anche lui aggrappato a un pezzo di legno, ma resosi conto della morte di tre figli del re si lascio andare e annegò. Quasi nessuno all’epoca sapeva nuotare e comunque l’elegante abbigliamento di seta e trine non era certo d’aiuto, e anche i marinai morirono di ipotermia. I corpi arrivarono sulla spiaggia per settimane, ma quello di William non fu mai recuperato nonostante le spedizioni inviate dal padre.

Si salvò invece Stefano di Blois, nipote del re, che all’ultimo momento non si era imbarcato per un malore, ma forse anche spaventato dall’idea di una traversata con l’equipaggio ubriaco.

Il giorno seguente in Inghilterra nessuno si spiegava il mancato arrivo della nave e si comincio a temere il peggio, ma fu solo dopo il salvataggio di Berold che si seppe la verità.

Nessuno aveva il coraggio di riferire al re, e alla fine incaricarono un valletto di portare la notizia, sentendo la quale Enrico fu devastato e venne visto piangere disperatamente.


Enrico I guarda piangendo l’affondamento della White Ship.


Bisognava però mettere da parte il dolore e pensare alla successione, Enrico aveva 52 anni e poteva ancora avere figli, così nel 1121 sposò Adelisa di Lovanio, vedova e già madre.
La figlia Matilde restò vedova nel 1125 e venne richiamata in patria dal padre, che non avendo avuto figli dalla seconda moglie, prese la decisione di nominarla come successore, cosa inaudita ai tempi. Il Concilio, nonostante molte riserve, giurò fedeltà a Matilda. Giurarono anche Stefano di Blois, che aveva avuto speranze per il trono, e il figlio illegittimo maggiore di Enrico, il potente Roberto di Gloucester.

In verità Enrico non voleva Matilde sul trono ma sperava in un suo nipote come re d’Inghilterra. Nel 1128 Matilde sposò Goffredo d’Angiò, detto Plantageneto, per volere del padre. Per lei che era stata principessa e imperatrice fu un notevole declassamento divenire solo Contessa d’Angiò.


L’imperatrice Matilde


Goffredo aveva solo 15 anni mentre Matilde ne aveva già 26, e si trovava quindi sposata a un uomo che in realtà era poco più di un bambino. Nonostante l’insoddisfazione, nel 1133 nacque suo figlio Enrico.

Il matrimonio con un francese, nemico storico dei normanni, scandalizzò il Concilio che ritirò il giuramento a Matilde, ma nel 1131 Enrico costrinse tutti a giurare nuovamente fedeltà a Matilde e a suo marito.

Giurarono ma nel 1135, alla morte di Enrico I, nominarono re Stefano di Blois, cugino di Matilde sbarcato in Inghilterra appena appresa la morte dello zio che divenne Re il 26 dicembre del 1135.

Matilde protestò e si infuriò, ricordando a tutti il giuramento, ma era incinta del terzo figlio e non poté raggiungere subito l’Inghilterra.

Si appellò al Papa Innocenzo II per violazione al giuramento ma dopo 2 anni la decisione del Papa, influenzata pesantemente da Enrico arcivescovo di Winchester, fratello di Stefano, fu che il giuramento era stato invalidato dal matrimonio di Matilde. Matilde aveva i suoi sostenitori in patria, scontenti di Re Stefano, e nel 1139 sbarcò in Inghilterra con il suo esercito e il suo fedelissimo fratellastro Roberto di Gloucester. Iniziava la guerra civile, chiamata Anarchia, che fu uno dei periodi più tumultuosi della storia inglese, vere carneficine che misero a ferro e fuoco l’Inghilterra.


Re Stefano di Blois


I continui cambi di bandiera dei nobili, a favore dell’uno o dell’altra in base a chi pareva in vantaggio in quel momento, provocavano stragi, distruzione e carestie. Matilde cedette i suoi diritti al figlio Enrico nel 1148, Stefano nominò suo erede il figlio Eustachio, che morì prematuramente, e poi al secondogenito Goffredo. Ormai era stanco, invecchiava, e non aveva più voglia di lottare contro la cugina e suo figlio. Enrico II nel frattempo aveva sposato Eleonora d’Aquitania, ex moglie di re Luigi VII di Francia.

La moglie era molto più grande di lui ma portava in dote vasti possedimenti ed ebbero 8 figli, fra i quali Riccardo detto Cuor di Leone e Giovanni detto senza Terra. Della loro storia parla il bellissimo film ”Il leone d’inverno’ con Katherine Hepburn e Peter o’Toole, ma anche tante altre pellicole e il celebre “Robin Hood” Disney.


Re Enrico II


Nel 1152 Re Stefano ed Enrico si incontrarono, Enrico riconobbe Stefano come re e Stefano riconobbe il figlio di Enrico, Enrico anch’egli, come suo successore. A Goffredo, re mancato, venne offerta una contea in risarcimento.

La guerra era finalmente finita.

Stefano morì nel 1154, salì al trono Enrico II e così iniziava la dinastia dei Plantageneti. All’ascesa al trono del figlio Matilde si ritirò nell’abbazia di Notre-Dame-du-Pré, a Rouen, dove morì il 10 settembre 1167.

In tempi recenti è stato sollevato il sospetto che dietro al naufragio ci potesse essere la mano di Stefano di Blois, che aveva tutto l’interesse a eliminare l’erede al trono e che era fortuitamente restato a terra per un malore. A detta dei dubbiosi pare incredibile che un capitano serio ed esperto, con l’enorme responsabilità della vita di tre figli del re e del nobile carico a bordo, si fosse ubriacato ed avesse permesso al timoniere e altri membri fondamentali dell’equipaggio di ubriacarsi. Essendo passati 9 secoli, ovviamente, la verità su quel disastroso naufragio non si saprà mai.